LA POLEMICA CON “IL MATTINO” E LA CRISI DEL TRASPORTO PUBBLICO IN CAMPANIA
In queste ore, le principali organizzazioni sindacali del settore del trasporto pubblico della nostra regione si sono avventurati in una rischiosa polemica contro un fondo - a firma Antonio Galdo (per leggere integralmente l’articolo vai a http://www.positanonews.it/articoli/97998/disastro_circum_ora_deve_finire_lrsquoera_dei_privilegi.html ) - pubblicato sul principale quotidiano napoletano “IL MATTINO”.
Galdo - reo di aver vilipeso l’intera categoria degli autoferrotranvieri - ha fatto sbottare i sindacati perché ha osato usare il termine “privilegiati” scrivendo: “… Ma dietro argomenti ormai noti, si nasconde il vero bersaglio della protesta selvaggia: l’ostinata opposizione a un indispensabile trasferimento di 116 dipendenti chiesto dal commissario Pietro Voci. Qui sta il punto. Voci vorrebbe smontare una macchina infernale di privilegi e di favoritismi che ha consentito a centinaia di persone di andare a lavorare negli uffici amministrativi e nei magazzini, lasciando scoperti i posti di capitreno. Tornare alle vecchie funzioni, per le quali i dipendenti erano stati assunti, significa infrangere un tabù, interrompere una consolidata tradizione in base alla quale avevi un posto per guidare un treno e pochi mesi dopo venivi spostato in un ufficio a scaldare una sedia…”.
Toccati nel vivo, i leader regionali del settore, per una volta, hanno abbandonato il solito atteggiamento reverenziale nei confronti dei media per imbracciare le armi della “lotta”. I sindacati, infatti, per contrastare la strategia di EAV, essenzialmente basata sui tagli al costo del lavoro, hanno scelto di partire con una serie di azioni che, pur nei limiti della legalità, avranno una connotazione di tipo guerrigliero. Infatti, più che sugli scioperi – la cui potenzialità è quasi azzerata dalle norme sulla regolamentazione – la battaglia sindacale si baserà sull’astensione dalle prestazioni straordinarie e, soprattutto, sull’applicazione pedissequa (esasperata?) dei regolamenti.
Come si sa, la guerriglia è una forma di conflitto in cui uno dei due avversari è troppo debole o troppo poco organizzato, per sostenere degli scontri in campo aperto con il nemico. L'esercito guerrigliero, quindi, evita ogni occasione di confronto diretto, e si nasconde disperdendo le proprie forze in unità piccole e molto mobili, che impegnano obiettivi secondari e poco protetti in continue azioni di disturbo. Lo scopo della guerriglia è quello di logorare le forze nemiche, di abbassarne il morale esponendole a rischi continui, obbligandole a consumare mezzi e risorse inutilmente, vanificando i loro sforzi bellici. Mao, grande esperto di questa forma di guerra, definiva la guerriglia come "l'arte di fiaccare il nemico con mille piccole punture di spillo".
Il tentativo di creare difficoltà attraverso il pedissequo rispetto delle norme e il legittimo diniego delle prestazioni straordinarie, nonostante l’indubbio risultato iniziale, cozza, però, con le basi stesse della strategia della guerriglia. Questa si basa, essenzialmente, sulla continua variazione delle azioni di lotta, sull’operare in un territorio sotto controllo e, soprattutto, sull'appoggio della popolazione locale. Come risulterà chiaro a ciascuno di noi, la situazione nel nostro caso specifico è, invece, ben diversa.
Le azioni che è possibile mettere in campo, senza sconfinare nel boicottaggio illegittimo e penalmente perseguibile, sono virtualmente poche, e finiranno per diventare “spilli spuntati”, che faranno solo il solletico alla controparte. Il rifiuto delle prestazioni straordinarie può essere un utile strumento di lotta solo se temporaneo, perché fatalmente si scontrerà con i pregressi impegni economici presi da chi conta sulla retribuzione accessoria per far quadrare il bilancio familiare che ora traballano anche per la concomitante crisi economica.
Ovviamente, poi, per i guerriglieri è fondamentale la possibilità di colpire e “sparire nella boscaglia”. Ma gli autoferrotranvieri, invece, sono bersagli troppo visibili e perseguibili. E perfino l’appoggio popolare è stato minato alle fondamenta. È vulgata comune, infatti, che l’agitazione sia dovuta ai capricci di una categoria di privilegiati che protesta per il ritardo di una sola settimana nell’erogazione degli stipendi o per la perdita di privilegi, così come crudamente ha sottolineato Antonio Galdo nell’articolo incriminato.
La guerriglia, inoltre, deve poter contare su truppe fortemente motivate e/o con morale alto; la scarsa coesione delle forze guerrigliere, disperse e nascoste, le rende vulnerabili alle diserzioni, con fenomeni di mercenarismo (leggi calarsi le brache).
Per evitare queste derive è necessario che gli uomini siano intimamente convinti che i loro sforzi e le privazioni che affrontano sono utili e necessari. Questo implica una propaganda costante e la condivisione assoluta degli obiettivi militari. È mancata, peraltro, una valida strategia di rapporti con l’opinione pubblica che, paradossalmente, in queste ore è schierata con l’azienda più che con i lavoratori, visti come principessine sul pisello da biasimare per la loro incapacità a sopportare il dolore.
Il Sindacato, come si intuisce, non ha finora saputo portare avanti la strategia di guerriglia. Ha peccato, inizialmente, e forse intenzionalmente, nell’individuare lo scenario in cui si sarebbe combattuta la vera guerra, sottovalutandone le reali difficoltà e, soprattutto, la sua lunga e dolorosa durata.
Non basta, infatti, dire no ai tagli e sostenere l’azione di opposizione con lo strumento della lotta guerrigliera. Bisogna cambiare radicalmente la strategia, mettendo al centro una proposta seria e fattibile, che sia alternativa a quella troppo semplicistica dei tagli orizzontali. Che sappia far perno anche sull’aumento della produttività e sulla riqualificazione della spesa. Ma che non si arrocchi sulla difesa dell’indifendibile. Ma un sindacato che ha sempre gestito le relazioni industriali da una posizione di virtuale supremazia sarà capace di cambiare pelle e trasformarsi in oculato governo ombra?
Oppure, come io sostengo da tempo, è arrivato il momento di pensare a forme di governance più distribuite che prevedano l’apporto di tutte le forze realmente interessate a cambiare ma gestendo il cambiamento e non subendolo? La virulenza della reazione di queste ore da parte del personale è un’utile base su cui ancorare la nuova strategia. Le difficoltà che si profilano minacciose all’orizzonte hanno (forse) ridato vita al senso di appartenenza. Ma ora occorre rapidamente cambiare passo ed incanalare tale forza esplosiva nel più proficuo alveo della proposta seria e fattibile per non continuare ad essere tacciati di essere i “difensori dei privilegi”.
Casto Priore