Ottocentosettanta miliardi di euro. Oltre la metà del PIL italiano. Sono i soldi che le banche dell’eurozona tengono fermi presso la Banca centrale europea di Mario Draghi. Su questa montagna di denaro gli istituti di credito guadagnano quasi nulla, appena lo 0,75%.
Il lavoro delle banche, raccontano sinteticamente i libri di testo, è quello di raccogliere il risparmio delle famiglie e prestarlo ad altre famiglie e imprese che hanno bisogno di denaro, ad esempio per comprare una casa o investire in un capannone industriale, una serra, un software costoso. Le banche applicano un tasso di interesse ai prestiti, così realizzano un profitto. In altre parole, una banca deve prestare denaro se vuole guadagnare. Se non lo fa, va in perdita.
Per questo ciò che continua a succedere presso la BCE è qualcosa di anomalo e grave. Le banche tendono a non prestare denaro ad altre banche, famiglie e imprese. Mantengono i soldi nella cassaforte virtuale di Mario Draghi, accontentandosi di una remunerazione misera.
Le cose non sono migliorate quando Draghi ha azzerato gli interessi sui depositi. Tutto ciò che hanno fatto le banche è trasferire i fondi dai depositi al conto corrente che ogni istituto di credito ha presso la BCE, dove continuano a guadagnare lo striminzito 0,75% (si veda il grafico all’inizio di questo articolo).
Ma se le banche guadagnano prestando denaro a famiglie e imprese, perché ora sono così restie a farlo? La risposta è che hanno paura di non rivedere mai più i soldi che presterebbero. Un diffuso, pervasivo e difficilmente superabile sentimento di terrore pervade il banchiere al solo pensiero di dare un euro ad un collega, ad un’impresa o ad una famiglia. Non è tanto il ricordo del collasso del sistema finanziario nel 2007/2008. E’ la consapevolezza che nessuna banca nell’eurozona è sana e che l’economia reale è in crescente difficoltà. Nessuna banca può garantire al 100% di essere in grado di restituire i soldi prestati da un’altra banca. Le banche spagnole, ad esempio, sono costrette a chiedere il salvataggio da parte dello stato. Ma che dire di quelle tedesche? Non stanno meglio: se le banche spagnole (e degli altri paesi periferici) non restituissero i prestiti contratti con gli istituti di credito tedeschi (e francesi), anche il sistema bancario della Germania (e della Francia) andrebbe a picco.
Questa particolare situazione, in cui l’incertezza è massima e la moneta rappresenta ciò che più di sicuro si ha a disposizione, ricorda da vicino quella che nella letteratura economica keynesiana viene indicata come una elevata “preferenza per la liquidità”. L’originale formulazione di Keynes riguardava i risparmiatori, ma Keynes stesso e alcuni autori post keynesiani hanno esteso il concetto alle banche che, in un periodo di crisi, possono scegliere una stretta sul credito, mostrando di preferire le attività liquide, in particolare la moneta. E, per separarsi da essa, pretendono tassi di interesse maggiori, sterilizzando almeno parzialmente gli sforzi della banca centrale per abbassare il tasso di interesse (si veda in proposito l’articolo segnalato alla fine di questo post) e rendendo più difficile la ripresa.
Per uscire da questa situazione non vi sono molte strade. Quando la politica monetaria fallisce, o comunque si dimostra insufficiente per avviare l’economia reale verso la ripresa, rimane un’unica soluzione, dolorosissima per i seguaci più ingenui o dogmatici del libero mercato: deve intervenire il settore pubblico per spendere ciò che i privati non vogliono o possono spendere. Deve farlo in deficit, cioè non deve gravare con ulteriori tasse su una economia già sofferente, ove possibile “monetizzando” tale deficit, attraverso la stampa di nuova moneta.
Esattamente il contrario di ciò che Mario Draghi chiederà ai paesi periferici dell’eurozona, che verranno costretti a ulteriori dolorose politiche di austerità in cambio di un po’ di ossigeno per tenere bassi i tassi di interesse sui titoli di stato (peraltro solo quelli a breve scadenza). Un uso “disciplinare” dell’emissione monetaria che appare come l’estrema incarnazione del concetto di “indipendenza della Banca centrale”: non solo essa non deve assecondare le politiche fiscali dei governi, al fine di contenere l’inflazione, ma deve imporre agli stati il massimo del rigore, approfittando del suo potere di stampare denaro col quale acquistare titoli di stato.
Per questo lo scontro tra Draghi, la Bundesbank e il governo tedesco è tutto interno alla logica del “rigore” e per i motivi che abbiamo esposto non porterà l’Europa fuori dalla depressione.
Per approfondire il tema della preferenza per la liquidità delle banche è utile leggere: Ferdinando Ferrara ”Moneta endogena, disponibilità di credito e preferenza per la liquidità” in “Monte dei Paschi di Siena - Studi e note di economia” 1/1998
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