LEI all'areoporto di Londra avvalora la mia tesi.
Quando devo prendere un aereo mi sento sempre grande, essere disinvolto davanti ai pannelli informativi, al numero del gate o al check in è sinonimo di autocontrollo e pazienza.Solitamente si incontra qualcuno che si fa prendere dall’ansia e che comincia ad avere attacchi di panico non appena intravede la polizia, una hostess straniera o il cestello del bagaglio a mano.
La signora Rosaria, 60 enne napoletana, si avvicina con il marito ai controlli.
“Gianni, prendi il biglietto che dobbiamo mostrarlo.”
“Passaporto?”
“Sa, noi andiamo a Barcellona dal nostro bambino, lavora lì adesso.”
“Prego signora, metta tutti i suoi effetti personali nella cassetta e passi sotto al metal detector.”
La prima volta suona tutto perché non ha tolto l’orologio.
La seconda volta perché ha ancora la borsetta al braccio.
La terza e ultima perché non vuole staccarsi dal crocefisso di Padre Pio.
Il suo bagaglio a mano non entrava nelle misure adatte e conteneva delle lasagne al ragù e alle verdure, piatto preferito del suo unico figlio, 36 anni, single, commesso in un negozio di telefonia spagnola.
Viaggiando con i Low Cost, baluardo di civiltà per il XXI secolo, ci si scontra con le restrizioni del bagaglio che fanno perdere anni di vita a chi non è pratico di arte minimalista e si porta dietro oggetti inutili quali cuffia per la doccia, accappatoio di spugna e stivali da cow-boy.
Si arriva spavaldi all’imbarco convinti che non si siano superati i dieci chili di peso ma poi compare una deliziosa hostess vestita blu elettrico, alta due metri e 30, che minaccia la tua incolumità se non riesci a posizionare perfettamente la tua valigia nel cestello standard.
Qui inizia un vero e proprio incubo.
La si spinge dentro forzandola con i piedi sotto gli occhi increduli degli altri passeggeri. Nel frattempo si è incastrata e per tirarla fuori ci si porta via tutto, cestello compreso.
Ad osservarti con il sopracciglio alzato tutto l’equipaggio.
Ci si vendica su quello steward che durante la dimostrazione per i casi di emergenza non è coordinato ai suoi colleghi e sembra un tronco.
Tra gli habituè dei voli economici si trovano sempre giovani studenti curiosi di conoscere il mondo, uomini in carriera che viaggiano con una semplice 24 ore nera e strani personaggi dall’abbigliamento stravagante.
Qualche elegantona impellicciata c’è sempre.
“Mi scusi ma io ho la sppedy boarding ppass” sospira con prepotenza incidendo sulla lettera p.
“Prego signora, passi pure.”
Sarà anche la prima, ma sale con tutti gli altri sul piccolo autobus che porta all’aereo.
E aspetta.
L’abbigliamento in volo ha sempre il suo perché.
I fanatici della moda non rinunciano alla griffe nemmeno lì, al contrario si addobbano con tutto quanto hanno di più prezioso nell’armadio per paura che il bagaglio da stiva venga dimenticato o spedito in qualche angolo remoto della Terra.
La pelliccia o il pellicciotto sono un classico, insieme all’occhiale a mascherina che fa tanto “Oddio-mi-fere-il-sol” e con cui si può improvvisare una discesa in stile Jackie Kennedy.
Anche il tacco trova il suo ruolo negli accessori da indossare in volo, non è raro incontrare una ragazza con zeppa, tacco a spillo e plateau, abbinato ad uno zaino da trekking caricato sulle spalle in cui probabilmente c’è un sacco a pelo o un asciugamano in microfibra.
“Ma cosa spinge una donna a stare scomoda anche in aereo?” mi chiedo senza riflettere.
La pressione gonfia le caviglie, si tirano enormi trolley che diventano armi pericolosissime se non si fa attenzione, in aereo si muore di caldo e dopo due minuti di freddo.
Io arrivo da un viaggio in aereo che sembro un profugo, due maglioni, una felpa legata in vita come durante le passeggiate in montagna, il cappello in testa che non si deve sformare, la sciarpa che striscia per terra e i guanti infilati nella tasca dei jeans.
Ecco perché trovo impossibile che gli altri sembrino appena usciti da una copertina di Harper's Bazaar. Non ci sono i paparazzi agli arrivi in areoporto, non si fanno le fototessere in volo per il rinnovo della carta d’identità.
“Hai visto quanto sono alte quelle scarpe?”
“Non riuscirei nemmeno a stare ferma al cinema con quei trampoli.”
“E’ ovvio che sta soffrendo come una dannata.”
“Beh, allora perché le sta indossando scusa?”
“Non l’hai ancora capito che non le stavano nel bagaglio?”
Ecco il punto cruciale.
I passeggeri di questi voli economici non viaggiano con i tacchi o con i cappelli a tesa larga per vanità ma semplicemente perché nei dieci chili è già tanto se rientrano due paia di mutande, il pigiama di flanella fucsia e la crema antirughe.
Rimpiango i tempi in cui si poteva viaggiare con enormi bauli cifrati e cappelliere stracolme.
Senza hostess isteriche.
Senza estrazioni del lotto in volo.
Senza la musichetta da “caccia alla volpe” durante l’atterraggio seguito da un imbarazzante applauso al pilota.