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La principessa dei cani randagi

Da Fiaba


Venerdì 05 Ottobre 2012 22:16 Scritto da Michele Pisculli

principessa-cani-randagi
Chi non ha mai posseduto un cane
non può sapere che cosa significhi essere amato.
- Shopenhauer -

I - La mia nascita

E venne il giorno del mio arrivo sulla terra. Da allora, come ancora adesso del resto, continuo a chiedermi come sia stato possibile questo evento meraviglioso. Quel giorno presi coscienza all’improvviso della mia esistenza. Percepivo il battito ritmico e rassicurante del mio cuoricino, anche se tutto era ovattato e buio. Il poco tempo in cui restavo sveglia lo passavo a toccare con le zampe e a tastare con la lingua ciò che mi stava attorno cercando di scoprire dove fossi. Capii subito di avere un punto di riferimento vivente accanto a me. Sentivo i suoi peli folti che mi davano calore e sicurezza e la mia bocca trovò anche delle tumefazioni, in quel manto accogliente, che stringendole liberavano un liquido delizioso che mi dava forza e placava quella strana sensazione che partiva dalla mia pancia. I primi giorni passarono tutti eguali l’uno all’altro. Stavo sveglia solo per ingurgitare avidamente il mio pasto più volte al giorno (anche di notte*), poi dormivo per la maggior parte del tempo. Non ho alcun ricordo di ciò che succedeva nella mia mente in quei lunghi momenti di oblio.

Sognavo? Probabilmente lo facevo, ma non posso dirlo con sicurezza perché, pur sforzandomi, non ne trovo traccia nei miei ricordi. Poi un giorno avvenne un fatto nuovo. Il mio naso che fino a quel momento non mi aveva aiutato a capire dove mi trovassi, cominciò a darmi delle sensazioni. Sentivo l’odore di mia madre e fu molto più facile trovare la fonte del suo latte**. Mi accorsi anche di non essere sola. Sentivo l’odore di altri batuffoli pelosi accanto a me. Con l’aiuto delle mie zampe riuscii ad individuarli e dopo numerosi tentativi ero certa che ci fossero altri tre cuccioli insieme a me, anche se non riuscivo a vederli, ne a sentirli***. Erano il mio branco. Fratelli e sorelle che stavano affrontando come me gli albori dell’esistenza, seguiti con amore ed attenzione da colei che era nostra madre. In seguito capii di avere un fratello e due sorelle che sarebbero stati miei compagni di giochi fino a quando ci avrebbero separati. Ognuno di noi avrebbe lasciato la nostra casa per andare a vivere lontano l’uno dall’altro. Ricordo ancora la paura che provai quel giorno**** Loro, i miei nuovi proprietari, vedendomi cercarono subito di rassicurarmi. Colui che sarebbe divenuto il mio  capobranco, mi prese fra le sue mani e anche se non capivo le sue parole, il tono della voce schiacciò ogni mia paura. Poi fece una cosa che mi sorprese. Poggiò le sue labbra sulla mia testa ed ebbi una sensazione a dir poco sublime. Lo chiamava bacio e da allora quell’atto d’amore sarebbe divenuta per me una consuetudine. Quando arrivava a casa, oltre alla sua voce suadente e tranquillizzante, ripeteva quel gesto. Per me divenne un contatto importante e non mi spostavo da lui fino a quando non mi baciava sulla testa. Quel giorno con lui c’erano Elisa (sua moglie) e Federico (suo figlio). Quest’ultimo era un ragazzino di appena sei anni, allegro e vivace. Sin da allora mi toccava continuamente. Quel contatto era per me piacevole ed in seguito fui felice di partecipare ai suoi giochi turbolenti. Quello era il mio nuovo branco che prendeva il posto del vecchio. Quando mi misero in macchina con loro, diedi un  ultimo sguardo a mia madre, a mio fratello, alle mie due sorelle e a Riccardo, l’umano che si era occupato di me fino a quel momento. Ero triste di lasciarli, ma ero anche sicura che mi aspettava una nuova vita che avrebbe compensato i momenti spensierati passati con loro.

Ma ritorniamo all’inizio. Facevo degli sforzi immani per spostarmi. Strisciavo sul terreno e rimasi sorpresa quando venne il giorno che riuscii a stare eretta sulle mie zampe*****. Il mondo attorno a me sembrava diverso e facilmente raggiungibile. La sorpresa fu più grande quando, finalmente, riuscii a vedere. Mia madre e gli altri erano come me li ero immaginati fino dall’inizio. Anche vedere Riccardo non mi sorprese molto. Era solo più alto di me e non camminava a quattro zampe come noi, ma solo su due. Capii che era diverso da noi e che sua madre non era così bella come la mia.

La percezione di ciò che stava attorno a me cambiò ancora una volta quando sentii il primo suono. Era il ringhio di disappunto di mia madre. Una delle mie sorelle le aveva fatto male con i suoi denti da latte ****** attaccandosi voracemente ad un suo capezzolo. Ed il suo era solo un rimprovero per calmare la sua intraprendente voracità.

Con il passare dei giorni presi sempre più sicurezza nei miei spostamenti da un posto all’altro e lo facevo sempre più velocemente, Mi piaceva correre, inseguita dagli altri cuccioli che cercavano di prendermi. Ma non ci riuscivano mai. Ero più veloce di loro e questo mi gratificava enormemente. Anche nei nostri giochi irruenti avevo sempre la meglio. Ero la più forte ed anche mio fratello, dopo numerosi tentativi a vuoto per immobilizzarmi per terra, desisteva dal suo intento e correva da nostra madre per farsi consolare. Lei lo prendeva fra le sue zampe e lo leccava con amore, rassicurandolo. Poi mi guardava dritta negli occhi. Il suo non era uno sguardo di rimprovero nei mie confronti, ne ero certa. Mi sembrava che esprimesse soddisfazione. Era fiera della mia dominanza e del mio carattere forte che già emergeva in quei primi momenti di relazione con il resto del branco. Quelle esperienze primordiali sarebbero state fondamentali nel formare il mio carattere definitivo. Niente e nessuno avrebbe piegato il mio affetto che mi avrebbe legato al mio branco umano. E avrei lottato con tutta me stessa per proteggerlo e stargli vicino. Avrei affrontato ogni difficoltà che avrei incontrato durante il mio percosso esistenziale con determinatezza, senza mai cedere allo sconforto. Restando sempre con loro.

*I cuccioli vengono allattati dalla madre 7-8 volte al giorno fino allo svezzamento.

**L’olfatto è assente la prima settimana di vita del cucciolo. A maturazione completata la mucosa olfattiva di un cane è 7.000 mmq, contro i 500 mmq dell’uomo.

***La visione compare tra il 10° ed 16° giorno di vita del cucciolo. Per la posizione degli occhi (meno centrali e più laterali rispetto all’uomo) il cane ha un campo visivo di ampiezza superiore a quello dell’uomo (di ben 90°). Vede bene nell’oscurità e la sua percezione dei movimenti è dieci volte superiore a quella dell’uomo, mentre è scarsa la percezione dei colori. Si ha la certezza che percepisca il rosso, il giallo, il blu ed il verde. E’ molto sviluppata la differenziazione delle sfumature.

L’udito si attiva intorno al 18° giorno di vita ed il cucciolo al 25° giorno è in grado di dirigersi verso la sorgente del suono. Da adulto ha la capacità di percepire frequenze che possono arrivare fino a 100.000 hertz. L’uomo non arriva oltre i 30.000 hertz. Inoltre il loro movimento delle orecchie permette di localizzare con precisione la direzione da cui proviene il suono. Riesce a distinguere i rumori che gli interessano veramente: come la macchina del proprietario quando arriva, per esempio.

****Il momento ottimale per la ‘partenza’ del cucciolo verso una nuova casa è a due mesi. Anticipando questa data non gli si permette una adeguata ‘maturazione sociale’: raffronto con i suoi simili ed identificazione corretta con la propria specie per esempio. Posticipando, il distacco diventa più difficile e l’inserimento nel nuovo branco è più arduo. In particolar modo per i cuccioli di cane lupo cecoslovacco, razza a cui appartiene la protagonista del racconto.

*****Al 10° giorno il cucciolo fra i primi tentativi per sorreggersi sulle proprie zampe, raggiungendo intorno alla 7° settimana una coordinazione perfetta.

******I primi denti da latte (o decidui) compaiono tra il 12° ed il 25° giorno, completandosi al 35° giorno. La dentatura decidua completa è di 28 denti. Questi vengono sostituiti intorno ai 4-6 mesi da una dentatura definitiva composta da 42 denti.

II - Una cucciola di cane lupo cecoslovacco

Germano aveva studiato per mesi che tipo di cucciolo di cane prendere con loro. Aveva visionato sul web e su un libro specifico che razza scegliere. Poi la sera ne parlava con la moglie per raggiungere una scelta univoca. Era cosciente che avere un cane significava per sempre. Per un tempo definito tra i dieci ed i quindici anni almeno. Aspettativa di vita media di un cane. Ed entrambi desideravano che facesse subito parte della famiglia e di vivere insiemi infiniti momenti di tranquillità e spensieratezza. In un primo momento la loro scelta provvisoria si era indirizzata verso un pastore belga malinois. Di sesso femminile, perché avendo Federico, il figlio, ancora piccolo gli sembrava una scelta  ponderata. Il maschio, generalmente poteva avere anche una decina di kg in più rispetto alla femmina ed un temperamento maggiormente tendente alla dominanza, ed era a loro parere meno plasmabile e gestibile. Poi una sera Germano, continuando a cercare sul web trovò un sito specifico* che si occupava di una razza particolare: il cane lupo cecoslovacco. Era stato creato da un colonnello delle guardie di frontiera della Repubblica Cecoslovacca negli anni 50. Era un incrocio tra un pastore tedesco ed una lupa selvatica dei Carpazi. L’intento era stato quello di creare un elemento valido per sorvegliare il muro di Berlino ed impedire ai fuggitivi di scappare dalla cortina di ferro. L’esperimento biologico sembrò funzionare, dopo un idoneo addestramento dell’animale. Poi il muro di Berlino crollò ed i militari cedettero questo cane ai civili che ne fecero una razza vera e propria, riconosciuta dall’ente internazionale cinofilo. I due coniugi furono affascinati dalle migliaia di foto presenti in quel sito web. Questo tipo di cane, esteticamente aveva conservato l’origine del lupo dei Carpazi e gran parte del  carattere del pastore tedesco, pur mantenendo alcune caratteristiche tipiche del lupo. Per esempio la diffidenza e la vocazione a formare un branco, inserendosi pienamente in esso a prescindere della specie di cui era composto quest’ultimo. Cioè accettava l’essere umano ed in questo caso la sua famiglia integrandosi con loro. Era importante però dargli una visione chiara della gerarchia e alcune semplici regole da fargli accettare. Ogni messaggio contradditorio che gli sarebbe stato dato, già all’inizio della sua esistenza, avrebbe creato in lui solo confusione e conflitti difficilmente sanabili in seguito. Il cucciolo aveva bisogno di sapere da subito chi fosse il capobranco da seguire e qual’era la sua posizione nel gruppo. Quando sarebbe cresciuto e avrebbe cercato di risalire la gerarchia (all’inizio con innocui morsetti, per arrivare in seguito anche a ringhi e veri morsi verso l’individuo che aveva deciso di superare gerarchicamente) bisognava essere decisi nel fargli capire qual’era il suo posto. Lui avrebbe accettato tranquillamente e senza stress alcuno il ruolo assegnatogli all’interno del branco, continuando ad avere una vita tranquilla. Ogni tentennamento gli avrebbe procurato un imprinting sbagliato, difficile da correggere nel tempo. Tutto questo era amplificato se nell’elemento scelto c’era un’eredità del carattere del lupo superiore alla norma. Elisa e Germano passarono a leggere ore ed ore le esperienze descritte nel forum dai vari proprietari di cane lupo cecoslovacco, per essere sicuri della loro scelta. I cuccioli di questa razza, anche coloro che in futuro non avrebbero avuto problemi caratteriali, avevano però tutti in comune la stessa cosa. Erano iperattivi, tendenti a distruggere ogni cosa che vedevano alla loro portata. Avere un giardino e dedicargli tanto tempo era fondamentale. Poi ad un certo momento della loro crescita, considerando l’ambiente in cui vivevano come il loro, la tendenza alla distruzione sfrenata finiva all’improvviso e, se pur tenendolo sempre sotto un’assidua sorveglianza, ci si trovava a condurre insieme una vita normale.

Elisa fu la prima convincersi che fosse il tipo di cane che cercavano ed entrambi scelsero di prendere una cucciola  che avrebbero chiamata Nefti. Il nome di una dea Egizia, divinità protettrice del desco familiare. Sicuri della loro decisione presa all’unanimità (anche Federico era rimasto entusiasta dalle foto viste nel sito web) cominciarono a cercare l’allevamento da cui acquistarla. Si accorsero dell’annuncio di avvenuto accoppiamento e di conseguente gravidanza  presente sul sito web inserito dall’allevatore con il nome ‘Runningwolf’. L’allevatore amatoriale non era lontano da casa loro. Poco meno di cento km.

I due cani che si erano accoppiati erano splendidi ed il padre, giovane promessa Enci, era diventato in seguito anche campione italiano di bellezza e ciò non guastava. Aver partecipato a delle mostre cinofile di bellezza e con ottimi risultati era indice di una carattere ottimale che avrebbe trasmesso almeno in parte ad eventuali figli. Lui viveva in provincia di Modena ed il suo allevatore con affisso professionale ENCI era stimato nel suo ambiente. Germano contattò al telefono Riccardo, proprietario della femmina e fissò un appuntamento per conoscere sia lui che la fattrice.

Quel sabato mattina i futuri proprietari della cucciola erano emozionati e quando videro Ashoka, a cui mancavano una decina di giorni per il parto, restarono stupefatti dalla sua bellezza e dalla sua docilità. Riccardo era un ragazzo simpatico e appassionato della razza ed era alla sua prima esperienza di cucciolata. Rimase a spiegare per un paio d’ore le caratteristiche della razza, soprattutto le difficoltà che si sarebbero incontrate all’inizio. Voleva essere sicuro di trovare dei proprietari affidabili per la sua cucciola. Alla fine, si era convinto di avere di fronte a se le persone giuste. Aprì una bottiglia di prosecco per brindare e presentò il contratto d’acquisto della cucciola, preparato addirittura da un avvocato. Delle cinque pagine, che lesse ad alta voce, tre punti erano fondamentali:

1. Il nuovo proprietario si impegnava a far fare al cane, tra i quindici ed i diciotto mesi una lastra ai gomiti ed alle anche per valutare la presenza di una eventuale displasia (il grado A ne escludeva la presenza, il B indicava una leggera displasia, il C moderata, D grave. Queste due ultime classificazioni sconsigliavano una possibile gravidanza).

2. Se sarebbero sorte delle difficoltà future, di qualunque natura, che avrebbero portato i nuovi proprietari a cedere il cane, lui avrebbe avuto la prelazione per poterlo riprendere a metà del costo della vendita.

3. Gli fu assegnato la seconda scelta della cucciolata, dovendo dare la prima scelta all’allevatore che aveva messo a disposizione il maschio per l’accoppiamento.

Il contratto fu firmato da Germano e da Riccardo senza problemi.

Elisa e Germano ritornarono più volte dopo la nascita della cucciolata composta da tre femmine ed un maschio. All’inizio tutte e quattro cuccioli sembravano uguali e non sapevano chi scegliere, poi dopo le prime settimane cominciarono a delinearsi meglio le caratteristiche individuali. L’attenzione della giovane coppia si concentrò su quella che l’allevatore aveva sopranominato Principessa. Aveva un passo regale e a differenza del fratello e delle due sorelle evitava accuratamente di sporcarsi. Mentre gli altri vedendo una pozzanghera gli si buttavano dentro, lei la evitava accuratamente. Anche durante lo svezzamento non si nutriva con ingordigia come il resto della cucciolata. Selezionava di volta in volta il suo boccone e lo consumava con gusto e tranquillità. Quando gli altri cuccioli le si avvicinavano, avendo consumato in breve tempo il proprio pasto, mostrava a loro un ringhio convincente che li faceva allontanare e poteva continuare a mangiare con calma. Principessa si era subito accorta delle attenzioni a cui era soggetta quando veniva a trovarla quella famigliola. Si era chiesta più volte chi fossero e perché quel ragazzino pestifero continuasse a toccarla. Ma non la infastidiva. Essere unica protagonista  dell’attenzione di quegli umani le piaceva e quando andavano via lo rinfacciava alle sorelle ed al fratello che si irritavano sentendo il suo discorso. Quello che chiamavano Germano poi lo affascinava. Le parlava prendendola fra le mani e prima di partire la salutava sempre toccando con le labbra la sua testa. Era profondamente piacevole ed in seguito sarebbe rimasta una consuetudine di cui non avrebbe più potuto farne a meno.

‘E’ lei che vogliamo. Non abbiamo più nessun dubbio. E chiamarla Principessa è stata una scelta giusta da parte tua. Si comporta come se lo fosse veramente. Noi la chiameremo Nefti, come la divinità egizia.’

Riccardo era orgoglioso di sentire quelle parole di apprezzamento per la sua cucciola.

‘E’ la scelta giusta. Principessa, anche a mio parere, è la più bella della cucciolata. L’allevatore del padre ha già optato per una delle due sorelle. Quindi la potete considerare già vostra’

Germano ed Elisa, sentendo quelle parole, si erano rasserenati.

E venne il momento fatidico. Nefti aveva 56 giorni ed era pronta ad affrontare la sua esistenza con la nuova famiglia.

Quando li vidi, capii subito che stava succedendo qualcosa di diverso rispetto alle loro precedenti visite. Mi misero una catenina al collo con una corda (guinzaglio). Lui lo tirava ed io intuii che voleva che lo seguissi. Arrivati vicino alla macchina vidi Elisa e Germano salutare Riccardo, poi lei mi prese fra le sue braccia. Ebbi appena il tempo di lanciare uno sguardo a mia madre. Lei era tranquilla ed accettava con serenità quello che stava succedendomi. Il suo comportamento mi diede coraggio e gli ululati di mio fratello e delle mie sorelle furono per me un saluto di addio che non mi rattristò.

Entrai per la prima volta in una macchina. In seguito avrei apprezzato quel veicolo. Avrei riconosciuto il suo rumore che indicava il ritorno a casa di Germano e mi sarei sdraiata contenta dietro, nel tappetino del cofano, quando la domenica si andava nella casa di campagna. Li avevo a disposizione tanto spazio per correre e tanti alberi e cespugli fioriti da esplorare ed annusare. Tutti quegli odori erano inebrianti e poi anche il pasto era diverso delle solite crocchette, che al dire il vero apprezzavo, che mi preparavano in città. In campagna mi davano un pollo cucinato nel camino,che dimenticando l’etichetta, divoravo con bramosia. Ritornando poi la sera  nel giardino di casa a rispettare le precise regole che mi ero data durante il pasto ed anche il resto. Facevo i miei bisogni in giardino in una parte lontana dalla casa, in questo modo evitavo di sporcare dentro e di sentire un odore inappropriato. Mi sembrò che loro apprezzassero questa mia scelta.  Quando pioveva evitavo di sporcarmi ed andavo a rifugiarmi all’asciutto. O dentro l’ampio box che avevo a mia disposizione in giardino o, quando lui era a casa, dentro il suo studio. Sotto la sua scrivania, per essere precisi. E mentre lui stava davanti al suo computer portatile per delle ore, io sospiravo soddisfatta della mia nuova vita. Il mio branco era quello ideale che ogni cucciola, di qualunque razza, desiderava avere. Ero stata fortunata, almeno nella parte iniziale della mia esistenza.

*http://www.wolfdog.org/site/it/

III - Il mio nuovo branco umano

La mia nuova esistenza mi rendeva felice ed i giorni passavano tranquilli. Apprezzavo la mia sistemazione che ritenevo definitiva. Nessuno mi avrebbe costretto ad abbandonare quel branco di umani che mi aveva preso con se. Gli ero riconoscente perché avevano scelto me, anziché mio fratello o una delle mie sorelle. Facevo di tutto per dimostrare a loro la mia riconoscenza. Accettavo, senza stress, la mia posizione nel nucleo familiare. Nella gerarchia del branco venivo dopo Federico e non era mia intenzione prevaricarlo. E poi con quale coraggio potevo ringhiare a quel cucciolo di uomo? Era sempre allegro e giocarellone. Mi riempiva di tante attenzioni e mi rendeva partecipe nei suoi giochi turbolenti. Mi ero anche accorta che la mia forza fisica, nel tempo era aumentata, così facevo molto attenzione nei nostri contatti fisici inevitabili. Non volevo fargli male, inconsapevolmente. Così limitavo le mie zampate di gioia e con i denti non stringevo mai più del dovuto. Io ero consapevole che le mie zampe ed i miei denti erano fondamentali per comunicare con lui, ma non esageravo mai nel loro uso. Federico sembrava apprezzare la mia scelta e quando era con me non aveva paura.

Apprezzavo le passeggiate quotidiane al guinzaglio che facevo in compagnia di Germano e qualche volta da sola con Elisa. Quei momenti mi permettevano di conoscere il mondo esterno a me sconosciuto. Superai subito l’imbarazzo che mi provocavano tutti quei mezzi in movimento nella strada. I loro assurdi rumori e i loro odori  forti e nauseanti. Avevo capito subito che dovevo stare lontano da loro. Il mio accompagnatore umano, quando incrociavamo uno di quei cosi strani, tendeva il guinzaglio per avermi sotto controllo e per impedirmi una reazione inconsueta che poteva portarmi sulla strada e farmi male. Io ubbidivo tranquilla, evitando così di farlo preoccupare. Non rispondevo neanche alle continue provocazioni che i miei simili chiusi nei giardini a cui passavamo accanto mi lanciavano. Mi offendevano, credendo che volessi invadere il loro territorio, ma io a testa alta e con il mio incedere sicuro passavo oltre. Qualche volta marcavo il posto con un po’ di urina, per ricordarmi del mio simile che sembrava più aggressivo degli altri. In questo modo mi ripromettevo di passargli il più lontano possibile, la volta successiva. Non avevo alcuna intenzione di attaccare briga con lui. Non era signorile farlo, soprattutto per una cucciola di cane lupo cecoslovacco come me. Solo un evento non riuscivo a controllare a sufficienza ed era quando incontravo per strada un animale chiamato gatto. Sentivo dentro di me come una furia ingestibile che mi portava ad affrontarlo. Le sue fusa di sfida mi imbestialivano e volevo fargli provare la potenza dei miei denti. Ma bastava uno strattone al guinzaglio ed un rigido ‘Nefti, no!’ per riportarmi all’ordine e a proseguire la mia passeggiata. Ero di sicuro una cucciola bella, perché non c’era passante che incontravamo che non si fermasse cercando di accarezzarmi. Gli sconosciuti restavano a parlare di me con il mio accompagnatore che soddisfatto dall’attenzione che provocavo si fermava, dando tutte le informazioni richieste. Questa era la parte più noiosa della passeggiata. Detestavo essere toccata da tutta quella gente, ma capivo che faceva piacere a Germano o ad Elisa, così accettavo controvoglia. Faceva parte del gioco ed io accettavo di farne parte, come protagonista.

Il momento più bello era quando arrivava il mattino che sentivo la parola ‘campagna’. Avevo associato quel termine ad un posto quasi selvaggio a cui si andava, tutti insieme, una volta a settimana. La domenica. C’era un bosco di querce, altri alberi, cespugli profumati e rovi. Li venivo lasciata libera e potevo correre a perdi fiato, travolta da tutti quegli odori che erano quasi del tutto assenti nella casa di città. Quando scendevo dalla macchina mi veniva messa una campanella al collo e Germano diceva per l’occasione sempre la stessa frase: ‘Con questa al collo ci verrà sempre segnalato dove andrai’.

Ma io non avevo nessuna intenzione di scappare. Il mio posto era accanto a loro e quella di Germano era una precauzione inutile.

Poi venne il giorno ‘dell’addestramento’. All’inizio non riuscivo a capirne l’utilità. Germano mi faceva fare dei giri in giardino di corsa, tenendomi al guinzaglio. Poi si fermava di colpo e mi faceva assumere una posizione immobile. Sistemava le mie zampe sul terreno e tirando quella corda teneva la mia testa eretta. Continuando nel suo comportamento a me incomprensibile, mi apriva la bocca, mettendo in evidenza la mia dentatura ad Elisa. Lei ad un certo punto cominciava ad accarezzare il mio manto (io avevo capito, quasi subito, che in quel momento dovevo restare ferma, trattenendo la mia voglia di saltarle addosso, contenta di quelle sue attenzioni nei miei riguardi). Poi cominciava a fare dei gesti per attirare la mia attenzione. Io la guardavo, continuando a non capire, restando immobile nella mia posa statutaria.

‘E’ perfetta. Al suo primo ring non avrà rivali. Ha un passo fluido e riesce ad assumere una posizione perfetta. Il giudice che dovrà giudicarla ne resterà più che soddisfatto.’

Elisa mostrò la sua approvazione alle parole dette dal marito.

Quel giorno ci recammo in un posto chiamato pineta reale. C’erano diversi spazi vuoti delimitati da strisce colorate e paletti di ferro. Ma c’erano soprattutto tanti miei simili e tanta gente. Nonostante mi sforzassi di capire perché ci trovassimo lì, non riuscivo a trovare una spiegazione logica.

‘E’ la tua prima volta vero?’

Lo guardai con indifferenza. Era un maschio più anziano di me e dalla sua fattezza capii che avevamo molto in comune.

‘Piccola, questa è un’esposizione di bellezza e se vuoi far contento il tuo padrone devi vincere!’

Quelle sue parole mi erano incomprensibili e poiché volevo capire cosa dovevo fare per accontentare Germano, gli rivolsi la parola.

‘Ma cosa devo fare di preciso?’

Ben Hur (si chiamava così), mi indicò quello spazio delimitato che chiamava ring e cominciò a spiegarmi cosa sarebbe successo a breve.

Lo ascoltai con attenzione e cominciai a trovare un senso a tutto il tempo che avevo passato in giardino con Germano ed Elisa, facendo sempre gli stessi movimenti, che allora consideravo assurdi.

‘Come faccio a capire se ho vinto?’

Il giudice, quell’uomo che ti osserva con attenzione sul ring, ad un certo punto indica con il braccio il cane vincitore e stringe la mano al suo conduttore, congratulandosi con lui.’

‘Ma a che serve tutto questo?’

‘Adesso mi chiedi troppo. Io partecipo a questi momenti da quasi quattro anni, ed ho cercato di capire. Alla fine della gara quell’uomo scrive qualcosa sul tuo quaderno personale e a volte fa dei regali al vincitore. Degli oggetti che il conduttore accetta contento. Adesso basta con le chiacchiere. Mi servono alcuni minuti per concentrarmi. Fra poco tocca a me. Osserva con attenzione quello che faccio. Io lo faccio bene ed è per questo che gareggio nella classe ‘Campioni’.’

L’osservai e mi sembrò tutto tremendamente facile. Poi venne il mio turno.

Germano mi tirò al guinzaglio dentro il ring ed insieme a me entrarono altre sei femmine che avevano pressappoco la mia stessa età. Alcune di loro, essendo alla loro prima gara, erano confuse e timorose. Mentre una, in particolare, aveva un’aria antipatica e si sentiva troppo sicura di se.

‘Se speri di vincere, la tua è una vana illusione. Io vincendo questa gara raggiungo i trenta punti necessari per diventare Campionessa di Bellezza, categoria giovani e nessuno potrà fermarmi. Neppure tu che ti atteggi come se fossi una principessa.’

Era odiosa ed avrei fatto il possibile per non farla vincere. Cominciò quella corsa a bordo ring interminabile. Ogni tre o quattro giri il giudice faceva uscire una delle mie avversarie. Alla fine restammo dentro solo io e lei. Il giudice cominciò ad osservarci con attenzione nella nostra posizione immobile.

‘Quanti mesi ha?’

‘Poco più di nove mesi ed è alla sua prima gara nel campionato giovani.’

Rispose orgoglioso il mio conduttore.

‘Non lo avrei mai detto. Ostenta un comportamento da veterana del ring. Posso controllare la dentatura?’

‘Faccia pure. E’ docile e non si opporrà.’

Le sue dita mi aprirono la bocca e comincio a contare i miei denti. Poi accarezzò il mio manto. Fece la stessa cosa con l’altra concorrente.

Il suo sguardo era dubbioso sulla scelta finale da fare.

‘Fate un altro giro al trotto, poi posizionatevi al centro del ring.’

Sentivo l’emozione che provava Germano in quel momento e con il mio passo sicuro cercai di rasserenarlo.

L’uomo continuò a guardarci, ancora perplesso. Poi sul suo volto apparve un sorriso. Il suo braccio destro indicò me e strinse la mano al mio capobranco. Germano, ed Elisa e Federico che stavano fuori dal ring, fecero un salto di gioia incontenibile. Avevo vinto la mia prima gara. La felicità che provavo in quel momento, per un attimo, venne oscurata da quello che vidi. La conduttrice di quella smorfiosa che era sicura di vincere, strattonandola in malo modo la condusse fuori dal ring. Ed io rimasi colpita dall’aria affranta che aveva la mia avversaria.

‘Mi dispiace per te. Sarà per un’altra volta. Spero che la tua padrona non ti punisca, ingiustamente per questo.’

‘Ha vinto la più bella e tu sembri una principessa. La mia padrona è isterica e non accetta la sconfitta sportivamente. Ma non è cattiva. Io mi chiamo Dream e tu devi essere Nefti. Il tuo conduttore ti ha chiamato così più volte durante la gara.’

Le sorrisi e la vidi allontanarsi. La sua coda bassa fra le gambe, indicava lo stato di frustrazione che stava provando in quel momento. Poi restai preda dell’entusiasmo del mio branco che voleva mostrarmi la gioia che provava in quel momento per il risultato insperato raggiunto.

In seguito non sarebbe stato sempre così. Sarebbe toccato anche a me perdere, ma Germano e gli altri non avrebbero mai ‘scaricato’ solo su di me la delusione della sconfitta. Si gareggiava in due ed il giudizio finale del giudice lo si condivideva insieme, nel bene o nel male. Lui, il mio handler, non mi avrebbe mai strattonato con il guinzaglio a fine gara, dando sfogo alla sua frustrazione. Anzi nel momento in cui si perdeva, mi baciava sul muso con dolcezza.

‘Principessa, è solo una stupida gara. Per noi resti sempre tu la più bella di tutti.’

Germano era fatto così.

Incontrai altre volte sul ring Dream e diventammo alla fine amiche. Per altre due volte vinsi io la nostra sfida personale, una volta perdemmo entrambe e la quarta volta tocco a lei arrivare prima. Acchiappando così quel tanto desiderato titolo. Fui contenta per Dream. La sua padrona non seppe contenere la gioia e la sollevò in aria, rischiando di farla cadere in malo modo sul suolo. Almeno per quella volta la mia amica aveva evitato strattoni e rimproveri inappropriati. Nell’attesa del nostro turno di entrata sul ring, mi aveva raccontato di lei e della vita che conduceva. Non era sola. Abitava con un’altra decina di suoi simili, della stessa razza. Tutti separati in spaziosi recinti ed almeno una volta durante la giornata veniva messa in liberta insieme ad alcuni di loro (quelli con cui andava d’accordo). Poteva così sgranchirsi le gambe in qualche corsa sfrenata. In definitiva veniva trattata bene, ma non conduceva il mio tenore di vita. Io avevo  spazio ed affetto incondizionato tutto per me. Ero una cagnetta fortunata e dovevo ringraziare il nostro Dio dei cani per questo.

IV - La mia prima vacanza al mare

In quei giorni il mio branco umano viveva dei momenti concitati. Una parola era sempre ricorrente nei loro discorsi: ‘Vacanza al mare’.

Cercai inutilmente di capire cosa fosse, ma non trovavo una risposta nei miei ricordi. Non mi restava altro da fare che aspettare. Quando sarebbe arrivato il momento avrei di certo capito di che cosa si trattava. Però ero sicura che fosse una cosa piacevole. Questo dicevano i loro sguardi, quando ne parlavano. E se era piacevole per loro, la vacanza al mare lo sarebbe stata anche per me. Germano era un capo branco capace e non si sarebbe impelagato in una storia spiacevole, coinvolgendo con la sua scelta perentoria tutti noi.

E venne il momento. Si partì di sera e da come era stata caricata la macchina capii che sarebbe stato un viaggio lungo. Quando salii nel cofano, provai una sensazione di rimpianto. Stavo per lasciare la mia casa che amavo e per un intervallo di tempo indefinito dovevo abbandonare le mie abitudini. Ma il mio posto era insieme a Germano, Elisa ed il piccolo Federico. Per niente al mondo mi sarei separata da loro.

Dormii tranquilla tutta la notte e quando aprii gli occhi sentii un odore strano, piacevole che non avevo mai annusato prima.

‘Finalmente si è svegliata, la dormigliona.’

Era la voce squillante di Federico. Germano aprì il cofano e mi fece scendere dalla macchina tenendomi al guinzaglio. Rimasi confusa vedendo tutta quell’acqua che passava sotto di me.

‘Tienila stretta, non vorrei che gli venisse in mente di tuffarsi dal traghetto, attirata dal mare. Lei ama l’acqua e potrebbe fare un gesto sconsiderato.’

Elisa aveva detto la parola mare, indicando tutta quell’acqua attorno a noi. Quindi avevo dato un significato ad una di quelle due parole che mi assillavano ormai da tempo. Mi restava di capire soltanto cosa fosse ‘la vacanza’.

La casa, che i miei compagni chiamavano villa, era splendida. C’era più giardino e più piante di quella dove vivevo abitualmente. Appena mi lasciarono libera corsi a perdi fiato, esplorando velocemente tutto l’ambiente. Gli odori che sentivo erano forti  e mischiati fra di loro. Ma avrei avuto tutto il tempo di catalogarli meglio in seguito. Cercai un luogo appartato dietro un cespuglio. Dovevo fare i miei bisognini e non era certo elegante farmi vedere dagli altri in quel momento.

‘Nefti, Nefti, dove ti sei cacciata?’

La voce di Elisa interruppe la mia esplorazione e felice corsi da lei.

‘Ti piace questo posto? Da questo momento inizia la nostra vacanza al mare. E per farti capire meglio di cosa si tratta, ti porto subito nella spiaggia che è a pochi metri da noi. Alle otto del mattino sarà ancora deserta. Così prima dell’arrivo dei bagnanti usuali potrai fare il tuo primo bagno tranquilla.’

Mi portò con se, tenendomi al guinzaglio. Quello che vidi poco dopo mi sorprese. L’acqua si incontrava con il terreno che in questo caso era fatto da minutissimi sassolini che Elisa chiamava sabbia, e le mie zampe affondavano in parte in quel manto piacevolmente soffice. Poi vidi quegli strani animali che si muovevano nell’aria e che planavano sull’acqua, rialzandosi con qualcosa che tenevano nella loro bocca. Sembrava del cibo.

‘Principessa, quelli sono gabbiani. E nel loro becco tengono dei pesci. La loro colazione mattutina.’

Elisa sembrava che avesse letto i miei pensieri. Poi mi tolse il guinzaglio. Fu più forte di me, attratta da tutta quell’acqua, corsi e mi buttai dentro senza riflettere. Ma la natura pensa a tutto. Dopo un po’ non toccavo con le zampe niente di solido su cui poggiarmi. Mi sentivo leggera e non affondavo goffamente come mi aspettavo che accadesse. Cominciai a muovere ritmicamente le zampe e mi accorsi che non solo galleggiavo ma che riuscivo anche a spostarmi in mezzo all’acqua. Adesso capivo a pieno cosa fosse una ‘vacanza al mare’. Feci anche un gesto maldestro, di cui ne avrei pagato le conseguenze. Avevo sete. Così aprii la bocca ingoiando un po’ di quell’acqua. Stavo per soffocare. Non aveva un buon sapore, nonostante il bell’aspetto. Anzi era proprio sgradevole. La sputai, ma la mia bocca ne rimase intrisa  lo stesso. Quell’acqua non era come quella che Germano metteva nella mia ciotola. Era orribile.

Elisa si accorse di tutto.

‘Stupidina. E’ acqua salata e non è fatta per berla. Devi solo nuotarci dentro.’

Ed io lo feci e non avrei mai smesso se non avessi visto quei due strani individui che si erano fermati a parlare con la mia proprietaria. La donna era bassa e grassoccia, soprattutto nella groppa. Lui era magro ed alto quanto Germano. Aveva un volto sgradevole che mi ricordava quello di un topo (ne avevo visto un paio in campagna). Ma cosa volevano da Elisa?

‘Signora, lo sa che ha un bel cane? L’ho vista mentre correva verso l’acqua e mostrava tutta la sua muscolatura possente. Di che razza è?

‘E’ una femmina di cane lupo cecoslovacco.’

Elisa rispose infastidita alla domanda della donna.

‘Ne eravamo sicuri. E’ una macchina da combattimento incredibile.’

‘Guardi che si sbaglia. Nefti è un cane dolcissimo.’

L’uomo mantenne nel suo volto quell’espressione cinica.

‘E’ un ibrido creato dai militari della cortina di ferro per catturare chi cercava di fuggire. Era più feroce dei doberman che rimpiazzò efficacemente. Basterebbe riportarla in cattività per risvegliare in lei il suo istinto feroce che adesso è assopito e dimenticato. Ma è lì, nel suo cervello. Nascosto da qualche parte.’

Elisa si voltò, allontanandosi dai due infastidita. La donna la prese per un polso.

‘Non può trattarci così. Non siamo dei matti….’

Mi accorsi di quello che stava succedendo. Elisa era importunata da quei due. Aveva bisogno del mio aiuto.

Il mio ringhio intimidì la donna che lasciò il polso di Elisa indietreggiando.

‘Buona Principessa. Non è successo niente. I signori stavano per andare via spontaneamente.’

‘Mirvana ha ragione la signora. Dobbiamo andare via.’

Si allontanarono, poi l’uomo si voltò.

‘Il suo istinto feroce è ancora dentro di lei.’

Gridò ridendo. Lo guardai negli occhi inferocita. Mi accorsi che non aveva paura di me, anzi era soddisfatto del mio comportamento.

Il rientro verso casa fu mesto. Quell’incontro inaspettato aveva sconvolto entrambe. Ma cosa volevano realmente quei due strani individui da noi? Al momento non trovavo una risposta plausibile, ma sarebbe arrivata presto, molto presto.

Mirvana insieme a Mareh, il suo compagno subdolo, dopo essersi allontanati si nascosero dietro il canneto che costeggiava il fiume che sfociava in mare.

‘Non dobbiamo perderli di vista. Dobbiamo scoprire dove abitano. Quella cagna sembra fatta apposta per soddisfare i nostri interessi e deve essere nostra.’

L’uomo approvò le parole dell’amica.

‘Basterà applicare la mia cura personalizzata per risvegliare in lei gli istinti più feroci. Niente cibo per una settimana e niente acqua. Poi ci penserà il mio pungolo elettrico per farla imbestialire. In quindici giorni sarà pronta per affrontare il suo primo combattimento e vincere. Ne sono certo.’

Mareh era soddisfatto del programma di addestramento che aveva in mente.

‘Ci darà un mucchio di soddisfazioni e di denaro scommettendo su di lei. La nostra attuale cagna, dopo l’ultimo incontro ne è uscita piuttosto malconcia. La ferita all’occhio destro gli ha danneggiato irreparabilmente la vista e dopo quell’incontro funesto ha perso anche la sua ferocia. Ha paura e non servirebbe nessun’altra sevizia per caricarla d’odio.’

L’uomo continuò a seguire i suoi pensieri.

‘Che ne facciamo di lei?’

‘Non siamo un ente di beneficenza per permetterci di mantenerla a sbafo. Alla prima occasione ci libereremo di quell’inutile animale.’

‘Intendi sopprimerla?’

‘E perché no. Sarò generoso con lei, non la farò soffrire inutilmente. Basterà un colpo di mazza deciso sulla sua testa ed in pochi secondi sarà finita.’

Mirvana immaginando la scena ebbe un ghigno di soddisfazione.

‘Quando parli così ti adoro.’

Passarono altri giorni di vacanza al mare e dimenticai presto quell’odioso incontro in spiaggia. Quel mattino, mentre Germano ed Elisa erano indaffarati dentro casa, io giocavo in giardino con Federico. Ero felice e mi augurai che quei momenti di tranquillità non finissero mai. Poi sentii il suono del campanello del cancello d’entrata. Federico corse ad aprire. Li vidi di nuovo. Notai quell’odioso ghigno che appariva nel volto dell’uomo. La donna spinse in malo modo Federico che cadde per terra senza capire quello che stava succedendo. Non ebbi neanche il tempo di oppormi a quella violenza gratuita con il mio solito ringhio che riservavo alle persone sgradevoli. L’uomo mi lanciò addosso un oggetto che mi immobilizzò avvinghiando il mio corpo, impedendo ogni mio movimento. Poi premette un batuffolo di cotone sul mio naso e persi quasi subito conoscenza.

Mareh prese la rete che imprigionava Principessa e con un gesto veloce la caricò sulle sue spalle. Uscirono di corsa, chiudendo il cancello. Quando salirono sul furgone che li aspettava in strada, udirono le grida disperate del bambino.

‘E’ fatta!’

Disse l’uomo ingranando la marcia.

V - ‘Senza Nome’

Quando riaprii gli occhi, sperai che fosse solo un brutto incubo quello che ricordavo. Federico con la sua giovialità mi sarebbe saltato presto addosso, prendendomi per le orecchie ed io avrei sopportato contenta la sua irruenza infantile.

Ma non era così. Il mio sguardo intravide ancora una volta quei due odiosi individui che mi osservavano attenti al di là delle grate. Mi sentivo spossata e non ebbi neanche la forza di affrontarli.

‘Si è svegliata. Dopo tutto questo tempo credevo che l’anestesia con il cloroformio le fosse stata fatale. Ma ha un fisico forte ed in poco tempo sarà di nuovo il piedi. Che facciamo?’

La donna si rivolse al suo compagno.

‘Assolutamente niente. Ricordi cosa ti ho detto in spiaggia quel giorno? La terremo senza cibo e senza acqua fino a quando non capirà chi è che comanda. Comincerà a mangiare solo dopo l’inizio della ‘cura’ con il pungolo elettrico. Più sarà feroce e più cibo avrà. Lascia fare a me. Io con i cani ci so fare.’

Si allontanarono ridendo.

Restai immobile e provai tanta tristezza pensando al dolore che il mio allontanamento forzato aveva provocato al mio branco umano. Mi sembrava di sentire le lacrime di Federico che continuava a cercarmi invano gridando il mio nome.

Poi sentii un rumore. Non ero sola in quella gabbia. C’era qualcuno. A fatica mi alzai cercando di vedere chi fosse.

‘Non avere paura. Non hai nulla da temere da me. Anch’io sono una vittima e sono prigioniera, come te, contro la mia volontà.’

Per fortuna era un mio simile. Aveva la stessa mia taglia ed un manto rossiccio. Anche lei era una femmina ed aveva l’occhio destro opaco, attraversato da una grossa cicatrice che le impediva di vedere.

‘Chi sei? Come ti chiami?’

Resto qualche istante senza rispondere, poi trovò le parole.

‘Se vuoi sapere come mi chiamo non saprei. Nessuno mi ha mai chiamato. Sono una senza nome in trappola come te.’

‘Ti chiamerò allora ‘Senza nome’. Cosa vogliono da me quei due spregevoli soggetti?’

‘Sai cosa è un combattimento fra cani?’

Rimasi sorpresa da quella frase.

‘No. Di cosa si tratta?’

‘Due cani aizzati dai loro padroni crudeli si affrontano dentro un ring. L’incontro finisce quando uno dei due soccombe. A me l’ultima volta è andata bene. Ho perso solo l’occhio destro, ma potevo morire. Il mio avversario era feroce, almeno quanto l’uomo a cui apparteneva.’

‘Ma perché fanno questa cosa assurda?’

‘Per denaro. Sai cos’è? Sono quei pezzi di carta che sembra diano la felicità agli essere umani. Scommettono un mucchio di denaro sui contendenti. Ed ognuno spera di vincere, infischiandosene della nostra integrità.’

Rimasi sconvolta.

‘Hai mai pensato di scappare?’

‘Eccome! Ma ti sei vista intorno? Le grate sono solide ed alte quattro metri almeno. Ogni possibilità di fuga ci è preclusa.’

‘Io invece ci proverò ugualmente e farò il possibile per riuscirci.’

‘Lo voglia il cielo. Per te si profilano giorni terribili di maltrattamenti per risvegliare tutto il tuo odio. Ed anche per me il futuro non è smagliante. Hanno capito che non sono più in grado di combattere e prima o poi si libereranno di me in modo cruento. Ne sono certo. Mareh, quell’aguzzino con la faccia da topo, sarà il mio boia.’

Sentii tutta l’angoscia che trapelava dalle sue parole e cercai di rincuorarla, in qualche modo.

‘ Senza Nome questo non lo permetterò. Sarò in grado di scappare e ti porterò con me. Insieme cercheremo il mio branco di umani. Vedrai ti piaceranno. E tutto questo resterà solo un brutto incubo da dimenticare in fretta.’

Sembrò non credere alle mie parole.

Il giorno dopo mi accorsi di avere una fame ed una sete terribile, ma nessuno sembrava far caso a queste mie esigenze. Senza Nome una volta al giorno veniva spostata in un’altra gabbia, dove consumava il suo cibo. Quando l’uomo entrava nella gabbia furiosa cercavo di morderlo, ma avevo una catena al collo che mi impediva di raggiungerlo. La mia compagna di sventura, quando ritornava da me rigurgitava parte del cibo che aveva mangiato.

‘Non fare la schizzinosa. Mangialo. Ti servirà a mantenere le forze per quando deciderai che è arrivato il momento di fuggire insieme.’

Capii che avevo conquistato la sua fiducia, vincendo il suo sconforto iniziale. Adesso ci credeva anche lei che potevamo farcela e questo era già un risultato positivo. Credere fermamente nello stesso desiderio sarebbe stata la nostra salvezza.

Il quinto giorno di prigionia capii che stava succedendo qualcosa di inusuale. Mirvana aveva due ciotole in mano, mentre Mareh era vestito in modo strano. Indossava una specie di corazza che mi ricordava delle foto che avevo visto in un libro che leggeva Federico. Il piccolo li chiamava samurai. In una mano teneva un oggetto lungo ed appuntito. Fecero uscire la mia compagna e l’uomo entrò nella gabbia. Cominciò ad aizzarmi lanciando delle grida orribili, poi cominciò a bastonarmi. Prima colpendomi ai fianchi, poi iniziò a punzecchiarmi con la punta di quell’arnese di tortura. Lo sentii penetrare nella mia carne ed ogni volta la scarica elettrica mi provocava un tremito ed un bruciore terribile. Delle piccole chiazze di sangue sporcarono il mio bel manto curato. Ma non provavo dolore, sentivo solo dentro di me una rabbia che aumentava spropositatamente.  La catena tirava e rischiavo di strangolarmi, ma volevo morderlo ad ogni costo. Volevo fargli provare nella sua carne la potenza dei miei denti. Ma ogni mio sforzo fu inutile. Lo capii dopo un po’ di quella devastante tortura. Così decisi di non tirare più la catena evitando di continuare a farmi male. Non smisi però di ringhiare, mostrandogli i miei denti.

‘Basta così. Per oggi è sufficiente.’

Uscì dalla gabbia. La spregevole grassona entrò e lasciò sul terreno le due ciotole che aveva con sé.

’Sei stato sublime. Sul ring non avrà rivali che saranno capaci di tenerle testa.’

I due si allontanarono soddisfatti.

Assaporare quell’acqua, calmò la mia rabbia. Erano giorni che desideravo bere e dovevo ringraziare l’altruismo di Senza Nome se ero rimasta ancora in forze.

‘Eri terribile con quel tuo ghigno feroce. E’ una fortuna per me non averti incontrata prima in combattimento. Fatti dare un’occhiata al collo. Avrai sicuramente delle profonde ferite provocate dalle maglie di ferro del collare. Le leccherò così non si infetteranno.’

Senza Nome rimase sorpresa.

‘Niente ferite vero? Sono stata al suo gioco e dopo un po’ ho evitato di farmi male inutilmente. Ho continuato a fare la feroce, solo per ingannarlo. Ma non tiravo più la catena.’

‘Non è la mancanza di ferite che mi sorprende, ma quello vedo in una maglia del collare. Sembra che stia cedendo. Ma non ne sono del tutto sicura.’

‘Lo vedremo subito se è così.’

Misi in tensione la catena, presi un respiro profondo e cominciai a tirare con tutte le mie forze.

‘Principessa, basta così per carità. Se l’anello si rompe all’improvviso è un guaio.’

Non capivo.

‘Ma non è questo che vogliamo?’

‘Si è veramente allentato, ma non devi romperlo adesso. Lui se ne accorgerebbe subito, prima di entrare e le tue fatiche sarebbero inutili. Te ne metterebbe un altro più solido di questo. Devi rompere il collare solo quando è entrato, prima che chiuda la porta della gabbia. Cos’ potrai tentare la tua fuga.’

‘E adesso perché parli al singolare. Non avevamo deciso di fuggire insieme?’

‘Già.’

Senza Nome aveva un tono rassegnato.

‘Ma come pensi che possa liberarmi dalla mia catena? E’ praticamente impossibile. Pensa solo per te. Per me è ormai finita, mentre tu puoi ancora ritornare ad una vita normale. Cercando i tuoi amati padroni. Ti prego non pensare a me. E’ tutto inutile.’

‘Non saranno certo quei due stupidi a precludere la tua libertà. Ed ho già un’idea per come fregarli. Ascolta.’

Mirvana quella mattina non credeva ai suoi occhi. Quella meticcia orba di un occhio sembrava morta. Andò a chiamare il suo compagno.

‘La bastarda ha tolto il disturbo prima del previsto. Ci ha privato del nostro ultimo divertimento che le avevamo riservato. Sembra morta. Non appare così anche a te?’

Mareh la guardò da fuori con attenzione.

‘Proprio così. Il torace non si espande e se non respira può essere solo perché è deceduta. Dobbiamo portarla via da li. Con questo caldo la carcassa comincerà subito a puzzare e la nostra futura combattente potrebbe ammalarsi. E noi non vogliamo questo. Renderebbe vani i nostri progetti di gloria.’

Strofinò il pollice sull’indice della mano destra. Intendeva in questo modo raffigurare l’ambito denaro che desideravano accaparrarsi  facendola combattere.

‘Ha ragione. Facciamolo subito. Io la libero dalla catena, tu con il pungolo mantieni l’altra ferma ad un angolo. Poi la trasciniamo fuori dalla gabbia.’

Senza Nome si sforzava ancora di non respirare simulando perfettamente la sua morte immaginaria. Quando la donna la liberò dalla catena si rimise in piedi con un balzo, cogliendola di sorpresa.

‘Principessa questo è il momento che aspettavamo!’

Gridò con forza.

Successe tutto in un attimo. Senza Nome con quel morso al volto di Mirvana diede sfogo a tutta la sua rabbia repressa. Nefti buttandosi contro Mareh diede il colpo finale alla maglia del suo collare, precedentemente allentata, che si ruppe di colpo. Atterrò il suo aguzzino e gli fu subito sopra con tutto il suo corpo. Vide il collo dell’uomo e per un attimo fu tentata di finirlo. Ma lei non era una fredda assassina. Così decise di morderlo al naso. In questo modo avrebbe lasciato per sempre nel volto di quell’uomo un ricordo indelebile. Mareh esterrefatto, travolto da quello che stava succedendo in quel momento, provò un dolore incontenibile. Il suo volto si riempì di sangue. Provò a liberarsi da quella morsa d’acciaio, ma perse conoscenza poco dopo.

Le due amiche uscirono da quella angusta prigione. Attorno a loro videro solo una campagna estesa. Niente case ed altri esseri umani. Presero il sentiero che li portava verso il bosco.

‘E adesso dove andiamo?’

‘In qualunque posto, purché sia lontano da qui. Dobbiamo superare tutti quegli alberi. Devo trovare la mia famiglia. E lo voglio fare al più presto.’

VI - Billo

I giorni che vennero furono per me duri da affrontare. Avevo condotto una vita tranquilla fino a poco tempo prima. Avevo una casa ed un branco umano che pensava premurosamente alle mie esigenze, anche le più elementari. Mi sentivo amata ed ero felice della vita che conducevo. Mentre adesso ogni cosa era da conquistare e con fatica. Dal tetto dove ripararci la notte, alla ricerca quotidiana dell’acqua e del cibo. Anche la mia compagna di avventura, ‘Senza Nome’, faticava ad affrontare questa nuova esistenza. Era stata trattata con crudeltà da quei due individui squallidi, Mirvana e Mabeh, ma aveva a disposizione almeno quelle cose elementari,  necessarie per sopravvivere. La mia amica, però, non si lamentava e gustava con  gioia ogni cosa che incontravamo nel nostro viaggio sconsiderato. Era finalmente libera e questo per lei contava più di ogni cosa e poi, soprattutto, non era più sola. In due le difficoltà che si sarebbero incontrate si potevano affrontare meglio e con più determinazione. Adesso non aveva più paura di morire. Era sicura che il Dio dei cani ci avrebbe, in qualche modo, aiutati. Compensando la sofferenza che lei ed in parte io avevamo affrontato. Io speravo che un giorno avrei rivisto la mia famiglia. Quel giorno avrei chiesto a loro di non abbandonare al suo destino la mia compagna. Anche lei aveva diritto ad avere dei punti di riferimento precisi, ad avere dell’affetto che fino ad allora le era stato negato dal fato avverso. Insomma aveva diritto ad essere felice. Saremmo stati insieme per sempre.

‘Sta per arrivare un temporale. Dobbiamo cominciare a cercare un riparo.’

Quelle parole di ‘Senza Nome’ mi riportarono alla realtà. Guardai il cielo e quei grossi nuvoloni pieni di pioggia non facevano presagire niente di buono.

‘Hai ragione. Affrettiamo il passo. Troveremo qualcosa dove ripararci.’

In lontananza notai una vecchia costruzione. Poteva essere la soluzione che cercavamo. Cominciai a correre in quella direzione, seguita dalla mia compagna.

‘Sembra disabitata e in cattive condizioni. Ma noi non stiamo cercando il Grand Hotel, dove alloggiare. Per stanotte può anche andare bene.’

Ero d’accordo con lei, così cominciammo ad esplorare il posto.

Fui la prima a vederlo. Era un grosso maschio (la sua taglia era simile alla mia) che giaceva sotto un albero . Quando ci vide si scagliò contro di noi ringhiando. Ma la sua corsa si arrestò di colpo. Aveva qualcosa legata al collo che lo bloccava.

‘E’ una catena. Poverino è prigioniero, come lo eravamo noi fino a qualche giorno fa. Ed ha ciotola dell’acqua e del cibo vuote.’

‘Senza Nome’ in pochi istanti aveva capito in che condizioni si trovava il 4 zampe di fronte a noi.

Lui sentendo quelle parole si calmò. Capì che non aveva niente da temere dai nuovi arrivati.

‘Io sono Billo e come vedete conduco una vita misera. Sono giorni che non vedo i miei padroni e sto morendo di fame e di sete. Aiutatemi, vi prego.’

Mi guardai intorno, cercando una soluzione. Poi vidi quel tubo nero di gomma che giaceva sulla terra. Era attaccato ad un oggetto metallico attaccato alla parete della casa. Avevo già visto delle cose simili nella villa al mare della mia famiglia. Germano quando avevo il contenitore dell’acqua vuoto, armeggiava con quell’oggetto di ferro e subito dal tubo usciva l’acqua che placava la mia sete.  Ero sicura che anche li sarebbe successo la stessa cosa. La mia compagna mi guardò sorpresa mentre con le zampe strinsi quell’oggetto attaccato al muro. All’inizio non successe niente, poi spinsi con forza nella direzione giusta e l’acqua uscì dal tubo. Lo presi per l’estremità e lo portai verso una delle ciotole che in un attimo si riempì.

Billo cominciò a bere avidamente.

‘Sei stata formidabile. Sono riuscito almeno a placare la mia sete. Chi siete?’

‘Chi mi conosce, mi chiama ‘Principessa’. Lei è ‘Senza Nome’. Adesso però dobbiamo trovare il modo di liberarti, prima dell’arrivo dei tuoi padroni senza cuore.’

I tre cani cercarono in tutti i modi di rompere la catena, rischiando di rompersi i denti. Ma ogni tentativo fu vano.

‘In questo modo non ci riusciremo mai. Dobbiamo agire di astuzia e non solo di forza.’

Aveva ragione lei. Eravamo sfiniti e non avevamo nemmeno scalfito quella catena. Riflettendo mi guardai attorno.  Poi ebbi una illuminazione. Osservai ancora una volta il manico di legno di quella zappa abbandonata per terra e il giro che la catena faceva attorno all’albero.  Non era stata stretta bene, era rimasto dello spazio e se….

Mi diedi subito da fare, con l’aiuto di ‘Senza Nome’, per realizzare la mia assurda idea. Entrambe prendemmo quel bastone fra i denti e lo posizionammo all’interno della catena che avvolgeva l’albero.

‘E adesso cosa facciamo?’

Sia lei che Billo pendevano dalle mie labbra.

‘Dobbiamo tirare con forza verso il basso l’estremità superiore del manico, in modo che l’altro capo si poggi sull’albero. In questo modo cercheremo di allentare una anello e dopo sarà per noi più facile romperlo e liberare Billo.’

La mia compagna, senza più fare altre domande, si mise subito all’opera con me.

Sembrava che non succedesse niente. Ma non intendevamo desistere. Con la forza della disperazione continuammo a tirare. Poi sentimmo un rumore improvviso e ci trovammo catapultate a zampe all’aria. La catena aveva ceduto e si era rotta all’improvviso. Appena in tempo. In quel momento scese dal cielo una pioggia fitta e dovevamo cercare rapidamente un posto dove riparaci. Billo ci fece strada e ci indicò una porta che non aveva un aspetto solido.

‘Li dentro staremo al sicuro.’

Senza rifletterci sopra mi lanciai verso la porta, colpendola con le mie grosse zampe. Questa si aprì senza opporre resistenza. Finalmente eravamo all’asciutto. Dentro c’era del fieno e ci sdraiammo sfiniti.

‘Non sarà per te semplice camminare, portandoti dietro quella catena legata al collo.’

‘Per il momento non è un problema. Ci penseremo dopo ad eliminarla. In questo momento voglio solo godermi questi attimi di libertà. E’ un sogno che è diventato all’improvviso realtà. Sono così felice che non sento più i morsi della fame. Se voi me lo permettete mi unirò a voi. Siete gli unici essere viventi che mi sono amici.’

Le sue parole erano sincere e accettai la sua proposta, sicura che la mia compagna la pensasse come me.

‘Principessa non dovrai mai pentirti di questa tua decisione. Ti sarò fedele per tutta la vita e potrai sempre contare su di me.’

‘Billo anch’io sono un cane come te e non mi serve una fedeltà cieca ed incondizionata. Ti unirai a noi ed insieme cercheremo la mia famiglia. Poi si vedrà.’

Fuori la pioggia era aumentata di intensità e lo scroscio dell’acqua, di tanto in tanto era sovrastato dal rumore dei tuoni e dei fulmini.

I tre cani si accovacciarono uno vicino all’altro e quel contatto amico li aiutò ad addormentarsi. L’indomani mattina si ricominciava a vagabondare, cercando Germano, Elisa ed il piccolo Federico.

Principessa, spossata, era contenta che il branco si fosse allargato ed era soddisfatta di aver aiutato Billo. Prese sonno subito ed ancora una volta sognò la sua famiglia. Le mancava terribilmente.

VII  - Gaia

Vennero dei giorni di lunghe marce stremanti e silenziose. Insieme a Billo e a Senza Nome in quei momenti si restava in silenzio. Ognuno di noi era preso dai propri pensieri, belli o tristi, che non si voleva condividere con gli altri, almeno per il momento. Io ero sempre attenta a trovare un indizio che mi indicasse la giusta via per trovare la casa di città o quella al mare in cui ero vissuta pochi giorni con la mia famiglia. Ma era come cercare un ago in un pagliaio. Niente di niente. A volte il mio sguardo si incontrava con quello dei miei compagni. Leggevo nei loro occhi sempre la stessa domanda:

‘Hai visto qualcosa che possa dare una meta al nostro continuo vagabondaggio?’

Io abbassavo la testa e continuavo a camminare. Loro mi seguivano senza protestare. E si andava avanti così per miglia e miglia. Cercavamo di evitare i centri abiti, in quanto Billo con la catena al collo che si trascinava appresso avrebbe attirato l’attenzione degli umani.  Non volevamo che qualche malintenzionato approfittasse della sua vulnerabilità e lo facesse di nuovo prigioniero. Dovevamo risolvere definitivamente il suo problema, ma non riuscivo ad intravedere una soluzione possibile. Noi non eravamo in grado di liberarlo da quelle fastidiose maglie pesanti e rumorose. Pensai che solo un umano sarebbe stato in grado di farlo.

L’incontro arrivò inaspettato, quando meno ce l’aspettavamo. Quella mattina ci fermammo alla periferia del paese che incontrammo durante il cammino. Avevamo fame e sete, ed eravamo sfiniti.  La costruzione che si vedeva era inusuale. Dal di fuori non aveva un bell’aspetto. Notai subito quell’uomo, trasandato nel vestire che si dava da fare con delle aste di metallo. Attaccato alla casa vi era un terreno incolto, con delle carcasse di macchine abbandonate qua e là. Vicino all’entrata, dove si intravedeva l’uomo, vi erano due ciotole. Ero sicuro che dentro c’era del cibo e dell’acqua. Era quello che cercavamo da ore.

Ma come potevamo usufruirne senza scatenare una reazione violenta da parte di quello sconosciuto?

‘E voi chi siete?’

Quella voce, spuntata dal nulla, ci colse di sorpresa. Poi la vedemmo. Era poco più di un batuffolo di peli rossicci a quattro zampe. Era comunque una dei nostri e non dovevamo temerla.

‘Siamo viandanti alla ricerca di cibo e acqua.’

Le risposi.

‘Potete andare a soddisfare i vostri bisogni nelle mie ciotole.’

‘Sei sicura che il tuo padrone non ci caccerà via?’

‘Lui non è il mio padrone. Quando mi abbandonarono qui ero disperata. Ero stata brutalmente separata dal mio branco. Mia madre, i miei fratelli e le mie sorelle. Ritrovarmi da sola, in una ambiente sconosciuto mi impaurì. Mi sentivo come paralizzata, travolta da un destino crudele. Poi vidi quell’uomo grande e grosso. Mi sollevò da terra, tenendomi fra le sue mani e vidi un sorriso rassicurante nel suo volto.’

‘E tu che ci fai qui? Sei così piccola. Qualche bastardo si è voluto liberare di una bocca da sfamare. Gli pesava prendersi cura di te ed ha scelto l’abbandono come la soluzione più semplice. In officina sono da solo e sarà meglio parlare con te che con me stesso. Io sono Orazio e dovrò trovare un nome anche a te.’

Rimase in silenzio per qualche attimo.

‘L’ho trovato. Da oggi tu sarai Gaia. E’ un nome che ti si addice. Nonostante la precaria condizione in cui ti trovi, hai conservato un’aria serena.’

‘Non era proprio così. Stretta fra le sue mani, io stavo tremando. Ma cercavo di darmi un contegno di fronte a quello sconosciuto. Cercavo dentro di me un coraggio che in realtà non avevo.’

‘Piccola mia sarai affamata. Oggi dividerai con me il mio pasto, poi da domani cercheremo in un negozio per animali il mangime più idoneo per te. Sei proprio piccola, avrai poco più di due mesi. Che bastardi  che sono i tuoi precedenti padroni senza cuore.’

‘Per la prima volta mangiai della carne. Era pollo, per essere precisi, ed aveva un sapore delizioso. Di tanto in tanto  continua a darmelo, in aggiunta alle solite crocchette che hanno un sapore sempre uguale e insoddisfacente. Ma a me va bene così. Alla fine posso considerarmi fortunata. A quest’ora potevo essere già morta di inedia, dopo atroci sofferenze.’

‘Gaia adesso cosa suggerisci di fare?’

‘E’ semplice. Seguitemi. Vi farò conoscere Orazio.’

L’uomo ci guardò arrivare perplesso.

‘Gaia a quanto vedo hai trovato dei nuovi amici. Dal loro aspetto mi sembrano stremati dalla fatica e dalla fame.’

Si allontanò. Ritornò poco dopo con una grossa busta ed un contenitore. Riempì le ciotole di crocchette e di acqua. Vedendoci rifocillarci con voracità sorrise.

‘Poveri animali, siete proprio affamati.’

Poi mi osservò con attenzione.

‘Tu sei proprio bella. Nonostante le condizioni precarie in cui ti trovi hai mantenuto un portamento regale. Sembri una Principessa. Devi essere sicuramente il capo branco. Sembri, per certi aspetti  un lupo*. Di certo non è stato il tuo padrone ad abbandonarti. Deve essere successo qualcosa di tragico che ti ha fatto allontanare da lui.’

Poi osservò Senza Nome. Le diede una carezza.

‘Tu devi essertela passata peggio della tua compagna. E quella cicatrice che ti attraversa l’occhio, ne è la prova.’

Restò a bocca aperta, quando si soffermò su Billo.

‘Questa catena che porti al collo, resterà per me un mistero, ma non dice niente di buono. Ti libererò subito di questo inutile fardello.’

Ritornò con degli attrezzi in mano.

‘Non avere paura, non voglio farti del male.’

Billo mi guardò terrorizzato. Lo incoraggiai con lo sguardo. Quell’uomo non era cattivo e voleva solo aiutarci.

Dopo pochi minuti la catena cedette. Il mio compagno accolse quella sua seconda liberazione con frenesia. Si lanciò in una corsa sfrenata e si rotolò più volte sul terreno.

L’uomo sorrise soddisfatto.

‘Anche questa volta abbiamo fatto la nostra buona azione quotidiana.’

Poi ci indicò con la mano destra un posto.

‘Fin quando deciderete di restare qui, potete dormire sotto quel capannone, insieme a Gaia. Da parte mia vi darò tutto il cibo che desidererete mangiare. Non sarà certo un pacco di crocchette e qualche osso a rendermi più povero di quello che sono nella realtà.’

Si allontanò ridendo, lasciandoci soli. Realizzai che ancora una volta la Provvidenza ci aveva dato una mano, proprio quando pensavamo di non farcela più.

I giorni che vennero furono tranquilli Restavamo sdraiati al sole nell’erba o nel capannone quando pioveva. Il poco tempo recuperammo le forze. Orazio era sempre contento quando ci vedeva e c’era per noi sempre una carezza o una parola affettuosa. Era un brav’uomo che dedicava gran parte del suo tempo al lavoro. La sera quando finiva e si apprestava a chiudere l’officina, veniva da noi per salutarci.

‘Io vado a casa. Voi continuate a fare la guardia anche se qui, a pensarci bene, c’è poco da rubare. Ma questo poco è importante per me. Mi permette di lavorare e di continuare a sopravvivere in questa società schifosa.’

La mattina, quando sentivamo in lontananza il rumore della sua vecchia macchina, ci mettevamo tutti seduti in fila. La prima ero io, poi veniva Senza Nome, Billo e per ultima Gaia.

Lui prima di aprire l’officina veniva da noi. C’era un sorriso ed una carezza per ognuno di noi.

‘Anche oggi mi farete compagnia e la giornata di lavoro sarà per me meno dura.’

Con il passare del tempo una crescente inquietudine si stava impadronendo di me. Con Orazio si stava bene, ma stavamo trascurando il mio obiettivo di partenza. Dovevo trovare ad ogni costo la mia famiglia. Dovevo decidermi a partire, ma non volevo coinvolgere nel mio vagabondaggio precario i miei compagni. Decisi che ne avrai parlato quella sera con loro, quando Orazio sarebbe ritornato a casa sua.

Senza Nome mi anticipò quella mattina.

‘Principessa comprendo quello che stai provando in questo momento. E penso che sia arrivato il tempo di riprendere il nostro cammino.’

‘Non vi chiedo di seguirmi. Adesso, qui con Orazio  avete realizzato i vostri desideri. Avete trovato tranquillità, sicurezza ed affetto. Venendo con me la vostra esistenza potrebbe essere di nuovo un inferno.’

‘Noi verremo con te e ti aiuteremo a cercare la tua famiglia.’

Billo parlando assunse un portamento deciso.

‘Quel ‘noi’ che hai appena detto, riguarda anche me.’

Era Gaia.

‘Sono ancora piccola e mi dispiace lasciare Orazio, ma non vi libererete di me così facilmente.’

Poi si diresse verso l’uomo che ci aveva accolto con amore e solidarietà. La seguimmo.

Orazio vedendoci arrivare in fila indiana sorrise.

‘Sapevo, che prima o poi sarebbe arrivato il momento dell’addio e non vi costringerò a restare. Spero che possiate trovare quello che state cercando. Vi raccomando Gaia. Ha solo cinque mesi ed è piccola ed indifesa. Sappiate proteggerla anche a rischio della vostra vita. Ha già sofferto abbastanza.’

Accettammo le sue ultime parole come un ordine perentorio. Gaia sarebbe stata la nostra mascotte e l’avremmo aiutata e protetta con ogni mezzo possibile.

L’uomo ci vide allontanarci lungo il sentiero di campagna. Con un sorriso ci augurò buona fortuna.

*Il cane lupo cecoslovacco è una razza giovane, creata negli anni 50 da un incrocio fra un maschio di pastore tedesco ed una femmina di lupo dei Carpazi. Questo esperimento biologico fu effettuato da un colonnello della guardia di frontiera della Repubblica Cecoslovacca. Voleva creare un cane perfetto per impedire la fuga e catturare chi voleva scappare dalla Cortina di Ferro. Con la caduta del muro di Berlino, i militari persero il loro interesse verso questo incrocio. Gli esemplari rimasti furono ceduti ad allevatori privati che ne fecero una vera razza cinofila. Riconosciuta, in tempi relativamente recenti dall’Ente Cinofilo Internazionale. Il cane lupo cecoslovacco a distanza di decenni dalla sua creazione, ha conservato nel suo aspetto e nel suo carattere qualcosa del lupo dei Carpazi che si  è armonizzato ed equilibrato con i geni ereditati dal pastore tedesco.

VIII - Napoleone

Ci ritrovammo immersi in un canneto che sembrava senza fine. Gli altri mi seguivano in silenzio. Quando pensai che non saremmo più stati capaci di uscirne dal quel groviglio soffocante, intravidi delle ombre lontane che sembravano delle case.

Quando ci avvicinammo il nostro entusiasmo iniziale svanì. Non era la periferia di un paese, come pensavamo. C’erano solo due piccole costruzioni di legno e quattro spazi liberi di terra rossa.  Ognuno di essi era diviso da una rete ed erano circondati ai lati da alti recinti. Non erano luoghi destinati ad imprigionare cani, questo mi fu subito chiaro. In uno di essi vi erano due uomini contrapposti che avevano uno strano oggetto in mano che utilizzavano per colpire una pallina che rimandavano, il più delle volte, al di là della rete. Restammo ad osservarli per un po’, ma vedendo che facevano sempre la stessa cosa, il nostro interesse  presto svanì.

Notai nella zona erbosa, a ridosso del  canneto, un nostro simile. Non era un cane di grossa taglia, era un maschio ed aveva il manto nero. All’inizio anche lui seguiva i movimenti dei due uomini, poi la sua attenzione si rivolse verso qualcosa che si muoveva accanto a lui. Era un grosso topo. Ne ero sicuro. Lo vidi puntarlo, pronto a colpirlo con le sue zampe. I due animali restarono immobili. Si stavano studiando. Poi il mio simile gli saltò addosso. Lo bloccò con le zampe e con gesto rapido gli squarciò la gola con i suoi denti aguzzi. Il topo ebbe una morta istantanea. Lui all’inizio non aveva ancora capito di averlo ammazzato e continuava a saltellargli intorno, attendendo una sua reazione. Vedendo quel corpo statico, lo spostò con una zampa, restando guardingo. Poi lo odorò e capì cosa aveva fatto.

Quando ci vide arrivare, ci corse incontro scodinzolando.

‘Chi siete?’

‘Siamo dei viandanti alla ricerca di cibo ed acqua.’

Gli risposi tranquilla.

‘Potete dividere il mio cibo e la mia acqua con me, senza problemi. Io sono Napoleone e vivo qui.’

Il branco si presentò a sua volta.

‘Che posto è mai questo e perché quegli uomini si comportano in quello strano modo?’

‘Questo è un piccolo circolo sportivo e quegli esseri umani stanno giocando a tennis.’

‘Tennis?’

‘Sono ormai diversi anni che seguo questo strano gioco e non sono ancora sicuro di averlo capito completamente. Si tirano la palla, colpendola con un oggetto che chiamano racchetta, da una parte all’altra. Chi non riesce a prenderla e a rimandarla dall’altra parte perde. Però a volte vince anche chi non riesce a prendere la pallina e ancora oggi sto cercando di capire perché. Ma prima o poi riuscirò a capirlo.’

Proprio in quel momento vidi che era successo l’evento descritto da Napoleone. La pallina era caduta al di fuori della striscia bianca e l’uomo anziché colpirla, si era allontanato esultando. Mi fu subito chiaro che si doveva giocare dentro quelle strisce bianche disegnate per terra. Era comunque un gioco stupido e noioso.

‘Tu cosa fai qui, oltre a viverci?’

‘Un po’ di tutto. La sera, quando tutti vanno via, io resto a fare la guardia. Durante il giorno, quando la palla esce dal campo e va nel canneto chi gioca mi chiede di andarla a recuperare. Questo a me piace. Riesco sempre a trovarla e a riportarla indietro. Poi lotto contro i miei vicini invadenti. I topi di campagna. Non hanno capito che questo posto non è per loro e che il mio cibo non è roba per i loro denti. Fino ad ora ho avuto sempre la meglio su di loro. Ne ho ammazzato uno, poco prima del vostro arrivo. Ma sono cosciente che prima o poi dovrò soccombere. Sono centinaia e sono sempre affamati. Gli basterebbe fare un’azione di branco contro di me per farmi fuori e arriverà il momento che lo capiranno.

‘Perché attendere la morte, senza speranza alcuna? Ti lega qualcosa o qualcuno a questo posto isolato?’

Mi guardò perplesso, poi rispose.

‘Non saprei dove andare. Almeno qui c’è il padrone dei campi che pensa a me. Ho sempre cibo ed acqua a volontà e vivo all’aria aperta.’

‘E’ ha anche dell’affetto per te quell’uomo?’

‘Cosa significa la parola affetto?’

‘Passa del tempo con te, gioca con te e ti fa le coccole. Ti porta appresso con se e…’

‘Basta così. Ho capito.’

Il suo volto si era rabbuiato di colpo. Non aveva mai fatto con il suo padrone nessuna di quelle cose che Principessa gli aveva  appena detto.

‘Voi con il vostro continuo vagabondaggio cosa cercate invece? Non avete neppure un padrone che si prenda cura di voi.’

‘Lei ce l’ha, ed è il migliore del mondo.’

Era la piccola Gaia che si era fatta avanti.

‘Due individui malvagi l’hanno rapita per utilizzarla in combattimenti  fra cani a l’ultimo sangue. Ma gli è andata male a quei due e lei e Senza Nome sono riusciti a fuggire.’

Billo era andato in aiuto della sua compagna.

‘Principessa ha aiutato tutti noi  a liberarci della nostra prigionia, dandoci una nuova opportunità per ricominciare a vivere. Noi la stiamo aiutando a trovare la sua famiglia e resteremo con lei fino a quando questo accadrà.’

Ero commossa dallo spirito cameratesco  che univa il branco ed era per me una ventata di speranza che mi dava nuova forza. Erano mesi che cercavo la mia famiglia senza risultato. Non avevo trovato nessuno indizio che potesse portarmi da loro. Cominciavo a chiedermi se sarei mai riuscita a ritrovarli, rischiando di perire in questa mia vana e stremante ricerca. Mi feci coraggio.

‘Quando la troveremo, la mia famiglia si occuperà anche di tutti voi. Gli chiederò di trovarvi una sistemazione degna di voi.’

Il branco si rallegrò.

‘Ed ora mettiamoci di nuovo in cammino. Non possiamo restare ancora qui. Il giorno è ancora lungo e possiamo fare molte miglia prima che faccia buio.’

Napoleone li vide incamminarsi verso il sentiero e non ebbe più alcun dubbio.

‘Portatemi con voi. Anch’io voglio dare il mio contributo ed il mio aiuto a Principessa.’

Lo guardai negli occhi e capii che era sincero.

‘Per me va bene e penso che vada bene anche ai miei compagni.’

Nessuno obiettò.

‘E…e la tua famiglia, quando la ritroverai, si occuperà con affetto anche di me?’

Gli leccai il muso e questo mio gesto fu più eloquente di qualunque parola.

IX - Zac il lupo

La tormenta di neve arrivò all’improvviso ed il tramonto ci colse di sorpresa prima del previsto. Eravamo circondati da una distesa di alberi senza fine e capii subito che eravamo in pericolo. Mi fermai per fare il punto della situazione con il resto del branco.

‘Il tempo continua a peggiorare sempre di più. Dobbiamo trovare al più presto un rifugio per ripararci, altrimenti per noi è la fine. Restiamo in fila indiana durante la marcia. Ognuno di voi deve stare con la propria testa a ridosso della coda del compagno che si trova davanti. Dovete quasi toccarvi. Così non rischiamo di perderci di vista. Tu Gaia  mettiti dietro di me, mentre tu Billo mettiti per ultimo e controlla che quelli che stanno davanti a te non si stacchino dal branco. E’ tutto. Spero che la nostra buona stella non ci abbandoni proprio adesso.’

Continuammo a camminare. Dopo un po’ sentii dei lamenti che provenivano dal lato destro. Mi fermai.

‘Li sentiti anche voi questi ululati strazianti?’

Il resto del branco annuì.

‘Dobbiamo scoprire con precisione da dove vengono e chi è che sta soffrendo in questo modo terribile.’

Ci posizionammo in semicerchio e avanzammo lentamente verso destra.

Poi lo vidi. Era un maschio bellissimo, affondato con il corpo nella neve.  Sembrava un quattro zampe come noi, ma aveva un aspetto fiero e sicuro, nonostante il dolore che provava in quel momento. Accanto a lui una grossa macchia rosso vivo tingeva la neve. Quello era sangue, ne ero certa.

‘Aiutatemi! Una delle mie zampe posteriori è rimasta imprigionata dentro una tagliola e non riesco a liberarmi. Ancora un po’ è morirò dissanguato e assiderato.’

Io e Senza Nome avevamo ormai una certa esperienza con trappole simili che limitano la libertà e rischiano di farti perdere la vita in modo crudele. La mia compagna capì subito cosa avevo intenzione di fare. Strinse fra i denti il bordo metallico della tagliola, mentre io facevo la stessa cosa con l’altro. La guardai negli occhi e all’unisono tirammo ognuno dalla propria parte.  L’oggetto infernale si aprì di colpo. Billo venne in nostro aiuto. Delicatamente prese fra i denti la zampa dello sventurato quattro zampe e la tirò fuori da quella trappola. A quel punto noi lasciammo la presa e lo scatto metallico violento ci fece fare un salto all’indietro di soprassalto.

Il vedere il nostro nuovo compagno di nuovo liberò ci rallegrò. Restò a leccarsi la ferita per qualche istante, poi immerse la zampa ferita dentro la neve.

‘In questo modo si blocca la fuoriuscita di sangue. Ma adesso pensiamo ad andare via di qui.’

‘Ma noi non sappiamo dove andare. Ci siamo persi nella tormenta e se non troviamo un rifugio è la fine per tutti noi.’

‘A questo ci penso io. La mia tana non è lontana da qui. E’ il rifugio di un lupo, quindi è molto spartano. Ma è sicuro. Ci riparerà e non ci farà morire assiderati.’

Un lupo? Non avevo mai sentito quella parola, ma intuì che si riferiva a se stesso.

Senza Nome mi bisbigliò all’orecchio:

‘Tutti i cani hanno un rapporto ancestrale con i lupi. Noi abbiamo origine da loro. E qualcosa di loro è rimasto nascosto fra i nostri geni ancora adesso. Tu Principessa, anche come aspetto esteriore, sei più vicina a lui che a noi.’

Le sue parole mi colpirono. Io fino ad allora mi ero sentita essere un cane a tutti gli effetti, mentre ora veniva fuori, all’improvviso ,questa mia somiglianza con il lupo.

Arrivammo alla tana del nostro nuovo compagno in pochi minuti. Era una grotta con mucchi di foglie secche per terra. Ognuno di noi scelse un posto dove sdraiarsi. Il freddo che sentivamo fino a pochi istanti prima, cominciava a scemare e preso il nostro manto sarebbe ritornato asciutto. Ancora una volta eravamo riusciti a farcela e a non perire nella nostra estenuante ricerca.

Lui si accovacciò accanto a me.

‘Non abbiamo avuto modo di presentarci, presi dall’incalzare degli eventi. Io sono Zac. Sono un lupo e vivo da solo. O meglio sono perseguitato dai bracconieri, degli esseri umani scellerati, che vogliono prendersi la mia vita come trofeo.’

Gli dissi di me.

Mi ascoltò in silenzio e non interruppe il mio racconto.

‘E’ una storia crudele e toccante nello stesso tempo. Ma la tua determinazione mi porta a credere che prima o poi riuscirai a trovare la tua famiglia.’

Le sue parole mi rincuorarono.

‘Tu però somigli poco a loro, i tuoi compagni. Sembri più simile a me. Questo è un mistero.’

Poi la fatica ebbe il sopravvento e crollammo in un lungo sonno ristoratore.

L’indomani mattina lo vidi trotterellare sulla neve. Il suo passo non era armonico, ma si reggeva bene sulle sue quattro zampe.

‘Non stai esagerando? La tua ferita si potrebbe riaprire e tornare a sanguinare di nuovo.’

‘Sto facendo solo delle prove e tra un po’ smetterò. Sono sicuro che l’osso non è rotto. Sarebbe stata una disgrazia maggiore per me restare zoppo. Riuscire a mangiare dipende unicamente dalla velocità delle mie zampe. Solo così riuscirò a catturare le mie prede e a cibarmi. Una settimana ancora e ritornerò veloce come prima e quella malefica tagliola sarà solo un ricordo.’

Mi piaceva sentirlo parlare così e il suo entusiasmo era contagioso.

‘Resteremo con te per questa settimana che ti serve per recuperare fisicamente e mi occuperò io di trovare il cibo per tutti noi. Non deve essere poi così difficile.’

‘Se seguirai alla lettera i miei consigli, sarà un gioco per te. Ne sono certo.’

E venne il mio momento. Zac mi segnalò la preda che faceva capolino dietro un cumulo di neve e poi successe tutto come se non fosse per me la mia prima battuta di caccia. La lepre non ebbe scampo. L’atterrai con le mie zampe ed i miei canini affondarono nella sua gola. Avevo seguito il mio istinto che aveva preso il sopravvento sulla ragione.

Una parte di me provava pietà per quello che avevo appena fatto a quella povera bestiola, ma quando assaporai per la prima volta quel sangue caldo sentii dentro di me un piacere inebriante.

Zac mi guardò soddisfatto.

‘Nelle tue vene deve esserci per forza del sangue di lupo. Un semplice cane non sarebbe stato capace di fare quello che ha fatto tu Principessa, nemmeno lontanamente.’

Anche il resto del branco mi guardò sorpreso quando mi videro arrivare con il mio trofeo stretto fra i denti. Quel pasto a base di carne cruda, che dividemmo equamente, ci diede un po’ di forza. Eravamo stremati ed affamati e dovevamo pensare a sopravvivere. Io diedi una parte della mia porzione a Zac che rimase sorpreso.

‘Perché fai questo?’

‘Tu ne hai bisogno più di me. Devi riprenderti dalla brutta ferita che hai.’

Lui si rifiutò, contrapponendo una spiegazione altrettanto valida.

‘Tu ne hai bisogno, almeno quanto me, per continuare a cacciare per tutti noi. Il branco dipende da te. Dalla tua astuzia e dalla velocità delle tue zampe.’

Aveva ragione lui.

I giorni che seguirono fui dominata dall’ istinto ancestrale che continuava ad avere il sopravvento sulla mia razionalità di cane domestico. La carne fresca non ci mancò e recuperammo in fretta la nostra forma fisica. Zac il lupo in pochi giorni aveva fatto miracoli. Ci ritrovammo presto a correre insieme per quelle distese di neve. Lasciava a me dirigere la caccia, ma il suo aiuto come gregario era fondamentale per il successo della battuta quotidiana. Individuava la nostra vittima, poi la faceva scappare impaurita verso di me. A quel punto non aveva scampo ed ancora una volta i miei canini affondavano nella sua gola.

Si stava insieme, anche quando non si cacciava, e spesso restavamo in silenzio. Bastavano i nostri sguardi ad esprimere i nostri sentimenti più profondi. In quei momenti le parole erano inutili.

Poi successe l’inevitabile e la nostra attrazione reciproca ebbe il sopravvento.

Ancora oggi mi chiedo se l’amavo o se il nostro istinto avesse condizionato il nostro desiderio di accoppiarci.

Lui dopo, fu molto dolce e premuroso con me, ed io apprezzavo questi suoi comportamenti.

Quando apprese che era arrivato il momento dell’addio mi guardò disperato.

‘Allora finisce qui la nostra storia?’

‘Sai bene qual è il mio obbiettivo finale. Ti porterò per sempre con me nel mio cuore e non ci sarà più nessun altro dopo di te e forse un giorno il destino ci rifarà incontrare di nuovo.’

Le mie parole lo rincuorarono.

Ci indicò la direzione da seguire per raggiungere il primo centro abitato. Non ero triste. I momenti felici passati insieme a Zac mi avrebbero dato la forza di continuare nella mia ricerca, anche quando tutto sembrava arenarsi inutilmente e il  destino continuava ad esserci avverso.

Lui, in cima ad un grosso cumulo di neve, ci seguì col lo sguardo mentre i nostri corpi diventavano sempre più piccoli, fino a sparire all’orizzonte.

X - La traccia

Con una interminabile marcia scendemmo a valle e cominciammo ad incontrare di nuovo dei centri abitati. Ritornammo alla nostra vita precaria e difficile. Trovare del cibo era il nostro problema principale. Ci si arrangiava frugando tra i bidoni della spazzatura, cercando gli avanzi che qualcuno aveva buttato via. Qualche volta degli umani si impietosivano e ci davano dei resti  di pasti rimasti, nei loro frigoriferi, dalla sera prima. Rimpiangevo il tempo passato nei boschi, fra la neve, con Zac. Eravamo liberi e pienamente padroni della nostra esistenza, mentre adesso…

In quell’agglomerato di case che incontrammo, successe però un evento inaspettato. Si respirava un’aria diversa che stranamente mi ricordava qualcosa. Ma non riuscivo a capire cosa.

Napoleone era su di giri.

‘Finalmente siamo al mare.’

‘Cosa hai detto?’

‘Dopo quelle case sicuramente c’è il mare.’

‘Come fai ad esserne così sicuro?’

‘Si capisce dall’aria che stiamo respirando. E’ diversa dagli altri posti.’

Quell’affermazione precisa del mio compagno, mi riportò indietro nel tempo. Alla mia prima vacanza al mare con Germano, Elisa e Federico. Oltrepassai di corsa quelle case e lo vidi davanti a me. Una distesa immensa di acqua salata. C’erano delle costruzioni che galleggiavano sull’acqua e ne rimasi sorpresa.

‘Quelli sono traghetti e servono a portare la gente e le cose dall’altra parte. Nella terra che si trova di fronte a noi.’

Vidi delle macchine che attraverso un pontile salivano dentro quelle costruzioni che Napoleone chiamava traghetti. Finalmente avevo una traccia valida da seguire. Anche noi mesi prima con l’autovettura avevamo preso uno di quei ‘così’ ed io rimasi sorpresa nel vedere tutta quell’acqua scorrere veloce sotto di noi. Forse la mia casa delle vacanze era dall’altra parte dell’acqua e potevamo provare a cercarla, dando finalmente un senso al nostro vagabondaggio senza fine. Dovevamo trovare però il modo per salire sul traghetto, per farci trasportare dall’altra parte. Vidi delle strane ed enormi vetture che si imbarcavano anch’esse sull’imbarcazione ferma al molo.

‘Quello è un treno ed è fatto da diversi vagoni. Quello che stiamo vedendo non trasporta persone, ma merci.’

Dal tono di voce di Senza Nome, capii che era sicura di quello che diceva.

Mi accorsi che l’ultimo vagone aveva la porta aperta.

‘Seguitemi. Abbiamo davanti a noi l’opportunità per farci portare dall’altra parte, senza essere visti.’

Lo raggiungemmo in un attimo. Fui la prima a saltare dentro e fu facile anche per Billo, Napoleone e Senza Nome. Gaia invece, pur continuando a correre non riusciva a trovare lo slancio per saltare.

‘Non preoccupatevi di me. Continuate il vostro viaggio, io mi arrangerò restando qui da sola.’

Non accettai quella sua affermazione. Avevamo affrontato insieme mille difficoltà in questa stremante ricerca e dovevamo essere tutti insieme anche al raggiungimento della meta stabilita.

Mi sporsi dall’apertura del vagone e mentre Billo e Senza Nome, capendo ciò che volevo fare, mi tenevano saldamente con i loro denti per la coda afferrai con la mia dentatura la nuca di Gaia. In un attimo la nostra piccola compagna fu di nuovo con noi.

Gaia non credeva ai propri occhi. Si asciugò delicatamente le lacrime che erano fuoruscite quando disperata pensava di averci perduti. Poi si avvicinò a me e mi leccò il muso.

‘Principessa sei stata formidabile. Per prendermi hai rischiato di cadere. Non lo dimenticherò mai!’

‘Siamo un branco, ricordi? E dobbiamo continuare ad esserlo.’

Il treno una volta arrivato dall’altra parte dello stretto, scese dal traghetto e cominciò la sua corsa solitaria.

I miei compagni mi guardavano attenti, si aspettavano che dicessi qualcosa, che li mettessi a conoscenza sul cosa fare. Con la mente ritornai indietro a quel giorno che in macchina eravamo andati in vacanza. Era importante riuscire a ricordare il tempo impiegato per arrivare a destinazione dopo essere scesi dal traghetto e ricordarmi di tutti quegli odori intensi che avevamo incontrato. Ma tutto questo poteva non bastare. Il percorso che il treno stava facendo poteva essere diverso da quello che avevamo fatto in macchina. Se ciò avveniva, sarebbe stato un disastro. Ma reputai inutile affliggere i miei compagni di viaggio. Era meglio essere ottimisti in quel momento.

‘Sto cercando di ricordare il mio precedente viaggio che mi ha portato nella casa al mare. Quando sarò sicura di aver individuato il posto, scenderemo tutti quanti giù.’

Il branco rimase soddisfatto dalla mia risposta e non si accorse dei dubbi che attanagliavano la mia mente ed il mio cuore. Mi misi con la testa fuori dal vagone e mentre il vento mi colpiva con forza, con il mio olfatto cominciai ad odorare. Analizzavo quegli odori sparsi nell’aria e cercavo di raffrontarli con quelli che avevo immagazzinati nella mia memoria. Ma non succedeva niente e cominciavo a disperarmi. Un’altra cocente delusione stava prendendo forma.

Poi sentii un profumo intenso e piacevole che avevo già sentito in passato. Ma da dove veniva?

Mi guardai attorno con attenzione e alla fine trovai la sua fonte. Era una larga distesa di oleandri. Quel giorno in macchina avevo sentito quel profumo quando l’asciammo l’autostrada per immetterci in una strada più piccola. Dopo meno di mezz’ora eravamo arrivati a destinazione.

‘Ci siamo. E’ arrivato il momento di saltare giù dal treno. Dobbiamo andare la giù.’

Indicai con la zampa il posto ai miei compagni.

Il treno cominciò a rallentare. Più avanti mi accorsi che c’era una galleria. Dovevamo farlo subito.

‘Adesso!’

Gridai buttandomi giù per prima. Il branco mi seguì.

Restammo qualche istante immobili,  tramortiti dall’impatto con il suolo. Ci sembrò che nessuno di noi si fosse fatto male. La piccola Gaia era arrivata sulle zampe, ma non era riuscita a fermarsi con il corpo ed aveva cominciato a ruzzolare per la breve scarpata. Ci raggiunse subito dopo ansimando.

‘Mi sembrava di non fermarmi più. Ma sono tutta intera. Qualche livido qua e là, ma niente di serio, in definitiva.’

Ci venne da ridere vedendo il suo manto pieno di foglie ed erba secca.

Senza Nome si mise a ripulirla con attenzione.

‘Gaia sei stata coraggiosa nell’affrontare quel salto pericoloso. Sei stata brava.’

La piccola fu orgogliosa del giudizio che quella compagna più anziana le aveva dato.

Raggiungemmo i cespugli di oleandro.

‘E adesso cosa facciamo?’

Napoleone  era curioso di sapere cosa sarebbe successo adesso.

Confidai al branco i miei ricordi che mi erano ritornati in mente sentendo quell’odore e vedendo quelle piante.

‘Questa mi sembra una buona traccia. La prima che abbiamo da quando abbiamo cominciato il nostro viaggio. Trenta minuti di strada percorsi in macchina non è una spazio enorme da perlustrare. Sarà un lavoro estenuante, ma la fatica non fermerà la nostra ricerca proprio adesso che ci avviciniamo all’agognata meta. La cosa più logica da fare e trovare la strada asfaltata che avete percorso con l’automobile e poi costeggiarla dalla parte esterna. Dobbiamo evitare di farci calpestare dalle macchine. Prenderemo una direzione ed andremo avanti. Se dopo qualche giorno non troveremo nulla, ritorneremo indietro e marceremo per la direzione opposta.’

Il ragionamento fatto da Senza Nome era semplice e lineare. Ci aspettavano miglia e miglia di marcia e dovevo stare attenta a scoprire ogni minima traccia che ci potesse aiutare nella nostra ricerca.

Cominciando a camminare mi augurai che la fortuna finalmente ci desse una mano, facendoci prendere la direzione giusta sin dall’inizio.

XI - Finalmente a casa

Germano, insieme alla sua famiglia, era ritornato alla sua casa al mare per trascorrere le vacanze natalizie. Una settimana lontani da Roma da dedicare alle ricerca di Nefti o Principessa come a volte la chiamavano. Quest’ultimo era il nomignolo datole da Riccardo (il suo allevatore) quando era ancora cucciola.

Andò nel terrazzo del primo piano ed il suo sguardo si perse contemplando quella distesa di sabbia e mare che aveva davanti a se. La spiaggia era ad appena duecento metri dal cancello d’entrata della villa.

Vide dei pellicani solitari disegnare nell’aria traiettorie fantasiose, mentre uno stormo  di rondini sfiorava il pelo dell’acqua alla ricerca del pasto quotidiano. Non erano migrate verso paesi più caldi, come era logico che facessero in inverno. Ma li la temperatura era piacevole ed il cibo era abbondante.

Germano non si rassegnava ancora per la sparizione della sua cucciolona. Avevano sporto denuncia per il suo rapimento alla questura del posto. Federico aveva fornito ai poliziotti, piangendo, una descrizione accurata dell’uomo e della donna che erano penetrati con l’inganno nella loro villa. Ma non era servito a nulla. Si erano messi tutti insieme a cercarla. Allargarono di giorno in giorno il loro perimetro di ricerca. Una mattina disperati erano arrivati sino a Messina. Erano andati al molo dei traghetti e per ore erano rimasti ad osservare le macchine che si imbarcavano per andare al ‘continente’. Ma fu tutto inutile.

Poi arrivò il momento del rientro a Roma. Fecero stampare decine di manifesti con la foto di Principessa ed i loro recapiti telefonici. Indicarono una ricompensa di mille euro per chi avrebbe dato notizie certe del cane che avrebbero portato al suo ritrovamento. Li sparsero per la città e per la zona balneare.

Quando Germano avviò l’accensione della sua auto, ripensò ancora a lei. Chissà che fine aveva fatto e a quali atrocità quei due disgustosi individui la stavano sottoponendo in quel momento. Non riusciva a trovare una spiegazione razionale a quel gesto delittuoso, anche se il commissario di polizia gli aveva messo in testa un tarlo che stava divorando ogni suo pensiero.

‘E’ stata rapita sicuramente per essere utilizzata nei combattimenti all’ultimo sangue fra cani. In questi incontri gira un mucchio di denaro con le forti scommesse che fanno i partecipanti sui due contendenti che si sbranano su un ring improvvisato.’

Germano rimase sconvolto da quelle parole. Si domandava come potesse esistere gente simile. Esseri umani crudeli, avidi e senza coscienza che pensavano a fare soldi infischiandosene delle sofferenze a cui sottoponevano quei cani fino alla morte degli stessi.

Immaginare Principessa coinvolta in una lotta selvaggia di sopravvivenza lo frastornò. Il suo cane aveva un’indole tranquilla e affettuosa, sarebbe stata uccisa al primo combattimento. Provò un odio furente verso quella coppia malvagia. Se li avesse avuti davanti a se li avrebbe strozzati con le proprie mani, anche se detestava la violenza e si considerava un pacifista tollerante e comprensivo.

Si accorse che sua moglie stava sistemando il loro vestiario nella cabina armadio ed aveva una espressione cupa. Elisa sicuramente, in quel momento, aveva i suoi stessi pensieri. Ne era certo. Federico girovagava per il giardino e si accorse che stava osservando la cuccia vuota di Nefti. Si accorse delle lacrime che solcavano il suo volto. Tutti questi mesi il bambino aveva smesso di ridere e giocare con le sue cose spensierato, come faceva prima.

Una sera, con espressione seria, gli chiese:

‘Papà ogni volta, prima di addormentarmi dico sempre una preghiera al Signore, in favore di Principessa. Gli chiedo di aiutarla, di non farla morire e di farci incontrare, in modo che tutto ritorni come prima. Pensi che il Signore che si occupa di noi umani possa dedicare la sua attenzione anche ad un cane? O sto sbagliando interlocutore e non succederà niente?’

Germano lo abbracciò, rincuorandolo.

‘Vedrai che il nostro Signore riuscirà ad aiutare anche lei. Dobbiamo avere solo fede e pazienza.’

Ma non credeva a quello che stava dicendogli.

‘Elisa, perché insieme a Federico non andate a fare una passeggiata in spiaggia. Potrai sistemare le nostre cose in un secondo momento. Abbiamo a disposizione tutto il tempo che ci serve.’

La donna sembrò risvegliarsi da un brutto incubo. Lo guardò con gli occhi lucidi.

‘Hai ragione. E’ meglio fare come dici.’

Più si andava avanti e più mi batteva il cuore per l’emozione. Mi sembrava di riconoscere sempre più indizi dai luoghi che incontravamo e un puzzle che all’inizio sembrava irrisolvibile, cominciava ad assumere una forma sempre più definita. Immaginavo i volti di Germano, Elisa e Federico e la loro espressione di sorpresa e di gioia quando mi avrebbero visto dopo quei mesi di lontananza forzata. Aumentai il passo della marcia.

‘Non pensi di stare esagerando con questo ritmo forsennato nelle tue condizioni?’

Guardai senza capire Senza Nome. Cosa intendeva dire alludendo alle mie condizioni?

‘Non lo hai ancora capito, ma sei incinta.’

‘Incinta?

Continuavo a non capirla.

‘Per dirla in parole semplici, tra poche settimane metterai alla luce dei cuccioli. Per questo devi evitare una fatica eccessiva se vuoi avere un parto normale e tranquillo. I piccoli con due genitori così, te e Zac, saranno splendidi.’

Adesso cominciavo a spiegarmi la stanchezza eccessiva che sentivo negli ultimi giorni. C’erano momenti che venivo assalita dall’apatia e desideravo unicamente sdraiarmi sull’erba, senza muovere più un passo. Ma la mia volontà di continuare a cercare la mia famiglia  era ferrea e continuavo a camminare. Era da un po’ che mi sentivo appesantita. Mi ero accorta che le mie mammelle, così come il mio addome di giorno in giorno aumentavano di volume. Ma credevo che ciò fosse dovuto al mio appetito che era diventato esagerato. A differenza dei miei compagni avevo sempre fame e non riuscivo a spiegarmi perché.

Ora era tutto chiaro. Delle nuove vite stavano prendendo forma dentro di me e Zac ne era il padre. Provai per lui un sentimento di profondo amore e di tristezza, nello stesso momento. Lui mi mancava in questi momenti concitati ed inoltre non avrebbe mai saputo di stare per diventare padre. Non avrebbe mai visto i suoi figli.

Germano guardò Elisa ed il figlio andare verso la spiaggia. Si sdraiò sul letto. Mise le mani dietro la nuca e rimase a fissare il soffitto. In quel momento voleva fermare i suoi pensieri e restare immerso nel nulla. Un nulla che avrebbe alleviato e forse annullato la sua pena che lo tormentava incessantemente.

Si addormentò. Inevitabilmente sognò Principessa. Sentì il rumore delle sue zampe contro il cancello chiuso della villa ed il suo ululato di richiamo. Doveva correre ad aprirle altrimenti, pensando che non ci fosse nessuno, sarebbe andata di nuovo via, rischiando di non incontrarsi più.

Non credevo ai miei occhi. All’inizio della stradina che incontrammo, c’era quella statua di un uomo con un mantello scuro e la lunga barba bianca, con i lumini accesi attorno a lui. Germano ogni volta che passavamo da li in macchina, faceva sempre gli stessi gesti. Con la mano destra si toccava prima la fronte, poi il petto, la spalla sinistra e alla fine quella destra e sussurrava una frase a me incomprensibile, ancora adesso.

‘Padre Pio, sei sempre nei nostri cuori.’

La villa, la nostra villa era solo ad un centinaio di metri da quel posto.

Con il cuore in gola feci gli ultimi metri correndo. Gli altri mi seguirono allo stesso ritmo, immaginando che il nostro lungo vagabondaggio stesse finalmente per finire.

Arrivati al cancello cominciai ad ululare. Ma non vidi nessuno che venisse ad aprire. Allora cominciai a colpire le lamiere di ferro del cancello con le mie zampe, con forza. Facendo così avrebbero capito che c’era qualcuno che voleva entrare dentro e anche il mio ululato sarebbe stato associato a quel bussare frenetico.

‘E’ inutile continuare così. Non c’è nessuno dentro.’

Billo aveva ragione. Forse la mia famiglia era rimasta in città e non era lì. Ma io sarei rimasta ad aspettarli per tutto il tempo necessario. Non intravedevo nessun altra possibilità.

Gaia si sdraiò per terra. Cercava di vedere dentro, attraverso il piccolo spazio che c’era tra la lamiera e la barra inferiore del cancello.

‘C’è una macchina all’interno. Questo significa che sono solo momentaneamente assenti. Ma li abbiamo trovati.’

Mi alzai all’in piedi, facendo presa sul muro di recinzione con le mie zampe anteriori. Riuscii ad arrivare fino alla rete. Finalmente potevo vedere anch’io dentro. C’era una macchina ed era quella di Germano. Vidi la mia cuccia che era rimasta allo stesso posto di quando c’ero io. C’erano, abbandonati in giardino, anche i pattini a rotelle di Federico.

‘Non possono essere andati lontani, senza utilizzare la vettura.’

Il branco la pensava come me.

‘La spiaggia. Devono essere andati lì, a fare una passeggiata tutti insieme.’

I miei compagni di viaggio mi seguirono.

Germano si era svegliato di colpo. Sentiva il cuore battergli forte. Gli ululati che aveva sentito erano così reali che per un attimo aveva creduto che fossero di Principessa. Poi quei colpi insistenti al cancello, sembrava che qualcuno volesse entrare dentro ad ogni costo.

Andò al cancello. Quando lo aprì non vide nessuno.

‘Era solo un sogno. La consolazione estrema di un’anima in pena.’

Poi notò quei graffi sulla vernice della lamiera del cancello. La mattina non c’erano. Ne era sicuro.

Elisa e Federico camminavano mano nella mano sul bagnasciuga. Avevano tolto le scarpe ed erano presi dai loro ricordi, pensando  all’estate precedente, quando c’era con loro anche Nefti.

‘Mamma pensi che quando lei si troverà in difficoltà, pensando ai momenti felici passati insieme, riuscirà a trovare la forza per non crollare e lasciarsi travolgere dal destino avverso che sta vivendo in quel momento?’

Elisa si accorse che il dolore che il suo bambino aveva provato con la scomparsa di Nefti lo aveva fatto crescere in fretta. Quella non era una frase di un bimbo di poco più di sei anni. Gli strinse la mano, in gesto di assenso.

Poi vide davanti a loro un inspiegabile alone di polvere. Sembrava che qualcuno gli stesse correndo incontro e dovevano essere in tanti.

Federico lanciò un grido di gioia. Lasciò la mano di sua madre e cominciò a correre.

‘Mamma è lei! E’ Principessa. E’ ritornata.’

Quando vidi Federico ed Elisa la commozione sembrava soffocarmi. Il piccolo correva verso di me. Gli andai incontro felice.

Finalmente ero di nuovo a casa, con la mia famiglia.

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Tutti i diritti sono riservati dall'autore e dalla casa editrice CreateSpace

ISBN-13: 978-1478192442 (CreateSpace-Assigned) 
ISBN-10: 1478192445

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Il libro su Amazon :

Edizione cartacea completa di 108 fotografie a colori.

Edizione ebook.

Note dell'autore:

Questo racconto è dedicato Algiz Lupi di Gubbio, fratello e primo compagno di giochi della mia Zaira, femmina di cane lupo cecoslovacco, che ho adottata all’età di undici mesi, circa tre anni fa.

Quando ho cominciato a scrivere la storia di Principessa  (una cucciolona di un anno di cane lupo cecoslovacco), rapita da due loschi individui  che intendevano utilizzarla per fare dei combattimenti fra cani all’ultimo sangue, Algiz non era ancora scomparso.

Principessa con la sua intelligenza particolare riesce a liberarsi dalla prigione in cui era.  Durante la sua fuga incontra quattro meticci (Senza Nome, Billo, Gaia e Napoleone) che si uniscono a lei, partecipando alla ricerca della sua amata famiglia umana da cui è stata strappata con violenza.

Dopo mesi di peripezie, alla fine Principessa riesce a ritornare a casa.

Spero che questo racconto sia di buon auspicio anche per Algiz e Valentina, sua proprietaria.

Ringraziamenti:

Ringrazio Federica che leggendo la bozza del mio racconto ad un gruppo di ragazzi (30 elementi dai 6 ai 12 anni) che partecipava ad un campo estivo ha stravolto il mio programma iniziale, facendomi aggiungere 100 foto a colori alla fine dei vari capitoli.

Ringrazio Alessia, giovane avvocato, e Claudia giovane artista che condividono con me la passione per i cani. Hanno rintracciato e fotografato per me i 4 meticci, che ho conosciuto questa estate, coinvolti nel racconto. ‘Sono state eroiche’ nell’immortalare Billo legato con la catena ad un albero . Per farlo hanno saltato un muro a secco per entrare in una masserizia semi abbandonata.

Un particolare ringraziamento va poi a Riccardo Lubrano ( il suo sito web è: http://www.runningwolf.it/ ) per almeno tre motivi:

1. E’ stato subito entusiasta del mio progetto che  coinvolgeva i suoi clc.

2. A suo tempo mi ha dato Nefti che interpreta nel racconto se stessa :Principessa (Da cucciola la chiamava così)

3. Il suo Voice (Voice of wolf z Molu Es, Campione Italiano di Bellezza) sulla neve si è prestato a dare un volto a Zac il Lupo. Mentre Ashoka, è stata, sempre sulla neve, la controfigura ideale di Principessa.

Nell’edizione cartacea sono allegate 100 fotografie a colori.

Biografia dell'autore:

L’autore di professione medico chirurgo, ha una innata passione per  la scrittura.

Debutta  con 'La mia storia con Zaira Cenerentola a 4 zampe', uno spaccato coinvolgente del mondo cinofilo delle adozioni e della vita da ring delle esposizioni nazionali ed internazionali di bellezza.

Dalla sua ‘scatola dei ricordi’ esce subito dopo ‘La casa dell’amore’. Una storia ambientata all’Università di Roma, nel 1975 (In quell’anno nacque la colonna romana delle Brigate Rosse) e ‘Verità Nascoste’. Quest’ultima e una raccolta di poesie e mostra il tortuoso tragitto di un’anima assalita dalla nostalgia e dai ricordi.

Cronologicamente segue la trilogia su ‘Il Sinesteta’ ( 1° La resurrezione, 2° Il Ritorno, 3° Ta Panta Nus) dove il protagonista nella sua unicità (dimostrata scientificamente) coinvolge il lettore con momenti mistici travolgenti. , ‘Non si può morire dentro’ed ‘Una storia semplice’ sono due racconti brevi ed intensi, mentre  ‘Ragazzi di borgata’  mostra l’inquietudine della gioventù italiana.

La scelta di un editore americano (CreateSpace) è stata una sfida difficile, in quanto l’autore ha affrontato il pubblico americano con il testo in italiano e con solo il titolo e la scheda libro anche in lingua inglese dei suoi racconti.

La comunità di italo americani in Usa (ventisei milioni di persone) però lo ha accettato benevolmente ed ora con quest’ultimo racconto ‘La Principessa dei randagi’  desidera farsi conoscere anche in Italia. E’ una favola moderna ma, oltre ai lettori dai 6 ai 14 anni a cui è indirizzato, ha la presunzione che possa anche entusiasmare chi ama gli animali e chi non ha perso la speranza di lottare per conquistarsi una vita migliore




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