Solidarietà, ecologia, coesione sociale e un utilizzo responsabile del mercato: queste le premesse su cui si basa il Manifesto convivialista. Dichiarazione di interdipendenza pubblicato recentemente da Ets e firmato da intellettuali di tutto il mondo.
Il neologismo “convivialismo”, così come il richiamo alla “interdipendenza”, intendono chiaramente schierarsi a favore della condivisione dei saperi e degli strumenti, in contrapposizione a un utilitarismo egocentrico e insensibile: nel Manifesto si promuove “l’arte di vivere insieme (con-vivere) che valorizza la relazione e la cooperazione e che permette di contrapporsi senza massacrarsi, prendendosi cura degli altri e della natura”.
La posizione del Manifesto non intende demonizzare il sistema economico e il conflitto, anzi: “Il mercato e la ricerca di una redditività monetaria sono pienamente legittimi dal momento in cui rispettano i postulati di comune umanità e di comune socialità, e dal momento in cui sono coerenti con le considerazioni ecologiche”. Il problema non risiede nel mercato stesso, ma nell’esaltazione della figura dell’homo oeconomicus che ha “cominciato ad estendere la validità potenziale delle sue spiegazioni all’integralità delle attività umane”, riducendo tali attività al perseguimento del tornaconto personale, del guadagno, della promozione gerarchica.
I convivialisti individuano quattro principi necessari per l’attuazione di una “buona politica”: la comune umanità che promuove il rispetto della persona al di là delle differenze di razza, nazionalità, genere, posizione sociale; la comune socialità che vede i rapporti sociali come la più grande ricchezza disponibile; l’individuazione, che afferma il diritto per ognuno di sviluppare la “propria singolare individualità in divenire”; l’opposizione controllata, ovvero la legittimazione del conflitto, che “esiste necessariamente e naturalmente in ogni società”, come strumento di confronto.
Il sogno di una “crescita infinita” si è dimostrato non solo fittizio ma controproducente, e le alternative proposte dai promotori del Manifesto consistono in una più equa distribuzione delle risorse con l’adozione di un salario minimo e di un profitto massimo, nell’utilizzo delle nuove tecnologie per la transizione verso una economia eco-sostenibile e nel libero accesso alle reti telematiche, intese come beni comuni per la condivisione delle conoscenze e delle esperienze.
La speranza dei convivialisti è che in questo modo sarà finalmente possibile “influenzare radicalmente i giochi politici istituiti” e sviluppare la creatività necessaria “per inventare altre maniere di vivere, di produrre, di giocare, di amare, di pensare e di sognare”.
Il retroterra culturale da cui il Manifesto proviene è quello del Mauss, il Movimento anti-utilitarista delle scienze sociali, che nel suo acronimo richiama il nome del Marcel Mauss autore del Saggio sul dono. Non è un caso che il promotore del Manifesto sia il sociologo francese Alain Caillé, già fondatore del suddetto Movimento e autore alla fine degli anni Novanta di Il terzo paradigma, in cui proponeva quella che oggi viene definita la “terza via” alternativa a Stato e mercato.
Da parte nostra, ricordiamo che i principi sopra menzionati sono comuni anche ad altre tradizioni culturali, come il popolarismo sturziano e la Dottrina sociale cristiana: la solidarietà, la sussidiarietà, la distribuzione della ricchezza, una economia responsabile per un rapporto non conflittuale tra capitale e lavoro, l’importanza della persona umana, la possibilità di seguire nella vita e nel lavoro la propria “vocazione” – tema tanto caro a Adriano Olivetti – ne rappresentano i capisaldi e potrebbero fornire interessanti contributi a chi, come i fautori del “convivialismo”, si battono per una “buona cultura” e per una “buona politica”.
Marco Cecchini