Il gene del verme. Fonte PaperBlog.
Con la vecchissima legge del bastone e della carota, i grandi burattinai tengono alta la tensione su altre questioni, cercando di sviare l’attenzione su affari molto più importanti.
Così qualche mese fa abbiamo imparato che Sharon Stone sconfisse il cancro bevendo il caffè e le malattie cardio vascolari si possono prevenire con un bicchiere di vino rosso (quello bianco invece, fa solo male, boh…). Di più. Una indagine di qualche misteriosa università americana ci solleva il morale dicendoci che la vita media si alzerà fino alla soglia di 128 anni (perchè non arrotondare fino a 130, cribbio!), grazie al gene di un non ben specificato verme.
A parte la fastidiosa sensazione di essere il balia delle lobby mondiali (coltivatori di caffè, viticoltori, allevatori di vermi), resta l’impressione che l’informazione scientifica si strutturi secondo regole di una spassosa novellistica.
L’era della tecnologia non ha ancora generato – nonostante il prodigioso moltiplicarsi di mezzi comunicazione, oppure anche in ragione di quello – un metodo linguistico consono alla realtà. Quello che accade nei laboratori è argomento da bar e da piazza del mercato e viene trattato quasi con superstizione. Tutti si approcciano con credulità religiosa o con scetticismo beffardo; tutti atteggiamenti prescientifici e preistorici che non hanno niente a che vedere con la realtà. A questa stregua, è molto difficile stabilire una diversità tra il culto della Madonna del Carmelo e quello del verme della longevità. L’attesa fiduciosa di un miracolo (o l’autodifesa dall’inganno) ci restituisce alla nostra atavica condizione di “folla in passiva attesa”. Per la religione può anche funzionare.
Ma per la scienza?…