Anche quest’anno Augusto Croce, autorevole penna prog, racconta su questo blog la sua Prog Exhibition
Prog Exhibition – Roma 21-22 ottobre 2011
La seconda edizione del Prog Exhibition si preannunciava fin dal programma di tono leggermente inferiore rispetto allo scoppiettante debutto dello scorso anno. La volontà di ripetersi ha spinto gli organizzatori a mettere insieme un cast di ottimi musicisti e ospiti internazionali di rilievo, ma senza i grandi nomi di richiamo dell’edizione precedente. Nonostante questa premessa, confermata da una partecipazione di pubblico discreta ma non esaltante, il festival ha offerto alcuni spunti notevoli, alternando, come inevitabile in manifestazioni di questo genere, luci e ombre.
Venerdì 21 ottobre
L’inizio è un po’ in sordina, con i bolognesi Stereokimono chiamati a esibirsi davanti a pochi ardimentosi in una sala dalla temperatura decisamente gelida. Nonostante un buona tecnica, i quattro musicisti mi sono sembrati poco originali e coinvolgenti e il loro breve set non ha lasciato tracce particolarmente significative.
Si prosegue con gli Oak dell’eclettico Jerry Cutillo, gruppo legato alle sonorità dei Jethro Tull e arricchito dalla presenza di Maartin Allcock, che con quel gruppo aveva militato a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90. Purtroppo il concerto di Allcock è stato funestato da una serie di problemi tecnici apparentemente irrimediabili che gli hanno permesso di suonare pochissimo. Nonostante qualche spunto interessante l’esibizione di questo gruppo non mi è sembrata interamente convincente, dato anche il poco tempo a loro disposizione.
Il primo dei grandi nomi in scena è stato quello di Jenny Sorrenti con i suoi Saint JustAgain, gruppo senza nessun collegamento con quello che produsse due splendidi album nel 1973 e 1974, ma di grande qualità tecnica per la presenza di Ernesto Vitolo alle tastiere e Marcello Vento alla batteria, oltre al chitarrista Elio Cassarà e al bassista Cristiano Argentino. Il concerto si è basato su brani dall’album “Prog Explosion”, con un bel suono d’insieme e la voce di Jenny, a parte qualche esitazione iniziale, che ha confermato le sue eccellenti doti. Momento di spicco del set doveva essere la presenza di Alan Sorrenti, che però si è rivelata piuttosto deludente sia per l’appannamento della sua leggendaria voce che per la scelta di un arrangiamento francamente imbarazzante per la sua “Vorrei incontrarti”.
Aggiunti all’ultimo momento in programma, gli Ut, descritti come “L’anima prog dei New Trolls” rappresentano l’ultimo tassello della tormentata saga del gruppo genovese. Formato da due componenti storici dei New Trolls, il batterista Gianni Belleno e il tastierista Maurizio Salvi, oltre al bassista Massimo Gori (ex Latte e Miele), al chitarrista Claudio Cinquegrana e al tastierista Andrea Perrozzi, questo gruppo si è esibito per soli 15 minuti a causa della recentissima formazione che non ha permesso un repertorio più ricco ed elaborato, ma la classe dei musicisti si sente tutta, e i rifacimenti dell’Adagio dal “Concerto Grosso” e di “Nato adesso” sono stati molto apprezzati.
Già presente lo scorso anno come ospite degli Osanna, Gianni Leone si è presentato stavolta con lo storico nome di Balletto di Bronzo, coadiuvato dal giovane bassista Ivano Salvatori e dall’esperto batterista Alfondo Ramundo. L’unica cosa certa di Gianni Leone è la sua imprevedibilità e, anche questa volta, il tastierista ha confermato le sue doti tecniche e sceniche, sorretto da una potente base ritmica e riproponendo ampi estratti dal classico “Ys”, con un suono forse a tratti eccessivamente pieno.
Ospite d’onore per il Balletto è stato Richard Sinclair, con un’imponente doppio manico chitarra 6 corde + basso fretless 4 corde. Sinclair è musicista eccellente e ottimo cantante e lo spazio che gli è stato concesso per una delle sue composizioni è stato tra i momenti più belli di questo Prog Exhibition. Forse il connubio con il Balletto di Bronzo non era dei più azzeccati, ma questo è un altro discorso….
La chiusura della prima serata è con gli Arti & Mestieri, gruppo sempre attivissimo dal vivo, che personalmente avevo già visto diverse volte, sempre con qualche novità nella formazione. Anche stavolta una nuova line-up, con il nuovo entrato Roberto Puggioni al basso e il graditissimo ritorno per l’occasione di Gigi Venegoni, uno dei fondatori del gruppo. L’ospite straniero Darryl Way (dei Curved Air) è stato sostituito all’ultimo momento da Mel Collins, previsto solo per la seconda serata.
Per chi non li avesse visti dal vivo gli Arti & Mestieri hanno un suono potentissimo, scandito dall’impressionante drumming di Furio Chirico e sorretto dal buon lavoro di basso di Puggioni. Il chitarrista titolare Marco Roagna era assistito in questo caso dall’eccellente Venegoni, mentre le tastiere di Beppe Crovella hanno spesso un ruolo trainante nelle composizioni del gruppo. Infine il vocalist Iano Nicolò, che interpreta con personalità le limitate parti vocali presenti nella produzione del gruppo.
Ottima aggiunta al già ricco suono degli Arti & Mestieri, il sax di Mel Collins, musicista esperto e raffinato che ha impreziosito alcuni momenti del concerto (immancabile la presenza del sax in “Giro di valzer”) pur avendo potuto provare poco.
Sabato 22 ottobre
L’apertura della seconda serata, con un pubblico decisamente più numeroso, è affidata ai miei concittadini del Bacio della Medusa. Il gruppo umbro è giovane ma già molto apprezzato in campo internazionale, avendo realizzato due CD accolti molto bene dalla critica e dal pubblico e con un terzo lavoro in preparazione, del quale sono stati presentati due brani. Non ripeterò le lodi già fatte in altre occasioni, basti dire che il gruppo è sempre a proprio agio sul palco e, nonostante qualche problema di volume, ha avuto un’ottima accoglienza dal pubblico del Prog Exhibition.
Una piacevole sorpresa di questo festival è stato il ritorno di Vic Vergeat con i suoi Toad. Anche in questo caso il nome dello storico gruppo si identifica con quello del suo fondatore, visto che gli altri componenti del trio sono un’aggiunta recente. Coadiuvato da una possente sezione ritmica, costituita da Mickey Guaglio al basso e Jo Macrì alla batteria, entrambi di Domodossola come Vergeat, il buon Vic ha dato vita ad un bel set di rock blues molto apprezzato. Vergeat ha un bel tocco e una bella voce, forse il suo sound non è molto attinente al progressive, ma è piaciuto molto, a giudicare dai commenti sentiti in giro. Anche qui l’innesto dello special guest Mel Collins, già presente nella prima serata, ha aggiunto un tocco di classe ad un concerto di ottimo livello. Unica leggera stonatura per chi scrive i lunghi assoli di batteria e di basso (anche se di ottima fattura!), nella classica tradizione dei “power trio” degli anni settanta, ma forse non adatti ad un set di 40 minuti.
Un piccolo dubbio relativo al gruppo che si è esibito dopo i Toad: possono esistere i Garybaldi senza Bambi Fossati? Evidentemente sì, visto che in formazione c’erano due dei componenti storici del gruppo: Maurizio Cassinelli (voce, chitarra e batteria) e Angelo Traverso (basso e chitarra) e un altro, Marco Zoccheddu (uno dei fondatori dei Gleemen) era presente come “special guest”. Fossati è ormai assente dall’anno scorso per motivi di salute ed è un peccato, perché il nome del gruppo è legato a lui in maniera indissolubile e il suo sostituto Riky Pelle non ha lo stesso carisma. Il loro concerto è volato via in maniera abbastanza indolore, ma senza lasciare particolari ricordi, con un inizio zoppicante (“Moretto da Brescia” cantata da Cassinelli), un crescendo con rapido cambio di strumentazione tra tutti i musicisti e il finale con “La mia scelta” della Nuova Idea, cantata da Zoccheddu.
Di ben altro livello l’esibizione del Biglietto per l’Inferno.Folk, la reincarnazione dello storico gruppo di Lecco con una formazione di otto elementi, due dei quali (il tastieristy Pilly Cossa e il batterista Mauro Gnecchi) provenienti da quella che incise il primo storico album nel 1974. La loro scelta è stata piuttosto coraggiosa, se confrontata con tanti altri gruppi che si sono riformati suonando i brani originali più o meno come quarant’anni prima: riarrangiare il repertorio del Biglietto per l’Inferno, originariamente contraddistinto da sonorità piuttosto dure, con strumenti della tradizione popolare e un’inedita voce femminile.
Il risultato, per quanto molto distante dall’originale è molto piacevole e particolarmente coinvolgente in concerto. I musicisti sono bravissimi, la cantante Mariolina Sala ha un’ottima voce e una notevole presenza scenica e, in questo caso, l’apporto dello “special guest” straniero, Martin Barre, mi è sembrato particolarmente riuscito.
Personalmente li avevo già visti in un piccolo locale e l’impressione era stata ottima. Il dubbio era se sarebbero riusciti a superare l’esame del grande palco: esame passato a pieni voti! Concerto riuscitissimo, probabilmente tra le cose migliori di questi due giorni, e molte persone inizialmente in dubbio sulla possibilità di trasformare i brani del Biglietto in chiave folk si sono dovute ricredere.
Gruppo di punta della serata conclusiva i New Goblin di Claudio Simonetti, Massimo Morante e Massimo Guarini, accompagnati dalla solida ed esperta sezione ritmica di Bruno Previtali e Titta Tani. Inizio in ritardo per problemi tecnici alle tastiere di Simonetti, poi una lunga carrellata di brani dalla vasta produzione dei Goblin, tra cui le varie “Mad Puppet” e “Suspiria”. Concerto un po’ freddo e un po’ troppo lungo per i miei gusti, nonostante l’indubbia capacità di tutti i musicisti sul palco. Finale travolgente, con l’immancabile “Profondo rosso” e l’ingresso dell’ospite d’onore Steve Hackett per una bella versione di “Watcher of the skies”, con l’ottima voce di Vincenzo Misceo (della cover band The Lamb).
Per finire una breve, e totalmente improvvisata, jam session tra i vari musicisti ospiti delle due serate, riuniti da Franz Di Cioccio, quest’anno nella veste di padrone di casa; con Di Cioccio alla batteria c’erano Steve Hackett e Martin Barre alle chitarre, Mel Collins al sax, Richard Sinclair al basso e Maartin Allcock alle tastiere, con rifacimenti di “Locomotive Breath” e di “Crossroads” che chiudono alla grande un bel festival e fanno sperare che l’anno prossimo si possa continuare questa bella tradizione!