Esattamente 45 anni fa l’uomo inventò il metallo
Solitamente, in questo periodo, diciamo nei primi mesi del nuovo anno, mi capita di ripensare a ciò che è appena stato, a quello che la ‘scena’ ha messo sul mio piatto e provo a tirare la riga finale. Troppo spesso penso di aver buttato giù una playlist non completamente centrata, un po’ frettolosa e, a volte, penso anche di averla sbagliata. Questa cosa mi capita più o meno da sempre ma con maggior intensità da quando esiste Metal Skunk e, quindi, da quando stilare ‘la play’ è diventato un affare di Stato. Così, vorrei buttar giù due righe, qualche riflessione, ma poi lascio sempre perdere per questo o quello. Invece ‘sta volta mi sono imposto di ripassare in rassegna tutte le vecchie classifiche di fine anno, personali e generali, ripartendo proprio da quel 2010, anno che vide la nascita del blog, per capire come nel tempo ho cambiato idea. Sono passati cinque anni. Vediamo cosa ne è venuto fuori.
Di tutta quella roba lì mi è praticamente rimasto solo Écailles De Lune, disco che avrò ascoltato fino alla nausea e ultimo momento indiscutibilmente buono di una carriera fantastica, poi finita nella banalità. Il successivo Les voyages de l’âme mi piacque non poco ma, considerando cosa sono diventati gli Alcest (dei fighetti senza speranza), ha cominciato a darmi sempre più fastidio, perché patente diagnosi di una malattia terminale. Poi, vabbé, tutti quanti si sono messi a copiare ‘sta roba con risultati più o meno scarsi (e qualche eccezione rarissima) a riprova del fatto che agli inizi i franciosi erano veramente dei grandi, e i vaffanculo si sprecano ancora. I Barren Earth mi avevano fatto girare la testa perché ultimi, in ordine cronologico, veri epigoni di un death melodico d’annata, vecchio ed intenso amore della mia (e della nostra) gioventù, come non se ne sentiva da tempo. In quanto prodotto surrogato, purtroppo, è stato veramente un attimo metterli nel dimenticatoio. Da primi in classifica a carneadi qualsiasi (anche perché il successivo The Devil’s Resolve suonava già come una copia della copia). Un disco che orgogliosamente urla anni novanta ad ogni piega di un songwriting ancorato a un decennio che è uno stato della mente, una frase bellissima che trasuda verità. Ciononostante, questo mi ha fatto riflettere su quanto stiamo diventando vecchi e a volte patetici nel nostro rincorrere epoche d’oro che non esisteranno più. Il disco in sé era molto, ma molto ben fatto, chi lo nega, ma se nella mia vita di tutti i giorni sento un attimo di nostalgia vado a risfogliare i classici, quelli veri. Avevo speso belle parole per i Black Mountain: mai più sentiti. Ora pare che mi stia dando la zappa sui piedi e invece no. Voglio dire, il mio giudizio su di loro è rimasto inalterato ma nel settore, stoner/prog/psichedelico, ne è uscita di roba in questi anni, roba che ha messo in ombra anche dischi molto ben riusciti, come il suddetto. Sui Blind Guardian post Middle-Earth non mi sento di dire nulla, qualcuno potrebbe offendersi, mentre il Burzum di Belus ancora resiste nello stereo e pure We’re Here Because We’re Here, che all’epoca non piacque a tutti (a me un botto), regge eccome.
Quella del 2011:
Che annata, quella. Su Fallen, March Of The Norse, Tiurida, Varjoina Kuljemme Kuolleiden Maassa e Torn Beyond Reason non è possibile cambiare idea: capolavori i primi due, indiscutibilmente ottimi gli altri tre. Un anno facile, che ci convinse pienamente tutti e fece navigare la ciurma di MS sulle onde del black metal (oggi, ma da un po’ ormai, sembra vincere a mani basse lo sludge/stoner, che sta vivendo un periodo di fertilità e gloria). Talmente efficaci che sembravano tirati fuori dal congelatore, ancora freschi e rappresentativi di un modo di fare BM ispirato e pieno di contenuti. Uno dei dischi più belli della carriera di Kim Larsen, sotto il moniker Of The Wand And The Moon, The Lone Descent è uscito nel 2011 ed è ancora vivo e vegeto, anzi più di prima. Il recente concerto che abbiamo atteso e vissuto con così tanto interesse ne è la prova lampante. Miglior rappresentante del mondo neofolk degli ultimi cinque anni almeno (e gli sto facendo pure torto). Una grandissima conferma, quella degli Eldritch, che tornano a fare prog metal con le tastiere e grandi palle quadrate. Viva il prog metal, quindi, ma QUESTO tipo di prog metal, non quello fatto di lagne e barocchismi da bancarella cinese. E quindi, viva anche i Symphony X di Iconoclast, degni e storici rappresentanti di quanto appena descritto. Postilla: e Back Through Time?
Quella del 2012:
Se il 2011 è stato un anno facile, il 2012 è stato un vero puttanaio. Ricordo che io e Ciccio quasi ci accapigliammo verbalmente con gli altri (ma avremmo anche fatto ricorso alle mani se la cosa non avesse preso la giusta piega) per imporre a tutti la Top 15. L’imbarazzo della scelta è l’espressione migliore. Confermo tutto (o quasi): MANOWAR, Enslaved, Anathema e Accept superiori alle migliori aspettative possibili. Sugli Alcest ho già detto tutto. I Turbonegro non li ho mai sentiti così vicini ai miei gusti ma cerco di comprendere e rispettare quelli degli altri. Del resto, i cinque norvegesi hanno una ATTITUDINE talmente evidente ed imbattibile che non li si può che amare a prescindere. Mi spiace che all’Hellfest abbia assistito solo ai due pezzi finali, ho sbagliato, perdonami Belzebù, ma ero stanco e ritenevo di potermeli evitare. Gravissimo errore. Un album dei My Dying Bride DEVE entrare in una classifica di fine anno, non se ne può fare a meno, ne ha diritto a prescindere, anche se non posso dire di aver poi piazzato quel disco in heavy rotation. Non so se vi capita, a me sì, ma certe mattine ti svegli con un pezzo dei MDB in testa e finisci per riascoltare tutta, ma proprio tutta di un fiato, la discografia degli inglesi. Se piazzi tutti i loro lavori in sequenza ne viene fuori un discorso unico, una specie di grande Heimat ma in versione doom metal: la storia di una vita, di una nazione, di un genere. Geni. Ecco, la discografia dei MDB sarebbe stata la migliore colonna sonora per Heimat. Forse avrei desiderato che i Dead Can Dance venissero elogiati un po’ di più, ma qui siamo a Metal Skunk non a Darkwave Skunk…
Il 2013:
Ancora un anno buono, meno intenso ma, col senno di poi, pur sempre buono. Sono deluso dal fatto che i Rotting Christ non siano finiti al primo posto assoluto e indiscutibile perché, ok, i Carcass sono quasi membri di famiglia e fanno parte del tuo background, poi il disco è tagliente, lacerante, quasi perfetto (chi non l’ha gradito non so veramente con che faccia riesca a guardarsi allo specchio la mattina), però, cristo santo, Κατά τον δαίμονα εαυτού è qualcosa di semplicemente indescrivibile. È forse l’album che meglio ha superato la prova del tempo. Dopo di esso, in ambito BM mondiale, non è uscito nulla di lontanamente paragonabile. Viva i Warlord, sempre, e viva anche i Clutch anche se (si veda il discorso sui Turboneger) non li sento particolarmente miei. Rispetto profondo, dunque, bel tiro, ma mentirei se dicessi di aver sentito Earth Rocker più di quattro volte in tutto. A parte Asa (anche qui, piazzare Vratyas Vakyas in classifica generale è un dovere morale), il resto della play mi lascia abbastanza indifferente al momento. E che la bandiera dei Black Sabbath sventoli sempre alta (se la pensate diversamente vi mandiamo Geezer Butler, il terrore del West, a sfondarvi il cranio). Hanno retto alla grande pure i Fintroll, ma questo è un mio problema personale… Bisogna fare un discorso a parte per i Lycia, autori di uno stupendo Quiet Moments, la cui uscita fu ignominiosamente da me ignorata, per poi correre ai ripari.
E infine l’ultima:
Se non fosse per Alestorm, Faith No More (a proposito, il nuovo album si chiamerà Sol Invictus e no, non è uno split, lo ha personalmente confermato Tony Wakeford al nostro Avvocato) e pochi altri, sarebbe stato un anno da dimenticare, da buttare al cesso. E Ciccio ci aveva provato pure a mistificare gli exit poll facendo letteralmente sparire, nottetempo, Sunset On The Golden Age dal file definitivo. Per questo, ed altri affronti, verrai mangiato vivo dal Kraken. Mi dispiace che non tutti abbiano capito i Solstafir e che, inoltre, non ci sia stato un plebiscito su Mastodon e Sabaton. Questi ultimi, per esempio, ce l’hanno l’attitudine. Eccome se ce l’hanno, come cazzo fate a non capirlo, cristo di un dio?
Invece abbiamo inserito ai primi posti gente che non se lo meritava proprio, dimenticandoci completamente di Yob e Pallbearer. Ok Earth, ok Triptykon (ma fino a un certo punto), poi vale quanto appena detto. Ancora bestemmio per la prova deludente degli Empyrium, insieme a quella dei Summoning (in minor misura) una delle sconfitte più pesanti di questa lunga tornata metallara. Alla fine vince clamorosamente la prova del tempo At War With Reality. E qui non si può fare un discorso sull’età dell’oro perché questo, signori miei, è un disco che ha un unico difetto, quello di riportare in copertina il nome degli At The Gates. Sì, perché se lo avesse inciso chiunque altro avremmo gridato al disco della madonna, e invece abbiamo sussurrato, in modo anche abbastanza pavido a volte, che forse, ma forse, bisognava tenerlo in maggior considerazione. A me sembrò non abbastanza devastante; a Roberto non è bastato proprio; un più soddisfatto Manolo lo giudicava sì autocelebrativo ma assolutamente non forzato; per Luca nulla più di un piacevole e gradito ritorno; per Ciccio un dignitoso amarcord. Tutti ci siamo naturalmente imposti di non fare confronti con Slaughter ma ciò non è stato umanamente possibile. Sono sicuro che gli stessi ATG sapessero che sarebbe stato così per tutti che quelli che con SOTS sono cresciuti e fossi stato in loro non avrei svicolato l’improponibile paragone con esso, come diceva sempre Francesco, anzi avrei rischiato, perché non è un caso che The conspiracy of the blind sia il brano più bello del disco. Tutto avrebbe avuto molto più senso.
Ad ogni modo, alla fine, nonostante la congiura pippo-pluto-giudaico-massonica, At War With Reality ne è uscito vittorioso lo stesso. Permane la sensazione complessiva di tutta questa operazione che, a me, sembra sia stata più o meno la stessa di quando si andava a votare per i governi del ventennio Belluscone: tutti contrari a parole, tutti a criticare, molti indecisi e poi quello la spuntava sempre. Ora, non me ne vogliate per l’arditezza del paragone e per aver riportato alla mente sì brutti ricordi, ‘che in un mondo perfetto Adrian Erlandsson avrebbe scuoiato vivo quel signore lì e si sarebbe messo a rifare Suicide Nation con le sue pelli durante le tre memorabili date italiane, che sarebbero state menzionate negli anni a venire in tutti i discorsi di capodanno del Presidente e il ricordo tramandato ad imperitura gloria, perché assurte a furor di popolo a momenti più alti di questa grande nazione. (Charles)