Se esistesse un «club dei fan della barrique», soliti lettori, temo che la sottoscritta ne sarebbe socia onoraria.
Sì: amo la barrique.
L’amo incondizionatamente.
«Scusa l’ignoranza, Scribacchina: che stai blaterando? Cos’è ‘sta… ”barrique”, l’hai chiamata?».
Ignoranza perdonata, solito lettore. La barrique di cui vado decantando le lodi è il seguente barilotto in puro rovere, capacità 225 litri più o meno:
Sua funzione è quella d’accogliere il vino, coccolarselo per qualche mese e rendervelo – come per incanto – straordinariamente migliorato: arricchito di corpo, il nettare d’uva diventa un tripudio di caldi sentori speziati.
Un morbido gusto che m’intriga all’inverosimile.
Scribacchina «fan della barrique» predilige dunque i vini passati in legno, bellamente snobbando i fratelli che han visto soltanto acciaio.
Non vi stupirete perciò d’apprendere come la sottoscritta si sia sottoposta di buon grado, qualche settimana fa, ad una degustazione collettiva di Brunello di Montalcino. Prima volta in assoluto che il pregiato vinello toscano faceva tappa a Bergamo, complice l’impegno della sede locale dell’Associazione Italiana dei Sommelier (AIS).
Ah beh, direte: parliamo di Brunello, mica di patatine.
La stessa cosa che pensai pur’io, quando ricevetti l’invito per la kermesse.
«E qui casca l’asino, Scribacchina: su Google c’è scritto che il Brunello non viene passato in barrique ma in tonneau…»
Ma sì, solito lettore, non stiamo a sottilizzarci.
Barrique o tonneau, sempre legno è.
***
Partii dunque alla volta di Bergamo, capoluogo dell’omonima provincia.
Abbigliamento nero, elegante ma sportivo (già lo sapete: la Scribacchina seria si riconosce pure dall’abito). La tasca destra dei pantaloni rigorosamente vuota (nessun rimando al piccolo universo politico italiano, sia ben chiaro); la sinistra piena zeppa della mia innata curiosità; la borsa extralarge custode d’una certa faccia tosta che ultimamente m’è fida compagna.
Lungo la strada e alla disperata ricerca d’un parcheggio agratis al piazzal della Malpensata (uno ci tenta sempre, soliti lettori) almanaccai rapidamente i varii produttori, tra i quali v’era un interessante Loacker e un altrettanto interessante Ferrero.
Ohibò, mi dissi: vuoi vedere che ho preso un abbaglio? Che m’attende una degustazione di Wafer e Nutella?…
***
Debbo dir la verità: del Brunello conoscevo ben poco, avvezza come sono – ma solo per questioni geografiche – alle degustazioni di Valcalepio, Franciacorta e vinelli del nord Italia. Fu dunque con grande interesse (e con un notevole bicchiere di Brunello in mano) che seguii la presentazione per soli scribacchini del blasonato nettare toscano; vi risparmio i dettagli, giacché non è mia intenzione tediarvi con dati, analisi sensoriali e altre minuzie che – mi rendo conto – non a tutti posson risultar graditi.
Vi dirò soltanto che in un momento topico, in una infinita pausa tra una parola e l’altra del relatore, sentii un debole rumore alle mie spalle; improvvisa, una debole pioggia color rosso rubino si depositò sulla sottoscritta.
Avvenne ciò che tutti noi temiamo e che soltanto il signor Procter & Gamble, babbo di tutti gli smacchiatori per tessuto, saluta con grandi inchini: un incauto collega, forse sovrappensiero, mi rovesciò addosso il contenuto del di lui bicchiere.
Dannazione al collega e dannazione al Brunello.
…
Però.
Mi resi immediatamente conto di quanto fosse stato geniale scegliere una mise total black: niente macchie visibili, niente imbarazzo nel proseguir la degustazione alla sala superiore – salvo un certo leggero olezzo alcolico, ma quello, capirete, in tale location e in mezzo a tanta fauna di gomito del Brunellista munita, non sarebbe stato il principal problema.
Mi resi inoltre conto che la eau de toilette che avevo indossato per l’occasione – un agrumato con sentori di talco – ben si sposava coll’aroma del preziosissimo Col D’orcia 1999 del quale ero stata testé aspersa.
Va detto, ad onor di cronaca, che il collega che mi battezzò si dimostrò estremamente contrito e s’offri di portar in quella che comunemente vien chiamata «pulitura» la sottoscritta e il suo rivestimento. Reputai non fosse il caso d’approfittar di tanta gentilezza.
Approfittai invece della fine dell’incontro-presentazione cogli scribacchini per sgattaiolare al piano superiore, dove facean bella mostra di sé i migliori Brunelli. Mancava all’appello il Col D’orcia di cui sopra, la cui straordinaria annata, il 1999, me lo rese ancor più caro (tutto ciò al di là della valutazione tecnica tout-court).
Tra un Rosso di Montalcino e un Brunello, dunque, mi diressi spedita al banco del Loacker, convinta di trovarvi un nanetto di wafer munito (era tardo pomeriggio, soliti lettori: lo stomaco iniziava a parlottare tra sé e sé). Scopersi invece, con mia gran sorpresa, che il Loacker presente era un produttore di vino, ed era nientepopodimeno che il fratello del Loacker dei wafer – non domandate s’era un nanetto pure lui: non era presente alla rassegna e non v’eran sue immagini sul dépliant aziendale.
Ancor stupita per l’interessante scoperta, scorsi colla coda dell’occhio, a pochi tavoli di distanza, l’expo del produttor Ferrero; preferii tuttavia evitare un incontro ravvicinato e snobbai senza remore il di lui Brunello: non avrei potuto reggere la notizia che pure il fratello del Signor Nutella s’era dato alla vinificazione. Preferii restar nel dubbio e dedicarmi ad altri produttori – che, va detto, eran in gran numero, e ottimamente forniti.
Colla testa piena di chocolat e colle papille gustative ancor incantate dal meraviglioso nettare, improvvisa ebbi una visione. Si materializzò di fronte a me la Storia dell’Associazione Italiana Sommelier: Jean Valenti, vero signore d’altri tempi, fiero possessore della tessera numero uno dell’AIS. Non seppi trattenermi: lo placcai con tutto il garbo di cui son capace, presentandomi con una gran stretta di mano e dicendomi estremamente enchantée di far la di lui conoscenza.
Da gran galantuono, Monsieur Jean rese i complimenti alla scrivente Mademoiselle, che – sarà stato il Brunello, sarà stata la parlata français di Monsieur – andò letteralmente in brodo di giuggiole.
***
Com’ebbi a dire più volte su queste paginette virtuali, le cose belle durano poco: finì pure l’incontro ravvicinato col magico mondo del Brunello.
Però però. Ragioniamo.
Se questa fu la prima volta del Brunello a Bergamo, posso ipotizzare che ve ne sarà una seconda, magari anche una terza e una quarta. E – perché no? – pure una quinta.
Cari i miei soliti lettori: chi vivrà, vedrà.
Nel frattempo, se gradite il soggetto, v’offro volentieri quattro dita d’uno tra i miei classici: Satèn Bersi Serlini, annata a vostro piacimento.
… Come come? Domandate che c’entra lo «champagne de noantri» col Brunello?
Nulla. Ovvio.
… Perché, v’è mai capitato di trovar accostamenti incoerenti su Numéro 091277?