Tra i titoli inneggianti al recente accordo sulla produttività, uno, apparso sul «Sole-24», diceva: «In busta paga fino a 850 euro in più». Un bella sommetta e un lettore distratto poteva arguire che la Cgil, non firmando, è ammattita. Quell’aumento salariale (annuo) a dire il vero, potrebbe essere riservato non a tutti, bensì a un livello salariale particolare. Una busta paga da pescare all’interno di una minoranza del mondo del lavoro. Sono i circa due milioni di donne e uomini che lavorano in fabbriche dove nel passato si sono potuti conquistare accordi aziendali. È possibile che il considerevole incentivo deciso dal governo allarghi questa platea anche se il fenomeno non può che essere bilanciato dalle aziende colpite dalla crisi e che chiudono o vanno in cassa integrazione, E resta il fatto che altri 16 milioni di lavoratori restano esclusi da questa scommessa. Per non parlare dell’esercito dei precari che pure sono un anello del sistema produttivo. Per loro niente incentivo fiscale.
Quel che però ha più preoccupato la Cgil è constatare che questa scelta contiene uno scambio iniquo. I lavoratori che non stanno nel girone degli eletti del secondo contratto (quello aziendale), quelli che godono soltanto del contratto nazionale, potranno veder ridotta la loro busta paga. Una scelta che colpisce la stragrande “maggioranza” dei lavoratori e che, quindi, come fa notare la Cgil, incide sui consumi e sulla crescita economica. Un danno per il Paese. Era possibile, invece, agevolare la contrattazione aziendale senza infierire su coloro che, soprattutto in questi tempi di crisi, non godono di accordi supplementari.
È alla luce di queste osservazioni che si possono capire meglio le ragioni del voltafaccia di buona parte del mondo imprenditoriale. C’è stato infatti un tempo, non molto distante, in cui la Confindustria e i suoi giornali tuonavano contro tale contrattazione decentrata. Essa, dicevano, (sfogliate le annate del “Corriere della sera”) raddoppierà le richieste e quindi i costi. Oggi sono loro a rivendicarla ma cercando di fare in modo che il risultato finale non sia un “dare”, bensì un ricevere. E infatti la nuova epoca contrattuale dovrebbe essere tutta all’insegna del togliere. Ovverosia delle «deroghe» al contratto nazionale su orari, flessibilità, qualifiche. È interessante quest’ultimo capitolo che allude alla possibilità non di far carriera in fabbrica ma di retrocedere. E chissà come reagirebbero tanti commentatori se tale regola innovativa riguardasse anche loro, costretti a passare magari da meritevoli editorialisti a redattori semplici.
Sarebbe però interessante ascoltare le opinioni oltre che di economisti e filosofi anche degli interessati. Forse si potrebbe fare una consultazione di massa come si fece per altre importanti svolte (vedi il 1993 con Ciampi) nella modellistica contrattuale. Un sindacato che fa piovere su iscritti e lavoratori le proprie scelte rischia di tramutarsi in un ente parastatale. Un operaio che ha avanzato suggerimenti, a proposito di produttività, esiste. È Gianni Marchetto, già tuta blu alla Fiat di Torino. Ha diffuso una specie di opuscolo. Qui osserva tra l’altro: «Gli operai sono persone pensanti, che se allenati, motivati, retribuiti, ecc. (alla maniera per es. di un calciatore) possono dare molta, molta più produttività». E ancora: «Se si vuole che un operaio dia il meglio di sé occorre liberarlo dalle forme di gravosità (i rischi da lavoro), di costrizione (gli accordi alla Marchionne) che non tolte portano gli operai ad un uso del tempo altro, lontano dalla produttività… ».
Marchetto cita anche l’esempio di aziende dove questo tipo di produttività è stata esperimentata. E chiede al sindacato di costruire un archivio di queste aziende «per tentare una sorta di alleanza dialettica con il movimento dei lavoratori». Una proposta interessante espressa nel corso di una partita che non è certo finita. Lo «storico» accordo separato denso di auspici deve essere tradotto nei luoghi di lavoro. E qui sarà meno facile considerare inessenziale la Cgil. Che potrà rientrare in campo, magari aiutata dalle nuove regole sulla rappresentanza che dovrebbero essere decise entro il 31 dicembre.