“Io, dissanguato dalle tangenti per il Palazzo”, si lamenta Francesco Piscicelli: “Balducci imponeva tutto, se parla lui viene giù tutta la seconda Repubblica e pure mezzo Vaticano. Guido Bertolaso? Un megalomane che si vendeva per 50 mila euro. A Natale, Pasqua e Ferragosto i parlamentari italiani battono cassa. E’ un assedio” Lui è diventato famoso quando è stata pubblicata l’intercettazione nella quale lo si sente sghignazzare del terremoto dell’Aquila con il cognato. Napoletano, alto borghese, vicino ad Alleanza nazionale, Piscicelli è stato uno dei quindici costruttori scelti dalla cricca della Ferratella per lavorare al soldo della Protezione civile di Bertolaso.
La “procedura” Protezione civile, con la deroga totale per ogni gara pubblica, nasce con il Giubileo del Duemila, con il patto scellerato fra il sindaco di Roma Francesco Rutelli, il provveditore alle Opere pubbliche del Lazio Angelo Balducci e il capo della Protezione civile Guido Bertolaso. Insieme montano una macchina per “semplificare”, accelerare, deregolare, “liberare” e costruire in un paese, a loro dire, paralizzato da lacci e laccioli. Via via le licenze, le libertà diventano sistema di trasgressione e motore per l’arricchimento personale.
Dice Piscicelli: “Sfruttato a sinistra e a destra, l’ho visto con i miei occhi, l’ho vissuto dall’interno: una montagna di denaro pubblico per dieci stagioni è stata messa a bilancio per realizzare auditorium, stadi, caserme, svincoli e in percentuale è stata poi trasferita a ministri, sottosegretari, parlamentari, magistrati, funzionari della Protezione, dirigenti delle Opere pubbliche. Nessuna istituzione, nessun partito, tutto ad personam”.
L’anomalia italiana è il ricorso a leggi che legittimano l’impoverimento del benessere, il primato dell’interesse personale e l’oltraggio alla democrazia. Mentre la marea della corruzione monta come un oceano in tempesta, governo e Parlamento licenziano un provvedimento “brodino” come l’ha definito il Financial Times, che si converte da legge ad personam a regalo collettivo, a protezione di una rete nazionale di illecito, di un vero e proprio circuito di arricchimento di pochi, alimentato e coperto da norme specifiche, come quella sulla Protezione Civile, che provoca l’impoverimento generale.
Secondo il dossier di Legambiente, Libera e Avviso Pubblico, almeno 12% degli italiani ha subito la richiesta di una tangente: circa 4 milioni e mezzo i cittadini italiani coinvolti (dati Eurobarometer 2011). Dall’1 gennaio 2010 sono state. 78 le inchieste relative ad episodi di corruzione connessi ad attività dal forte impatto ambientale, 15 le regioni coinvolte, 34 procure impegnate.
Secondo la World Bank, nel mondo si pagano ogni anno più di 1.000 miliardi di dollari di tangenti e va sprecato, a causa della corruzione, circa il 3 per cento del Pil mondiale. Applicando questa percentuale all’Italia, si calcola che annualmente l’onere sui bilanci pubblici è nella misura di 50-60 miliardi di euro l’anno, come una vera e propria tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini e un fardello insostenibile per i bilanci dello Stato. ma ancora più allarmanti sono i danni politici, sociali e ambientali: la delegittimazione delle istituzioni e della classe politica, il segnale di degrado del tessuto morale della classe dirigente, l’affermarsi di meccanismi di selezione che premiano corrotti e corruttori nelle carriere economiche, politiche, burocratiche, il dilagare della criminalità, attraverso fenomeni come i traffici di rifiuti e il ciclo illegale del cemento, concessioni illegittime, che si alimentano quasi sempre anche grazie alla connivenza della cosiddetta “zona grigia”, fatta di colletti bianchi, tecnici compiacenti, politici corrotti.
Se uno dei teatri ideali è quello dell’urbanistica, delle lottizzazioni, dalle licenze edilizie, degli appalti pubblici, il laboratorio sperimentale e paradigmatico è proprio quello del velenoso “governo delle emergenze” il più vulnerabile alla corruzione. Negli appalti banditi dalla Protezione civile, tramite strutture di missione costruite ad hoc per gestire emergenze spesso posticce, le inchieste condotte a Firenze, Perugia e Roma hanno documentato una successiva sostanziosa lievitazione di prezzo. Su 33 grandi opere oggetto di indagine nel triennio 2007-2010, il costo sostenuto dalle casse pubbliche è passato dai 574 milioni di euro dell’assegnazione iniziale – già in affidamento diretto senza gara, presumibilmente più elevata rispetto agli standard di mercato – a 834 milioni di euro. Un onere aggiuntivo per i cittadini quantificato con precisione in 259.895.849 euro, pari al 45 per cento del valore iniziale di aggiudicazione.
Se non è inutile chiedersi quante tra le 27 vittime del sisma in Emilia Romagna nel 2012, le 308 vittime del terremoto in Abruzzo del 2009 (considerato dagli esperti “di magnitudo moderata”), le 30 di San Giuliano di Puglia nel 2001 (evento di modesta intensità), 2914 in Irpinia nel 1980, 989 in Friuli nel 1976, 370 nel Belice nel 1968, abbiano perso la vita anche a causa delle tangenti che avevano dequalificato le scelte urbanistiche, dissuaso un serio controllo sui processi di costruzione, permesso l’impiego di materiali scadenti, guardare oggi alla città morta dell’Aquila, è guardare un bubbone che ha moltiplicato il lutto, che contagia l’ambiente, che tiene in ostaggio la democrazia e inquina l’economia.
Il capo della Protezione Civile Gabrielli ha pensato bene di renderci nota la sua personale hit parade della buona educazione post-sisma. Nel criticare quei piagnoni degli aquilani, avrà voluto sottintendere che in Emilia Romagna “tutto funziona meglio”, grazie al codice genetico delle popolazioni, ma soprattutto grazie alla sua reggenza. Più volte qui – che il terremoto emiliano non ha più l’onore delle cronache – abbiamo denunciato l’abbandono e l’oltraggio ripetuto e seriale inferto a una regione colpita nelle persone, nel lavoro e nella dignità. Viene l’inverno, molta gente è ancora in “abitazioni” precarie, le scuole che hanno riaperto presentano ancora rischi, si lavora nei capannoni sotto ricatto di altre scosse e di strutture pericolanti.
Ma l’Emilia potrebbe avere un vantaggio: conoscere il nemico e ribellarsi al destino dell’Aquila, contrastare il modello “Bertolaso-Berlusconi”, ma, perché no? anche l’altra immonda illusione, quella delle smart city, la città sfolgorante di luci intelligenti laddove non c’è più una città, quella della custodia di una quinta teatrale, dietro al quale si provvede a cancellare storia, memorie, cultura, identità delle persone e appartenenza ai luoghi.
A quella che Settis ha definito la Pompei dei giorni nostri, il governo degli annunci ha promesso l’arrivo provvidenziale di fondi Ue per la ricostruzione. Sulla base però del gracile e estemporaneo documento Ocse-Università di Groeningen, che sorvola “modernamente” sulle esperienze italiane più avanzate e ormai consolidate (dalla Carta di Gubbio in poi), e distingue ancora fra «monumenti» da conservare ed «edilizia minore» da demolire, proponendo (che innovazione) la conservazione delle sole facciate storiche dietro le quali costruire ex novo.
Auguriamoci che in Emilia siano arcaici e si difendano dalle brillanti soluzioni ideologiche del Governo e dell’Ue che gliele chiede, affrancandosi da quel molesto dirigismo, dalle occupazioni militari di una combinazione di autoritarismo e affarismo, ritrovando una forza di popolo.