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La polemica sui seminterrati in Sardegna

Creato il 28 novembre 2013 da Alessandro Zorco @alessandrozorco
 

«E’ criminale consentire l’abitabilità dei seminterrati soprattutto nelle zone a rischio di esondazione». Il capo della Protezione civile Franco Gabrielli, sentito dalla Commissione Ambiente della Camera per fare il punto sull’alluvione che lo scorso 18 novembre ha devastato la Sardegna, ha posto con forza il problema dell’abitabilità dei piani seminterrati dopo la tragedia di Arzachena dove è stata decimata una intera famiglia che viveva in uno scantinato e quella di Uras, nell’Oristanese, in cui a morire nelle stesse condizioni è stata una donna. Le parole di Gabrielli seguono a distanza di qualche giorno l’infelice dichiarazione dell’eurodeputata del Pdl Laura Comi, che aveva attribuito la disgrazia avvenuta in Sardegna all’ignoranza delle norme elementari sulla sicurezza, suscitando la rivolta del popolo sardo. Ma, al netto delle polemiche politiche, il nodo della questione posta dai tragici avvenimenti della settimana scorsa è quello dell’opportunità o meno di rendere abitabili i piani seminterrati e del modo più giusto di regolamentare queste situazioni.

Il tema dei seminterrati non riguarda soltanto le persone costrette da una condizione economica disagiata a vivere in umidi scantinati, ma anche le tante persone che magari possiedono una villetta a due piani, ma tendono a trascorrere la maggior parte della propria vita nel seminterrato arredato di tutto punto nel quale, è noto, c’è fresco d’estate e, se ben riscaldato da un caminetto, un bel tepore d’inverno.

La disciplina dei seminterrati

Seminterrati Sardegna
La Sardegna è una delle poche regioni italiane che ha finora regolamentato l’abitabilità dei piani seminterrati. L’articolo 15 della legge regionale numero 21 del 21 novembre 2011 – modificando il primo Piano per l’edilizia varato nel 2009 dalla Giunta Cappellacci – prevede infatti il “recupero a fini abitativi dei seminterrati localizzati nelle zone territoriali omogenee B (completamento residenziale), C (espansione residenziale) ed E (agricole) con l’obiettivo di contenere il consumo di nuovo territorio e favorire la messa in opera di interventi tecnologici per il contenimento dei consumi energetici. Con un’avvertenza, prevista dal comma 2: il recupero a fini abitativi dei piani e locali di cui al presente articolo è comunque vietato nelle aree dichiarate, ai sensi del vigente Piano stralcio per l’assetto idrogeologico, di pericolosità elevata o molto elevata ovvero in aree di pericolosità da frana elevata o molto elevata.

Secondo la legge 21 – oggetto in questi giorni di una feroce polemica politica tra chi attribuisce a queste norme tutte le responsabilità della tragedia sarda e chi invece ne difende l’opportunità – i seminterrati in questione sono considerati abitabili a condizione che abbiano un’altezza minima non inferiore a 2 metri e 40,  aperture per la ventilazione naturale non inferiori a un ottavo della superficie del pavimento ovvero realizzazione di un impianto di ventilazione meccanica per un ricambio d’aria almeno pari a quello richiesto per la ventilazione naturale, adeguati livelli di illuminazione raggiungibili anche mediante sistemi artificiali. Ovviamente la loro abitabilità è condizionata anche al fatto che rispettino le prescrizioni igienico-sanitarie riguardanti l’agibilità previste dai regolamenti comunali.

In base a queste disposizioni insomma, a prescindere dalla paternità della norma (che, come si può ascoltare nel sottostante video, l’ex presidente della Regione Renato Soru e l’attuale presidente Ugo Cappellacci domenica scorsa si sono vigorosamente rimpallati all’Arena di Massimo Giletti)  in Sardegna è vietato abitare seminterrati situati in zone a rischio idrogeologico. Per provare a prevenire tragedie come quelle avvenute una settimana fa bisognerebbe però controllare attentamente l’attuazione delle prescrizioni della legge. E anche capire quanto sono effettivamente applicabili nella nostra regione, visto che 300 dei 377 Comuni della Sardegna sono situati in zone a rischio idrogeologico e che la superficie esposta a tali rischi è di 614 chilometri quadrati su una complessiva superficie totale sarda di 24000 metri quadrati.

Spesso il problema, in Sardegna come nel resto d’Italia, non è solo quello di emanare nuove leggi, che sono anche troppe, ma soprattutto è quello di saperle applicare in maniera efficace.

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Alessandro Zorco
Alessandro Zorco

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