La pubblicità su giornali di carta negli USA era di 43,1 miliardi di dollari nel 2007; nel 2012, dopo cinque anni, era scesa a 19,4 miliardi di dollari e la stima per il 2012 è di 9,6 miliardi di dollari. In altri settori definire questa perdita una crisi sembrerebbe un eufemismo.
Di contro, la crescita della pubblicità su internet non trova ostacoli, anche se non è ancora in grado di colmare la differenza: nel 2007 circa 20 miliardi di dollari, nel 2012 circa 36.
In Italia il quadro non è molto diverso nell’andamento, nonostante il fenomeno sia più lento e meno ramificato nel settore mobile. Una mentalità diversa da parte degli attori e un timore verso l’innovazione che è congenito soprattutto nelle piccole e medie imprese portano a concentrare la pubblicità nella televisione, la quale conserva più del 50% della torta totale del mercato.
Il digitale chiuderà il 2013 con una crescita del 5,7% e con una quota di quasi il 20%. Di questo 20%, il 46,6% è pubblicità sui motori di ricerca e pubblicità rubricata, classificata e di servizi, il 45,6% display, banner e video advertising, il 4,2% performance e il 3,5% pubblicità su dispositivi mobili.
Nell’intero mercato pubblicitario, a parte il dominio della televisione, come si accennava, con una quota del 51,1%, la radio si attesta sul 5,9%, il cinema 0,4%, l’esterna 5,4%, la stampa 17,2%.
Se, da un lato, l’amore per la televisione degli italiani è ancora palese, dall’altro lato, osservando il mercato americano, si apre uno scenario ricco di opportunità che le aziende italiane dovrebbero considerare con la dovuta attenzione per il futuro.
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