L'ho incontrato due giorni fa, inaspettatamente privo del suo accessorio. Sembrava nudo davanti alle intemperie della vita. Oramai è in pensione; ma quel vecchio cronista per nulla al mondo avrebbe contravvenuto alla regola della preghiera laica mattutina. Istantaneamente ho pensato ad uno sciopero improvviso, ma sono tornato in me in breve tempo: sono giornalista anch'io. Ne avrei avuto notizia. A togliermi di dosso quel fastidioso dubbio ci ha pensato l'adorabile anziano che avevo davanti. “Mi serve un collegamento a Internet in tempo zero. Dammi una mano”. Per meglio esplicare la sua richiesta mi ha mostrato un netbook ultima generazione. Ho sorriso, ma quella era la risposta.
Ci sono parole che meglio di qualsiasi altra riescono a rendere l'idea. Una di queste è stata coniata dagli americani: è social currency, la moneta sociale. Serve ad indicare quelle informazioni spicciole che usiamo per relazionarci con le persone che abbiamo intorno: amici, colleghi, parenti.Che tempo fa, i malanni vari, le vicissitudini lavorative. Ma anche lo sport, la politica, la cronaca cittadina, i programmi della Tv. Fino a poco tempo fa, il principale veicolo di social currency erano i quotidiani. Ogni mattina lo sfoglio dei giornali forniva gli argomenti di cui parlare in ufficio, a pranzo, a scuola. Oggi non è più così (e mai più lo sarà).
Secondo uno studio internazionale commissionato dall'Associates Press, la banca centrale della moneta sociale è diventata la Rete, il Web, l'E-mail, i Blog. Prima chi voleva darsi un tono, andava in giro con il quotidiano preferito sotto il braccio. Oggi apre una pagina su Facebook...