Magazine Psicologia

La presenza al confine.

Da Davide

Quando si disserta di psicoterapia si tende ad immaginare un lettino, due persone, una che parla e l’altra che ascolta, oppure due persone faccia a faccia che si confrontano su tematiche specifiche, un teraputa che esercita la sua conoscenza utilizzando delle  tecniche e così via.

E’ tuto vero, di fatto molti chiamano l’intervento psicoterapico “terapia della parola”.

Vorrei però farvi notare come moltissime informazioni, normalmente, le inferiamo da altre fonti: la cosiddetta comunicazione non verbale, espressione inflazionata, che potremmo ridefinire come relazione intercorporea (M. MARLEAU─PONTY, M. SPAGNUOLO-LOBB, G. SALONIA).

Interagiamo a livelli diversi, e va sottolineato non separati, muovendoci secondo inferenze che spesso sfuggono alla consapevolezza. Facciamo un esempio: ho appena preso un pugno da un ragazzo agitato perché molto preoccupato di alcune sensazioni dovute ad un delicato cambio di terapia psicofarmacologica. Senza entrare nel merito, nelle diagnosi, nel processo terpeutico (vedi SFUMATURE E FRATTURE IN SALUTE MENTALE, nella pagina PSICOTERAPIA sotto PUBBLICAZIONI), per farla breve, ricostruendo il momento di difficoltà riusciamo a mettere insieme la sensazione di non controllare le ginocchia con un fatto apena accaduto, l’aver visto un altro ragazzo in carrozzina. La paura suscitata da questa combinazione è diventata confusione: il paziente ha chiesto rassicurazioni, ma io non sapendo dell’incontro con la carrozzina sono stato evidentemente sbrigativo nel fornire le rassicurazioni. Inoltre, va notato che la modifica della terapia non è tanto condivisa dai medici, i quali esprimono senza volerlo e senza accorgersene la titubanza; è significativo che dopo il pugno il paziente mi abbia chiesto se io volessi farlo finire in carrozina, e mi abbia accusato-incolpato per le sensazioni alle gambe.

Cosa centra tutto questo con il tema sopraesposto?

Direi tutto, e nel titolo è già spiegato del resto.

La qualità della nostra presenza al confine di contatto con l’altro da sé è ciò che fa la differenza.

Esistono meccanismi di simulazione incarnata (Gallese, Rizzolati), che dimostrano il

come accade l’incontro tra persone che chiamiamo relazione. Nell’area della neuroscienza avanzata stiamo osservando come la comprensione dell’intenzionalità dell’altro, fondamentale informazione per la co-creazione di un ground sufficientemente sicuro per incontrare l’altro da sé, sia garantita da una specifica famiglia di neuroni, denominati specchio, che si attivano per riverbero, per risonanza con analoghi neuroni coinvolti nell’azione di chi stiamo osservando. Nelle patologie più invalidanti, vedi l’autismo, un deficit di questi neuroni spigherebbe il perché della difficoltà nell’intelleggere la situazione sociale, nella competenza comunicativa ed in quella esecutiva di specifiche azioni quali l’imitare, il ritmare la relazione, il condividere l’attenzione etc.

Nella relazione si nasce, si cresce, ci si ammala e si guarisce, nella relazione si è; la qualità del nostro esser-ci-con ci definisce.

 


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