Alessandro Gaudio
La Cosa e le reliquie, i tesori nascosti e i logomotivi
1. Alla base della precisazione teorica del composito fenomeno della Poesia Visiva c’è l’istituzione di un rapporto di similitudine (se non di intrinseca coincidenza) tra le parole e le cose, così come tra queste e le loro rappresentazioni: esso sembra rimandare a un ordine che si può definire senz’altro concreto, oggettuale, al quale, negli anni Sessanta e Settanta, cominciarono a uniformarsi artisti, poeti, critici d’arte, studiosi, intellettuali di diversa estrazione culturale che credettero di trovare nell’inattualità di quel nuovo legame un principio d’avanguardia, di rottura rispetto al passato, che fosse in grado di rappresentare ironicamente, paradossalmente, retoricamente, il rapporto che l’uomo moderno intrattiene (o dovrebbe intrattenere) con la realtà.
Quella concomitanza tra l’immagine e il suo referente oggettivo ha indotto i vari operatori a prendere le distanze da forme d’arte e di poesia che non partecipassero del tempo e, più in generale, a riconsiderare la funzione dell’arte e della letteratura in seno al tardo capitalismo. Questa parvenza di apertura si è, però, consumata spesso in un processo tutto interno al linguaggio (sia esso visivo o verbale) che, tanto sul versante teorico quanto su quello pratico, ha fatto sì che gran parte della Poesia Visiva si allontanasse irrimediabilmente dal suo tempo, bruciata da un contatto troppo diretto con la Cosa1. I poeti visivi si sono rapportati alla Cosa secondo modalità disparate e, soltanto nei casi migliori, accordando una disposizione politica alle loro pratiche intellettuali: questo assetto rappresenta un indizio sicuro del fatto che, comunque, alcuni di essi non volessero rinunciare al compromesso con la realtà. Nondimeno, il più delle volte si tratta di una realtà troppo perfetta, distillata, per così dire quintessenziale, che mal si presta a rappresentare quell’universo popolare spesso inseguito dalle neoavanguardie. Così facendo, la Poesia Visiva (non soltanto in Italia), attaccata organicamente (cioè, più che strenuamente) ai propri eccessi, non ha prodotto, salvo poche eccezioni, alcun contributo all’analisi dialettica dei contrasti della società civile borghese ed è questo stesso motivo che, probabilmente, le ha impedito di estendere il suo periodo di massima visibilità oltre la prima metà degli anni Ottanta e, pur facendosi Cosa, la sua portata oltre i confini privati (e, in ogni modo, menzogneri) di una metafisica troppo soggettiva o, che poi è lo stesso, della pura differenza estetica. Se anche la realtà è da considerarsi arte, dov’è possibile ritrovare la realtà o tentare di avvicinarsi ad essa?
Franco Verdi, plop!
La strada seguita dai poeti visivi più consapevoli non è quella che consiste nel lasciar essere le cose e, quindi, nell’abbandono di qualsiasi metafisica. Sarenco, Eugenio Miccini, soprattutto Franco Verdi e pochi altri provano così la via dell’ironia. È un procedimento retorico che, tenendo conto di uno sfondo storico ben preciso, esamina e prende le distanze da alcuni aspetti sostanziali del capitalismo: da un lato, l’accumulo di merci e di materiali inutili, non funzionali, di rifiuti da smaltire, dall’altro, il gioco poetico prezioso e anch’esso non funzionale: è appena il caso di precisare che l’equivalente dell’oggetto nelle poesie visive è costituito dalla struttura sintattica. Si isola un luogo comune o un codice e lo si valuta da una prospettiva eteroclita (cui partecipa anche il linguaggio verbale) che sconvolge le prospettive ordinate. Le immagini artistiche che ne derivano sono – direbbe Francesco Orlando – antimerci che possono rivelare un aspetto rimosso di quella Cosa cui si faceva riferimento in precedenza2. Le poesie visive (e quelle riuscite non sono poi così numerose, specialmente nel periodo successivo alla breve ma intensa esplosione del fenomeno) si muovono su un’area concettuale comune molto poco estesa (compressa nello spazio sempre più ridotto che separa la parole dalle cose) che, proprio grazie alla sua misura ristretta, riesce a conservare una certa stabilità e a tenere insieme il nuovo composto di realtà. Ci riesce anche in virtù della compresenza in essa di un doppio regime (verbale e visivo, si è detto, ma anche corrente e inattuale, geometrico ed eteroclito, comune e privato), ma che resta costantemente nel novero di ciò che è possibile pensare. Ciò consente di dire che la vera virtù della Poesia Visiva è senz’altro quella di non svilupparsi all’interno di uno spazio bianco, impensabile, di alterità assoluta, esterno alla realtà e indefettibile (quale potrebbe essere quello linguistico che, con la Poesia Visiva, perde definitivamente la sua collocazione privilegiata) e di disporsi criticamente (cioè nell’ordine dell’umano) nei confronti di un mondo e di una storia che, anche se messi in discussione, restano comunque nominabili, discutibili: tale nuova visione interstiziale, straniante, presuppone, dunque, che a un ordine interno alle cose si sommi l’ordine di chi le guarda; la distanza che separa i due ordini è quello all’interno del quale opera (e funge da intermediaria) la Poesia Visiva. Essa è chiamata a mostrare e ad analizzare questa duplice forma di controllo, servendosi di una poetica che sia in grado di disegnare liberamente il reticolo all’interno del quale operare, non rinunciando, però, a identificare ordini diversi o migliori e a lacerare quelli di cui non ci si serve più.
Sarenco, Money Lisa 1976
In questo saggio si studieranno i contributi di alcuni tra gli artisti che si sono impegnati più e meglio nell’allestire lo spazio d’ordine della Poesia Visiva in Italia, e cioè il campo epistemologico all’interno del quale si è originata questa forma d’arte che comunque, ancora oggi, continua a suscitare l’interesse di un selezionato gruppo di critici e di cultori. Ci si concentrerà, in particolare, su alcuni poeti visivi operanti tra il Veneto e la Lombardia, ma non per cercare in un criterio regionalistico di identificazione un motivo caratterizzante, intento lontanissimo dalle logiche della Neoavanguardia; bensì perché il loro lavoro ha come punto di riferimento la casa editrice factotum-art e la rivista «Lotta Poetica»: la prima stampata nel padovano ma, come la seconda, operante a Verona. Gli approdi cui sono giunti Sarenco, Franco Verdi e Giancarlo Pavanello (tutti presi in esame dalla sensibile lente della semiologa Rossana Apicella), infatti, pur nella loro eteronimia, non sono uniformabili a criteri del tutto dissimili da quelli cui sono pervenuti, ad esempio, i fiorentini Eugenio Miccini, Luciano Ori, Lamberto Pignotti, né dalle maniere espresse tra Torino e Genova da Arrigo Lora Totino e da Claudio Costa (nato a Tirana nel 1942 e scomparso nel 1995) o in Sicilia dalle Singlossie di Ignazio Apolloni. In tutti i modi, sembrerebbe lecito tentare di isolare una fetta d’avanguardia che ha trovato nello sforzo di comprensibilità, nella natura pubblica dell’atto poetico e nella necessità di compromettersi col reale motivi caratterizzanti forti, ma quasi immediatamente messi in discussione.
Michele Perfetti, Facsimile 1976
2. Un ruolo importante nel verificare sul piano teorico le istanze care alla Poesia Visiva lo detenne, sin dal 1968, la semiologa Rossana Apicella, nata a Maiori, in provincia di Salerno, nel 1926 e scomparsa nel 1983. Suoi scritti comparvero su parecchi fascicoli di factotumbook, che, negli anni Settanta e Ottanta, si abbinarono a «Lotta Poetica » (fondata nel 1971 dai poeti visivi Sarenco – pseudonimo di Isaia Mabellini –, Paul De Vree e Gianni Bertini e pubblicata, con qualche intervallo, fino al 1987) e a «factotum-art» (diretta da Sarenco e De Vree), riviste di riferimento per i cultori di Poesia Sonora, di Poesia Visiva e, in genere, di concezioni scritturali alternative e che affiancavano l’attività di una piccola, ma attivissima casa editrice, ubicata a Calaone-Baone in provincia di Padova. Proprio dallo studio dei testi e dei cataloghi pubblicati per le edizioni factotum-art è possibile selezionare i concetti chiave (quali ‘singlossia’, ‘futurgappismo’, ‘oggetto attivo’, ‘polis’, ‘guerriglia semiologica’, ‘poesia totale’) e i poeti (Sarenco, Miccini, Verdi, Ori, Pavanello e Michele Perfetti, tra gli italiani più interessanti) che caratterizzarono maggiormente quella stagione d’avanguardia. Intorno a «Lotta Poetica» – che programmaticamente si poneva come strumento di informazione e di scambio tra i vari operatori – prendeva corpo il Gruppo internazionale di poesia visiva, completato da artisti operanti in tutto il mondo. Tra i tanti che condivisero le proprie realizzazioni sulle pagine delle pubblicazioni di factotumart è opportuno citare almeno Alain Arias-Misson, belga di nascita, ma americano e spagnolo d’adozione: fu l’iniziatore del Public Poem (che prevede che l’atto poetico si faccia prassi) e il massimo esponente della Poesia Visiva d’Oltreoceano; sempre negli Stati Uniti, bisogna citare Dick Higgins; poi Bernard Aubertin, esponente francese di spicco del Gruppo zero e conosciuto come l’artista del fuoco; i tedeschi Joseph Beuys e Timm Ulrichs; Paul De Vree, il più interessante poeta sperimentale fiammingo, nonché co-fondatore di “Lotta Poetica”; e, infine, Jiri Kolar e Ladislav Novak, gli iniziatori della poesia concreta in Cecoslovacchia3. L’elenco testimonia solo marginalmente le origini e gli approdi eterocliti delle diverse etichette affini alla Poesia Visiva (dalla Poesia Concreta, mallarmeana e futurista, alla Poesia Tecnologica del Gruppo 70 di Miccini, Pignotti, Ori e Marcucci, fino agli approdi più puri di Sarenco, Arias-Misson e De Vree), le quali, tuttavia, presentano alcuni caratteri comuni: apertura a nuove dimensioni, adesione al clima politico di critica della società borghese, rinnovamento della scrittura e della poesia (nei casi migliori, continuando a ricercare ancora una certa aderenza all’aspetto semantico, oltre che tipografico e dunque meramente estetico, del linguaggio verbale), accostamento alle ricerche limitrofe. A questi si aggiunge la problematica presa di distanza (dichiarata
Alain Arias-Misson, The public poem book 1977
Paul De Vree, Beiroet
più che effettivamente compiuta) dalla Conceptual Art, un’arte smaterializzata, che non ha un oggetto come residuo4. Nel testo introduttivo del catalogo pubblicato in occasione di Poesia visiva internazionale, mostra collettiva, tenutasi a Venezianel giugno del 1972, la Apicella ricostruisce sinteticamente le ascendenze e le fratture di un movimento di neoavanguardia che, rispetto alle operazioni messe in atto dal cartellone pubblicitario, dal cinema e dal fumetto, avrebbe superato la tradizionale relazione didascalica che si instaura tra parola e immagine, proponendo invece una simbiosi di messaggio discorsivo e di messaggio visivo (che, nella sua ambivalenza di lettura, diverrebbe «linguaggio di “polis”») e che, rispetto a tutte le forme istituzionali e regolari di far poesia, si sarebbe opposta (e avrebbe dovuto continuare a farlo) a qualsiasi tentativo di regolarizzazione di stampo accademico; ciò le avrebbe consentito di mantenere il suo carattere immediato, violento, folle, popolaresco e sperimentale5. A detta dei suoi più accorti teorici, il nuovo modo d’intendere la poesia deve considerare con riguardo la
delicata questione della propria comprensibilità e, dunque, il riscontro
del fruitore che, il più delle volte, è chiamato a integrare l’opera
dell’artista. Questi, proprio per tale motivo, non può ostentare «disinteresse
nei riguardi della polis»6, limitandosi a un evasivo e
solipsistico culto di se stesso che tradirebbe i principi di apertura da
sempre cari alla Poesia Visiva.
Luciano Ori, Diari raccolti 1978
1Il riferimento implicito, ma sin troppo evidente, è costituito da S. Žižek
Bruciato dalla Cosa, trad. di F. Conte, in «Allegoria», XVII (maggio-dicembre
2005), n. 50-51, pp. 5-18.
2 Cfr. F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine,
reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Torino, Einaudi, 1993, pp.
19-20.
3 A quasi tutti gli artisti citati venne dedicato un fascicolo monografico di
factotumbook: il primo numero contiene un’antologia mondiale della poesia visiva che si pone esplicitamente come «istruzioni per l’uso delle avanguardie», raccoglie riproduzioni delle opere e scritti apparsi dal 1971 al ’75 su «Lotta Poetica» e presenta la mostra retrospettiva allestita ad Abano Terme, dedicata a quella esperienza editoriale (cfr. Poesia e prosa delle avanguardie. Mostra retrospettiva “Lotta Poetica 1971-75”, factotumbook 1, Calaone-Baone, factotum-art, ottobrenovembre 1978). 4 Cfr. V. Fagone, Una scheda per Lotta Poetica e G. Dorfles, La Poesia Visiva e Lotta Poetica, in ibidem. 5 Cfr. R. Apicella, Poesia visiva degli anni 72, in Poesia visiva internazionale, Galleria ‘Il Canale’, Venezia, dal 7 al 28 giugno 1972. 6 Ead., Publit-Eros, in F. Verdi, Waves, Walls, Stripes, Catalogo della mostra
personale tenutasi nel 1982, presso il Centro Verifica 8 + 1 di Venezia-Mestre
(Verona, factotum-art, 1982).
[da:A. Gaudio, Mai bruciati dalla Cosa. Parole, figure e oggetti dell’inattualità alle origini della poesia visiva in Italia, «Critica Letteraria», a. XXXIX, fasc. III, n. 148, settembre 2010, pp. 592-611] ·
Jiri Kolar, Anticollage
FLeggi anche: new-lotta-poetica