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La prima neve (come la si vede da sempre)

Creato il 15 settembre 2013 da Lagrandebellezza @LaGranBellezza

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La prima neve parte bene, come un fiume in piena che raccogliendo insieme tante cose si ingrossa, tante tematiche sono trascinate, trattate o accennate. Poi la corrente sembra affievolirsi, assottigliarsi: lo spettatore che alla foce-fine del fiume-film si aspetta di farsi un bel bagno, non raccoglie che qualche goccia che è rimasta.
Sembra sempre più difficile porre un finale soddisfacente nei film che si girano in questi anni. E se l’opzione, ormai diventata banale, del finale aperto o non completamente risolto, sembra essere la scelta preferenziale, chi azzarda un finale compiuto si prende una bella responsabilità, assieme a molti rischi. Lo spettatore odierno, checché se ne dica, è esigente, maturo (forse inconsciamente), e sa tenere bene in mano i fili di un’opera cinematografica, almeno quelli dalla struttura facilmente risolvibile.
La prima neve è un film semplicissimo, non è una pecca anzi, ma proprio per questo non avrebbe dovuto scegliere la via più scontata per il finale, là dove opere di questo tipo acquistano principalmente valore.

Al centro dell’opera è la contrapposizione-attrazione tra due personaggi speculari, complementari, perciò preannunciatamente incastrabili. Dani è un uomo fuggito dal Togo assieme alla moglie incinta che perderà la vita durante il viaggio donandola però alla figlia che nasce sana e con i suoi profondissimi occhi neri. Michele è un bambino, coraggioso e ribelle, che dopo la morte accidentale del padre ha perso il suo nord, la sua guida morale, il suo modello umano.
L’incontro tra i due avviene a casa del nonno di Michele, infaticabile apicoltore, scelto con tante rughe quanta è la sua saggezza d’uomo d’altri tempi, presso il quale Dani lavora in attesa di un permesso di soggiorno. Il suo obiettivo è partire per Parigi e raggiungere conoscenti e non che hanno fatto la sua stessa strada, ma dentro di sé non accetta questa fuga, amava tantissimo il suo paese e sua moglie ed ora non riesce a guardare in quegli occhi piccoli in cui c’è tutto il suo passato. Nel legno intaglia un ritratto della moglie che lascia vicino la culla la notte che vorrebbe fuggire, ma Michele che nel frattempo, incuriosito dal suo carattere schivo ma forte, dal suo “venire da lontano”, ha ritrovato sempre più in lui la persa figura paterna, lo costringe (con le buone!) a restare.

Più che una storia di integrazione (nessuno ha problemi o ritrosie nei suoi confronti) quella di Dani è la storia di chi, lasciando la sua terra, deve trovarne un’altra, che non vuol dire soltanto una sistemazione economica, bensì una stabilità di affetti.
I paesaggi del Trentino, non sono certo di una terra che respinge, la loro bellezza non può che attrarre. I boschi sono il luogo prediletto per la ricerca di sé: mentre Michele e Dani cercano la legna forse stanno cercando ciascuno nell’altro quel qualcosa che manca, quel qualcosa di cui sentono irrimediabilmente il vuoto.
La cosa più bella del film forse sta proprio nella gestione e rappresentazione degli ambienti, curati e del tutto realistici, dal palazzo di Dani alla casa costruita nel bosco da Michele e i suoi amici, fino alla prima, bruciante e bellissima prima neve, di cui Dani aveva tanta curiosità. Ora la terra gli ha dato quel che voleva ed a lui è richiesto ricambiare. Tutto è trattato con stupore, con consapevolezza di affascinare.

Certo che presentare quest’opera di Andrea Segre nella sezione Orizzonti di Venezia 70, che dovrebbe essere un concorso “dedicato a film rappresentativi di nuove tendenze estetiche ed espressive del cinema mondiale, con particolare riguardo per gli esordi, gli autori emergenti e non ancora pienamente affermati, le cinematografie minori e meno conosciute, ma anche opere che si misurano con i generi e la produzione corrente con intenti d’innovazione e di originalità creativa”, è alquanto un azzardo. È un film godibile, buono per i suoi intenti, ma comunque piccolo, riuscito mediamente, che non riesce mai a staccarsi dall’essere un bel racconto e poco più. La materia è trattata in maniera ovvia, classicissima, come fa a rappresentare nuove tendenze estetiche? Forse è da tenere in conto la tendenza mondiale, non certo nuova, della ripetizione dei buoni vecchi schemi cinematografici?
Se così fosse…

Trailer: http://www.youtube.com/watch?v=JrsJECo8qao
In sala dal 17 Ottobre

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