A sentirlo parlare, sul sito ideato e gestito appositamente per quei poveri berluscodipendenti in overdose di banalità e di servilismo (http://www.promotoridellaliberta.it/index.php/manifesto-blog/316-titolo-titolo), viene quasi spontaneo accostare la figura del presidente del Consiglio a quella di un capobastone di una 'ndrina della Piana di Gioia Tauro o meglio ancora a quella di un vecchio padrino della Cupola siciliana. Lo spessore etico-criminale è fuori di dubbio, la capacità persuasiva del linguaggio (anche senza l'uso della lupara) ancor di più, le frequentazioni (passate e presenti) con gentiluomini in odor di mafia rappresentano il classico miglior biglietto da visita che un uomo d'onore può sperare di avere sempre a portata di mano. Eppure c'è ancora (incredibilmente e stoltamente) gente aggrappata, in maniera spasmodica e tenace, a questo ignobile capobastone della (invereconda) politica italiana. Chi per interesse, chi per vicinanza e correità, chi soltanto per raccogliere le molliche lasciate cadere dal padrino di Arcore, tutti lì proni e pronti a far quadrato attorno al gangster della Brianza ormai diventato romano d'adozione. E lui, naturalmente, pronto a spargere a piene mani promesse e posti vacanti, appalti milionari per gli amici degli amici e donnine ad uso e consumo (oltre che proprio, ma questa è un'ovvietà) degli arrapati e sudaticci loschi figuri di cui beatamente si circonda da quasi 40 anni. Adesso tenta l'ultima carta, quella della disperazione. Annusata l'aria da fogna, che lui stesso ha generato (e su questo Di Pietro ha perfettamente ragione), ascoltato il tintinnìo delle manette che lo attendono dietro l'angolo (che poi è l'anno prossimo, dopo che si pronuncerà la Consulta sul legittimo impedimento facendo di fatto ripartire i tre processi nei quali è imputato), il Pifferaio di Arcore cerca ancora una volta, con la sua voce flautata, di riportare quanti più topolini finiani dalla sua parte, facendo in modo di far ricadere le colpe della scissione solo e soltanto sulle spalle di Fini, l'unico acerrimo attuale nemico (Di Pietro è solo uno sbiadito e rancoroso ricordo). Già le ha tentate tutte: con le campagne infami dei suoi giornali grondanti melma puzzolente, con la propaganda tipica di chi agli insuccessi di questi due anni e mezzo di malgoverno sciorina al popolino le mistificazioni di epocali e straordinarie vittorie della sua politica del fare (gli affari suoi). Ma tutto questo, purtroppo per lui, senza cavare un ragno dal buco. Il Pifferaio di Arcore è ormai con le spalle al muro. La garrota della legalità e della giustizia si sta sempre più stringendo alla base del suo collo rendendogli il respiro sempre più affannoso e l'aria sempre più rarefatta. E lui si sta accorgendo che la fine è vicina. E come nella logica del Caimano cerca disperatamente l'ultimo colpo di coda. Prima che gliela taglino. Definitivamente.
A sentirlo parlare, sul sito ideato e gestito appositamente per quei poveri berluscodipendenti in overdose di banalità e di servilismo (http://www.promotoridellaliberta.it/index.php/manifesto-blog/316-titolo-titolo), viene quasi spontaneo accostare la figura del presidente del Consiglio a quella di un capobastone di una 'ndrina della Piana di Gioia Tauro o meglio ancora a quella di un vecchio padrino della Cupola siciliana. Lo spessore etico-criminale è fuori di dubbio, la capacità persuasiva del linguaggio (anche senza l'uso della lupara) ancor di più, le frequentazioni (passate e presenti) con gentiluomini in odor di mafia rappresentano il classico miglior biglietto da visita che un uomo d'onore può sperare di avere sempre a portata di mano. Eppure c'è ancora (incredibilmente e stoltamente) gente aggrappata, in maniera spasmodica e tenace, a questo ignobile capobastone della (invereconda) politica italiana. Chi per interesse, chi per vicinanza e correità, chi soltanto per raccogliere le molliche lasciate cadere dal padrino di Arcore, tutti lì proni e pronti a far quadrato attorno al gangster della Brianza ormai diventato romano d'adozione. E lui, naturalmente, pronto a spargere a piene mani promesse e posti vacanti, appalti milionari per gli amici degli amici e donnine ad uso e consumo (oltre che proprio, ma questa è un'ovvietà) degli arrapati e sudaticci loschi figuri di cui beatamente si circonda da quasi 40 anni. Adesso tenta l'ultima carta, quella della disperazione. Annusata l'aria da fogna, che lui stesso ha generato (e su questo Di Pietro ha perfettamente ragione), ascoltato il tintinnìo delle manette che lo attendono dietro l'angolo (che poi è l'anno prossimo, dopo che si pronuncerà la Consulta sul legittimo impedimento facendo di fatto ripartire i tre processi nei quali è imputato), il Pifferaio di Arcore cerca ancora una volta, con la sua voce flautata, di riportare quanti più topolini finiani dalla sua parte, facendo in modo di far ricadere le colpe della scissione solo e soltanto sulle spalle di Fini, l'unico acerrimo attuale nemico (Di Pietro è solo uno sbiadito e rancoroso ricordo). Già le ha tentate tutte: con le campagne infami dei suoi giornali grondanti melma puzzolente, con la propaganda tipica di chi agli insuccessi di questi due anni e mezzo di malgoverno sciorina al popolino le mistificazioni di epocali e straordinarie vittorie della sua politica del fare (gli affari suoi). Ma tutto questo, purtroppo per lui, senza cavare un ragno dal buco. Il Pifferaio di Arcore è ormai con le spalle al muro. La garrota della legalità e della giustizia si sta sempre più stringendo alla base del suo collo rendendogli il respiro sempre più affannoso e l'aria sempre più rarefatta. E lui si sta accorgendo che la fine è vicina. E come nella logica del Caimano cerca disperatamente l'ultimo colpo di coda. Prima che gliela taglino. Definitivamente.
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