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La “Primavera Araba” un anno dopo

Creato il 14 agosto 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
La “Primavera Araba” un anno dopo
In corso di stampa

Geopolitica, vol. I, no. 2 (Estate 2012)

LA “PRIMAVERA ARABA” UN ANNO DOPO

 
A distanza d’oltre un anno dall’inizio della cosiddetta “Primavera Araba”, è possibile trarne un primo bilancio. Si è trattata d’una rivolta popolare o di congiure di palazzo? È stata un fenomeno genuino e spontaneo, oppure eterodiretto anche dall’esterno? Sta portando all’affermarsi del liberalismo o a un risveglio islamico nel mondo arabo? Quali potenze stanno avvantaggiandosi e quali perdendo posizioni a causa degli eventi? A questi e altri interrogativi cerca di rispondere il numero 2 del primo volume di “Geopolitica”, tenendo presente che la “Primavera Araba” è un fenomeno lungi dall’essere terminato: la lotta infuria ancora in Siria, le proteste riscaldano il clima in Arabia Saudita e Bahrayn, la situazione è interlocutoria in Egitto, Tunisia e Libia. La parola fine sulla “Primavera Araba”, che forse tale non è, dev’essere ancora scritta.
 

Sommario dei contenuti:

 

Editoriale

 
Le rivolte arabe: ripercussioni regionali e politica mondiale

Tiberio Graziani

I tumulti cominciati in Nord Africa nel dicembre del 2010, poi estesisi lungo lo scorso anno in gran parte del mondo arabo e culminati con l’aggressione militare alla Libia, oltrepassano il contesto regionale e si inquadrano nella strategia statunitense volta al controllo militare, economico e politico non solo del Mediterraneo, ma anche del Medio Oriente e dell’Africa. A più di anno dall’inizio della “Primavera araba” viene proposta una sintetica valutazione del suo impatto nel processo di transizione uni-multipolare.

 

Focus

 
La transizione geopolitica e le rivolte in Vicino Oriente

Côme Carpentier de Gourdon

Il processo di transizione geopolitica, che vede la potenza egemonica occidentale arretrare e quella dei paesi “emergenti” avanzare, fa sì che il mondo musulmano sperimenti un incessante mutamento interno. Le rivolte arabe del 2011 s’inseriscono nella lotta contro il modello dominante occidentale, o al contrario sono manovrate dall’Occidente? Quattro forze principali agiscono oggi dall’interno del mondo musulmano: l’ideologia wahhabita, la Turchia post-kemalista, il radicalismo sciita e il salafismo d’ascendenza egiziana. Scarso rilievo ha invece il liberalismo occidentalizzante. Il mondo musulmano è così soggetto a una forza centripeta per l’integrazione in un califfato pan-islamico, ma nel contempo anche ad una centrifuga per il separatismo di varie tribù e etnie locali. Gli Stati derivanti dall’epoca coloniale potrebbero crollare sotto tali spinte, ma la regione così indebolita rischia di diventare ulteriormente succube di grandi potenze esterne.

 
Le rivolte arabe fra mano invisibile e disgregazione sociale: l’interpretazione politica e sociale delle rivolte arabe

Ghomari Taibi

Un anno dopo la Primavera Araba è possibile osservare come i dirigenti politici arabi, di fronte allo scoppiare d’eventi di violenza che minacciano seriamente la stabilità locale, siano pronti a ricorrere a spiegazioni pre-confezionate del fenomeno. La più gettonata è quella che chiama in causa la “mano invisibile” dietro le rivolte, che può essere una cospirazione interna per acquisire potere a livello nazionale, oppure una cospirazione internazionale per depredare il paese delle sue ricchezza. Si tratta di un’ipotesi politica, che non manca affatto di fondamenti, ma è destinata a rimanere tale perché mira più a giustificare la repressione e l’élite al potere che a comprendere le rivolte. L’ipotesi sociale, che guarda alle cause interne alla società del fenomeno di protesta e rivolta, meglio si presta ad un approccio scientifico. D’altro canto, pur accettando che l’ipotesi politica può essere provata e la cospirazione rivelarsi una verità, essa non avrebbe potuto avere successo senza una serie di fattori sociali che ne hanno reso possibile l’esecuzione. In quest’articolo si vuol dimostrare come le rivolte e le proteste che hanno sconvolto il mondo arabo nel 2011 siano state agevolate dalla disintegrazione di tutte le strutture portanti della società araba realizzatasi negli ultimi decenni.

 
Il discorso di Obama al Cairo, sparo d’apertura della Primavera Araba

Mahdi Darius Nazemroaya

Molto è stato detto della Primavera Araba a livello macro-strutturale e della sua geopolitica, ma poco si è discusso circa la connessione alla direttiva di Obama di “ri-coinvolgere il mondo musulmano”, e dell’interrelazione tra il Dipartimento di Stato USA, il settore della società civile ed una rete d’attivisti arabi addestrati negli Stati Uniti. Nell’articolo si sostiene che il discorso di Obama al Cairo nel 2009 (“Un nuovo inizio”) rappresentò lo sparo d’apertura della Primavera Araba. Non è un caso che molte delle figure-chiave nella Primavera Araba abbiano firmato una lettera di sostegno pubblicata dal Center for the Study of Islam and Democracy (CSID) dopo il discorso di Obama. Oltre ad essere sostenitori del Project for a New American Century (PNAC), molti dei firmatari di rilievo erano collegati all’Amministrazione Obama attraverso una rete di partnership, che si stava preparando a schierare loro ed i loro gruppi durante il corso della Primavera Araba, da Tunisia ed Egitto a Libia e Siria.

 
Costi (e profitti) di un anno e mezzo di “rivolte arabe”

Giovanni Andriolo

Le cosiddette “rivolte arabe” del 2011, e i loro strascichi pesanti del 2012, hanno causato diversi cambiamenti non soltanto nella politica e nella società dei paesi coinvolti, ma anche nei rispettivi andamenti economici. Lo stato di guerra, anche prolungato, in alcuni paesi, l’imposizione di sanzioni a livello internazionale in altri, la crescita delle esportazioni per sopperire alla carenza di alcune risorse (leggasi petrolio) in altri ancora, sono dinamiche che hanno influito pesantemente sulle casse degli stati arabi, in modo positivo o negativo. L’analisi di questi andamenti, e l’identificazione dei paesi che hanno tratto profitto e di quelli che hanno subito danno dalle “rivolte”, aiuteranno a capire meglio le scelte compiute dai rispettivi governi nel corso dell’ultimo anno e mezzo.

 
L’anno che ha sconvolto il mondo

Eric Walberg

La Primavera Araba del 2011 è una rivolta contro il capitalismo e l’imperialismo paragonabile alla Rivoluzione d’Ottobre russa del 1917: oggi come allora la rivoluzione comincia nell’anello più debole del sistema imperiale, ma al posto del comunismo c’è l’islamismo. Gli USA e i loro alleati cercano di domare questo processo sfruttando gl’istituti finanziari di Bretton Woods e l’alleanza con le monarchie conservatrici del Golfo. Decisiva sarà la capacità della Russia di fare da contrappeso a Washington e degl’islamisti di garantire una certa indipendenza politica ai paesi arabi.

 
Siria: una nuova polveriera nel “Grande Medio Oriente”

Vagif Gusejnov

Il conflitto interno alla Siria, semplicisticamente descritto dalla maggioranza dei media del pianeta come una repressione brutale di rivolte pacifiche, è dovuto ad un intreccio complesso di cause endogene e fattori esterni. Nell’articolo vengono esaminati i problemi economico-sociali del Paese che hanno dato origine alle rivolte e le dinamiche dell’ingerenza di Qatar e Arabia Saudita, intenzionati a contrastare un importante alleato dell’Iran nella regione.

 
Siria: la follia ha del metodo

Luiz Alberto Moniz Bandeira

I paesi occidentali stanno cercando di sfruttare le rivolte arabe per prendere il controllo del Mediterraneo, isolare l’Iran ed estromettere Russia e Cina dalla regione. Nel caso della Siria, una motivazione ulteriore e non di poco conto per il sostegno alla ribellione è anche il desiderio d’acquisire il controllo sulle risorse petrolifere del bacino orientale del Mediterraneo. Questo aiuta a spiegare perché i ribelli siriani continuino a combattere malgrado la dura repressione del governo di Damasco.

 
Il Qatar: l’emergere di una piccola-grande potenza

Francesco Brunello Zanitti

Le rivolte arabe del 2011 hanno rappresentato una svolta storica le cui conseguenze sono ancora in divenire. In questo contesto è emerso il particolare ruolo assunto dal Qatar, il quale ha consolidato nell’ultimo anno un’ascesa
geopolitica iniziata circa quindici anni fa. Negli ultimi anni il paese arabo si è dimostrato, inoltre, un importante interlocutore diplomatico, mediatore tra diversi attori in conflitto in diverse zone del Vicino Oriente e dell’Africa,
in particolare in Libano, Sudan e Yemen. Quali sono le origini storiche di questo fenonemo geopolitico e perché proprio questo paese arabo è stato in grado di compiere una simile ascesa?

 
La Primavera Palestinese: limiti delle opportunità politiche e resistenza all’autoritarismo nei Territori

Amy Kishek

Vantando una lunga storia di lotta nazionale, e una società civile attiva, la Palestina sembrava essere il luogo perfetto per una mobilitazione di massa nel contesto della Primavera Araba. Tuttavia, non c’è stato molto movimento. Piuttosto, la situazione strutturale, sociale e contingente ha minato qualsiasi desiderio di cambio di regime e di legittimazione democratica. Questo saggio utilizza la Teoria del Movimento Sociale per esaminare l’attuale situazione nei Territori Occupati attraverso sondaggi dell’opinione pubblica e analisi accademiche della “doppia occupazione” dei palestinesi. In breve, a dispetto delle apparenze, di prolungate tensioni politiche e di risorse, i Palestinesi hanno limitate opportunità a causa delle strutture dell’Autorità Palestinese e dei vincoli dell’Occupazione.

 
La Libia un anno dopo: un bilancio sconfortante

Aleksandr Kuznecov

A fronte dell’accentuazione dei tratti autoritari del suo governo, negli ultimi anni al-Qaḏḏāfī era riuscito a condurre un’ambiziosa politica economica, con progetti finanziari in grado di rendere la Jamāhīriyya un polo d’attrazione nel Nord Africa. Grazie ad un’intensa attività diplomatica la Libia rappresentava anche un importante broker nella regione. La guerra condotta dalla NATO sotto l’egida francese non soltanto ha fatto esplodere le tensioni tribali interne alla Libia, ma ha avuto un effetto domino in gran parte dei Paesi confinanti. Nell’articolo vengono esaminati le cause dell’intervento militare, lo svolgimento delle operazioni e le conseguenze della caduta di al-Qaḏḏāfī.

 
La Cina in Nord Africa, prima e dopo la primavera araba. Il caso libico

Andrea Chiriu & Laura Tocco

I legami fra Cina e paesi arabi sono di lunga data, ma è soprattutto a partire dagli anni Novanta che Pechino ha iniziato a investire in maniera significativa nei paesi della sponda settentrionale del Mediterraneo. Per quanto concerne il contesto libico, la Cina si è impegnata prevalentemente nel settore delle infrastrutture e in quello energetico. In tale scenario, la presenza cinese in Libia è andata crescendo insieme alla generale attività cinese nell’intero continente africano. Questo dinamismo ha comportato, oltre all’inserimento delle imprese cinesi, anche l’arrivo di manodopera dalla madrepatria. Al riguardo, la risposta della società libica a tale fenomeno è stata piuttosto controversa. Infatti, una parte della popolazione locale ha salutato con entusiasmo l’arrivo delle imprese di Pechino, in altri casi, invece, ha letto tale fenomeno in chiave imperialistica, oppure ne ha percepito un attacco all’economia locale. Lo scoppio violento della guerra civile in Libia ha colto di sorpresa la Cina, tanto che quest’ultima ha parzialmente derogato ai propri principi di politica estera nell’affrontare la situazione. Essa ha incontrato non poche difficoltà nella gestione della propria presenza economica in Libia durante il conflitto civile.

 
La Russia e la guerra in Libia

Irina Osipova

Nell’articolo viene esaminata la posizione della Russia durante la guerra in Libia attraverso l’analisi di alcuni aspetti spesso poco noti al pubblico italiano: le dichiarazioni pubbliche sulle risoluzioni ONU, la polemica tra Putin e McCain, la lettera aperta dei medici russi operanti in Libia a Putin e Medvedev, la parte finale del documento del Ministero degli Esteri della Federazione Russa sui diritti umani, dedicata proprio alle violazioni in Libia.

 
Turchia e “Primavera Araba”: intervista a S.E. Hakki Akil

Daniele Scalea & Enrico Verga

Hakki Akil è ambasciatore della Repubblica di Turchia in Italia. S.E. L’Ambasciatore ha trattato di rivolte arabe, rapporti tra Turchia e Siria, possibile ingresso di Ankara nell’Unione Europea, cooperazione mediterranea tra Turchia e Italia e ruolo energetico della nazione anatolica. La presente intervista è stata realizzata il 16 giugno 2012.

 
L’Iran e le rivolte arabe: intervista a S.E. Mohammad Ali Hosseini

Daniele Scalea

Mohammad Ali Hosseini è ambasciatore della Repubblica Islamica d’Iran in Italia. S.E. l’Ambasciatore commenta l’interpretazione delle rivolte arabe come “risveglio islamico”, l’atteggiamento iraniano e atlantico di fronte alla crisi libica del 2011, l’evoluzione dei rapporti con la Turchia alla luce della crisi siriana, le incoerenze vere o presunte della NATO e dell’Iran davanti alle rivolte arabe, il futuro delle relazioni tra Italia e Iran dopo le sanzioni economico-finanziarie dell’UE. L’intervista è stata realizzata il 28 giugno 2012.

 
L’Iran e la “Primavera Araba”: leadership, controtendenze e possibili influenze in Medio Oriente

Pejman Abdolmohammadi & Marco Cacciatore

L’Iran, in cui la modernizzazione è avvenuta un ventennio prima rispetto agli Stati arabi, sta vivendo una fase storica non paragonabile a quella della “Primavera araba”. All’interno, una società civile molto giovane spinge per una riforma in senso laico, sullo sfondo dello scontro al vertice tra il nazionalismo del presidente Ahmadinejād e la guida suprema āyatollāh Khāmeneī. Sul fronte esterno, l’Iran è di fondamentale importanza strategica per l’Occidente, perché una sua eventuale saldatura a Russia e Cina ne minerebbe irrimediabilmente la posizione egemonica.

 
Sayyid Qutb, ideologo e martire del radicalismo islamico

Eliseo Bertolasi

L’ultimo quarto del ventesimo secolo ha visto l’ascesa e il declino di movimenti militanti d’ispirazione islamica. Uno dei più influenti è stato il Ğihadismo degli anni ‘70-‘90 da cui, in seguito agli avvenimenti del 2001, è sorto anche il cosiddetto Qaidismo. Restando in una cornice di scansione cronologica, vediamo che tutti questi movimenti sono uno sviluppo naturale, un’evoluzione, del “radicalismo islamico” degli anni ‘50-’60, una corrente di pensiero che annovera tra i suoi maggiori esponenti figure come l’ayatollah Ruhollah Khomeini in Iran, Abu l-A‘lā al-Mawdūdī in Pakistan e Sayyid Qutb in Egitto. L’ideologia era nata con un preciso obiettivo: islamizzare la modernità e mobilitare le masse islamiche.

 
“Global Mufti”: Yūsuf al-Qaraḍāwī, Rāšid al-Ġannūšī e l’Unione Mondiale degli ‘Ulamā’ Musulmani

Pietro Longo

L’ondata di rivolte arabe cominciata all’inizio del 2011 ha portato alla ribalta alcune personalità già di rilievo nel mondo musulmano, come l’egiziano Yūsuf al-Qaraḍāwī e il tunisino Rāšid al-Ġannūšī, entrambi legati all’influente Unione Mondiale degli ‘Ulamā’ Musulmani. Nel presente studio sono descritte le posizioni sostenute dai due pensatori musulmani e si vaglia la possibilità che stia affermandosi un’autorità internazionale sunnita agevolata dall’ascesa dei movimenti islamisti a seguito delle rivolte.

 
Kazakhstan: il rafforzamento della società e degli apparati economico-politici come antidoto alle rivolte popolari di matrice religiosa

Luca Bionda

Le cosiddette “rivolte arabe” hanno catalizzato l’attenzione di analisti politici e governi di tutto il mondo dal 2010 ad oggi, ridisegnando apparati e strutture governative di numerosi Stati e obbligando potenze regionali e mondiali a studiare un nuovo approccio verso il Nord Africa ed il Vicino Oriente. Il filo conduttore di questi moti va ricercato nei fattori economici e politici vecchi e recenti in funzione della matrice culturale-religiosa islamica presente. Come è possibile notare già nel breve periodo tali sconvolgimenti, anche a causa degli interessi di grandi potenze che hanno finanziato le lotte armate sfruttando rivalità tribali e politiche, sembrano avere prodotto una minore stabilità complessiva sul territorio, con ripercussioni economiche fortissime a danno di questi paesi e dei maggiori investitori passati nella regione. È lecito, alla luce di quanto detto, interrogarsi sull’effettiva dinamicità di questi moti rivoluzionari in altre aree geografiche, economicamente strategiche e a maggioranza musulmana. Particolarmente importante appare la disamina di tali prospettive in Asia centrale, regione di fondamentale importanza energetica entro la quale gioca un ruolo di primo piano la Repubblica del Kazakhstan.

 

Orizzonti

 
Il nuovo globalismo nordamericano

Brian M. Downing

Sebbene gli USA si trovino in una fase di grave crisi fiscale, è assai improbabile che saranno fatti tagli considerevoli al bilancio militare. Oggi non solo le commesse della Difesa sono importanti per il meccanismo economico del paese, ma il “globalismo”, l’impegno a livello mondiale, è parte costituente dell’identità nazionale statunitense. Semmai a crescere è il desiderio che gli alleati contribuiscano maggiormente agli oneri militari e garantiscano agli USA condizioni commerciali di favore. I conflitti in Libia e in Somalia sono altrettanti esempi del futuro modello di guerra statunitense: un apporto che consiste principalmente in intelligence, bombardamenti di droni e azioni di truppe speciali, ma in cui il peso maggiore dello sforzo sul terreno è lasciato agli alleati in zona. Ciò si accorda pure coi princìpi fondamentali della guerra contro-insurrezionale (COIN), in quanto garantisce l’impiego di truppe più affini agl’indigeni. I soldati USA, al contrario, per estrazione sociale e culturale sono particolarmente inadatti alla COIN.

 
Nagorno-Karabakh e autodeterminazione

Rouben Karapetian

L’articolo esamina l’annosa questione del Nagorno-Karabakh, regione a maggioranza armena separatasi dall’Azerbaigian, dal punto di vista d’un diplomatico armeno. Secondo l’Autore la secessione del Nagorno-Karabakh è pienamente legale alla luce delle norme del diritto internazionale e dell’allora URSS (entro cui avvenne la secessione). Il prolungarsi della crisi dipende dall’ostinazione dell’Azerbaigian e da un atteggiamento ingiustamente “equilibrato” della comunità internazionale.

 
Russia e Asia Centrale a vent’anni dalla fine dell’URSS (Seconda parte)

Fabrissi Vielmini

Dopo aver esaminato nella prima parte l’evolversi della politica della Federazione Russa verso l’Asia Centrale, questa seconda parte si apre presentando la prospettiva delle repubbliche della regione. La loro politica multi-vettoriale ostacola i progetti di reintegrazione coinvolgendo nella regione USA e Cina. Con la Cina la Russia ha trovato negli anni scorsi un’intesa volta a limitare la presenza statunitense nell’area, ma ora che quest’ultima sembra ridimensionarsi, emerge il potenziale di concorrenza tra Pechino e Mosca. In Asia Centrale la Russia gode ancora d’un ruolo privilegiato, portato storico, che però va scemando col tempo. È fondamentale che Mosca ripensi il modo in cui si pone verso l’Asia Centrale, valorizzando la sua lunga storia di impero multi-etnico e multi-confessionale.

 

Gli autori:

PEJMAN ABDOLMOHAMMADI Docente di Storia e istituzioni dei paesi islamici presso l’Università di Genova, senior researcher dell’Institute for Global Studies di Roma, collaboratore della BBC e de “Il Secolo XIX”.
HAKKI AKIL Ambasciatore della Repubblica di Turchia in Italia.
GIOVANNI ANDRIOLO Ricercatore associato dell’IsAG.
ELISEO BERTOLASI Ricercatore associato presso l’IsAG, dottorando in Antropologia culturale (Università Bicocca di Milano).
LUCA BIONDA Ricercatore associato e direttore del Programma “Sistema Italia” presso l’IsAG
FRANCESCO BRUNELLO ZANITTI Ricercatore associato e direttore del Programma “Asia Meridionale” presso l’IsAG
MARCO CACCIATORE Dottore in Scienze politiche (Università La Sapienza di Roma).
CÔME CARPENTIER DE GOURDON Direttore aggiunto di “World Affairs”.
ANDREA CHIRIU Dottorando di ricerca in Storia, istituzioni e relazioni internazionali dell’Asia e dell’Africa moderna e contemporanea (Università degli Studi di Cagliari).
BRIAN M. DOWNING Analista politico-militare per varie testate (tra cui Al Jazeera, Asia Times Online, Wall Street Journal, Washington Post), è stato docente presso la University of Chicago.
TIBERIO GRAZIANI Presidente dell’IsAG, direttore di “Geopolitica”.
VAGIF A. GUSEJNOV Direttore dell’Istituto di Analisi e Studi Strategici di Mosca, direttore della rivista “Vestnik Analitiki”.
MOHAMMAD ALI HOSSEINI Ambasciatore della Repubblica Islamica d’Iran in Italia.
ROUBEN KARAPETIAN Diplomatico, dottore in Scienze storiche, è redattore del “Bollettino di Scienze Sociali” dell’Accademia Armena delle Scienze.
AMY KISHEK M.A. in Economia politica dello sviluppo internazionale (University of Toronto).
ALEKSANDR KUZNECOV Docente all’Università Statale di Economia e Commercio di Mosca.
PIETRO LONGO Dottorando in Studi mediorientali (Università di Napoli l’Orientale), ricercatore associato e direttore del Programma “Vicino e Medio Oriente” presso l’IsAG.
LUIZ ALBERTO MONIZ BANDEIRA Professore di Politica estera del Brasile (Universidade de Brasilia).
MAHDI DARIUS NAZEMROAYA Ricercatore associato al Centre for Research on Globalization (CRG), fondatore della University of Ottawa Archaeological Society (uOAS), membro del Comitato Scientifico di “Geopolitica”.
IRINA OSIPOVA Laureata in Scienze Politiche e Diplomatiche presso l’Università LUSPIO di Roma e Presidente di “Rodnoi Ugolok”.
GHOMARI TAIBI Dottore in Antropologia, decano della Facoltà di Lettere, Lingue, Scienze Sociali e Umanistiche (FLLSSH) dell’Università di Mascara (Algeria).
LAURA TOCCO Dottoranda di ricerca in Storia, istituzioni e relazioni internazionali dell’Asia e dell’Africa moderna e contemporanea (Università degli Studi di Cagliari).
FABRISSI VIELMINI Ricercatore associato all’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) di Milano. Membro del Comitato Scientifico di “Geopolitica”.
ERIC WALBERG Editorialista del settimanale “Al-Ahram”.

 

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