La sinistra in Italia non è mai stata manettara e giustizialista, non tanto verso i vlasti della società borghese sorpresi con le mani nel sacco, quanto nei confronti dei poveracci che finiscono dietro le sbarre o travolti da vicende nelle quali sono al tempo stesso esecutori e vittime. Quanto questo appartenesse agli umori della base, quanto fosse un comune sentire o solo un indirizzo intellettuale, è difficile stabilirlo e conservo sempre il sospetto che i salotti dell’intellighentja più che rifiutare una legalità di parte che per la destra liberale era semplicemente legalità e ordine, si fossero installate sul crinale che comprendeva sia la questione sociale che i propri privilegi di mondo a parte e crisoelefantino, secondo gli antichi vizi del notabilato.
Comunque sia, proviamo a svolgere il filo e a vedere quanto di questo atteggiamento abbia attraversato intatto il ventennio berlusconiano e come si possa conciliare l’acerrima battaglia, la suprema indignazione contro le deviazioni del tycoon e il perdonismo bagatellare che una parte della sinistra mutante secerne nei confronti della vicenda Cancellieri. Ne ha parlato Anna Lombroso proprio oggi, di questa ondivaga benevolenza, di questa impalpabile cipria rosa che sembra cadere sulla ministra attutendo gli effetti di una vicenda per molti versi assai simile a quella della nipote di Mubarak e che anzi offre risvolti ancora più inquietanti di familismo clientelare e di una lunga militanza a favore dei Ligresti svoltasi all’interno delle istituzioni pubbliche.
Tiriamo il filo e ci accorgiamo però che esso è spezzato e che il solo capo che teniamo in mano è un non senso: infatti il perdonismo della sinistra derivava dalla convinzione che fosse l’ingiustizia sottostante alla società capitalistica a indurre la violazione di leggi fatte apposta per la sua perpetuazione. Forse era vero solo in parte, forse nasceva da un’antropologia incompleta, ma aveva comunque un senso l’avversione al tintinnio delle manette inteso nel suo generale senso repressivo. Nel momento però in cui l’ingiustizia e la diseguaglianza sono state accettate come normali, necessarie e magari pure immutabili , processo cominciato con Craxi e interamente maturato nel Pd, ci troviamo di fronte a un pasticcio nel quale mentre permane come riflesso una vaga avversione al rigore legale, si sono perse le tracce delle sue ragioni. Per questo un perdonismo privo ormai di etica e politica viene generalmente esercitato in concreto solo sui potenti e sui famigli con assoluta discrezionalità e spirito di convenienza. La convergenza concreta con la destra oligarchica che alligna in Italia è così completata.
In questo modo il tanto invocato garantismo che in sé è assolutamente ovvio quando non viene stiracchiato a impunità di fatto, diventa il sudario dietro il quale nascondere lo stato di corruzione e disgregazione generale, salvo quando è attuato da avversari veri, presunti o ex, oltre che fonte di un’umanità occasionale e sempre pelosa: la povera ragazza da aiutare, il così fa tutti o nel caso in questione la situazione carceraria che è rimasta praticamente invariata dall’autunno del 2006 e vittima di un opportuno letargo morale. Gli ultimi sono ormai dei comodi alibi per i primi. Eppure le carceri potrebbero ritrovare un qualche aspetto civile permanente e non effimero con poche modifiche legislative, disgraziatamente avversate per spirito inutilmente punitivo proprio dagli inflessibili perdonisti dei milionari, ormai bipartisan.