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La prova generale

Creato il 12 aprile 2013 da Robomana
La prova generale Qualche settimana fa è andato in onda sulla HBO Phil Spector di David Mamet, film per la tv che anche qui in Italia ha fatto un po' di notizia - per quanto possa fare notizia la tv americana di qualità, ché alla fine siamo sempre lì a dire quanto abbia cambiato le cose, ma poi col cazzo che da noi finisce sulla tv in chiaro (e in quei casi in cui ci finisce, come Boss sui Rai 3, dopo le prima due puntate in prima serata alla seconda settimana va direttamente alle undici di sera del sabato e poi più niente, basta solo che finisca sto strazio che ci rimettiamo la Leosini) - un film, dicevo, che ha fatto notizia perché affronta il caso di omicidio per cui è stato condonnato uno dei più famosi produttori musicali di sempre, perché uno dei più famosi produttori musicali di sempre viene interpretato da Al Pacino (che quando vuole la zampata la sa ancora dare, per non parlare della fantastica Hellen Mirren che gli sta a fianco) e perché a un certo punto del film, Al Pacino che interpetra uno dei più famosi produttori musicali di sempre indossa una parrucca assurda e stratosferica che esagera solo di un pochino la realmente assurda e realmente stratosferica acconciatura che lo stesso produttore musicale tra i più famosi di sempre sfoggiò durante un'udienza del processo che lo vide una prima volta non giudicato per mancanza di prove (ed è il periodo su cui si concentra il film) e una seconda condannato a diciannove anni di galera. E poi c'era il fatto che ultimamente Mamet sembrava essersi bevuto il cervello, almeno per noi italiani di sinistra che non riusciamo ad accettare la fede repubblicana di uno scrittore che stimiamo, e allora un po' di curiosità questo Phil Spector la sollevava. Ebbene, venendo finalmente al motivo per cui scrivo il post, questo Phil Spector non è affatto male: anzi, per chi scrive è un film notevole.
Non è una biografia, forse è un film processuale, ma con la particolarità di essere la prova di un processo, non il racconto del processo vero e proprio: il nulla di fatto con cui si concluse il primo dibattimento, l'impotenza della giuria incapace di trovare unanimità di giudizio su un omicidio di difficile attribuzione, a Hollywood per di più, la città della finzione e delle parole usate come scudi o come lance, diventano per Mamet, in un film ovviamente fatto di parole a raffica, sovrapposte e mescolate, il punto di non ritorno della giustizia democratica, la ricostruzione caotica e rassegnata di un evento che è spettacolo nel momento stesso in cui diventa cronaca, la tragica impotenza di un sistema così saggio da concedere la presunzione d'innocenza a ogni accusato e così vanitoso da ripiegarsi sulla propria messinscena, sulla copia di se stesso, schiavo di parole che non sono mai spontanee, mai sincere, ma sempre pensate per rintuzzare i possibili attacchi, per non farsi trovare con le spalle scoperte, per non abbandonarsi al terrore dell'inatteso.
Chissà se il vero Phil Spector ha mai detto la verità sul caso d'omicidio che l'ha visto coinvolto e poi dopo molti anni condannato: di sicuro, nel film, il falso Phil Spector la verità dei sentimenti la dice piano, sussurrando all'orecchio, scusandosi dopo una scenata, spezzando il velo di finzione che ammanta ogni caso, anche un processo per omicidio, che gli avvocati difensori ricostruiscono e inscenano per provare ogni possibile soluzione, per prepararsi a ogni possibile sorpresa del reale.
E' tutto finto, in Phil Spector, e al tempo stesso è tutto in smantellamento, come se Hollywood si togliesse il trucco da sé, salvo poi rimetterlo e toglierlo ancora una volta, fino all'infinito. In questo film Mamet applica alla realtà stessa, al mondo che mette in scena, quell'ambiguità meschina e spesso assassina che negli altri suoi film - quelli meglio riusciti, che di vaccate ne ha fatte pure lui - mascherava la verità, copriva gli omicidi, svelava i tradimenti. Qui però non c'è nemmeno il piacere della rivelazione, lo shock della sorpresa: la doppia natura della realtà è insita nelle cose, specchi, vetri, cancelli, mondi di cartapesta ingombrano la comprensione, ostacolono la verità, e l'omicidio impossibile da risolvere diventa l'ennesima tragedia di un sistema al collasso. Non c'è palingenesi, non c'è verità,  anche dopo una condanna a diaciannove anni. Ché nel mondo dove tutto è una prova generale, anche la verità ha sicuramente una copia di se stessa.

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