A San Pio, che prima della beatificazione di Padre Pio si chiamava Enziteto, le mattine sono tutte uguali. Le stagioni si susseguono senza soluzione di continuità, nell’assoluto rivoltarsi della clessidra di un tempo vuoto e desolante. Il quartiere più brutto ed estremo di Bari è sempre nelle mani di due, tre capiclan che dal quartiere Libertà gestiscono i traffici di droga, assoldando a San Pio giovanissimi corrieri della coca. Qui i ragazzini per bene vivono chiusi tra casa e scuola e parrocchia, perché girare per strada – nel circo minimo che perimetra le “vele” di San Pio – significa entrare nel club dei coetanei malvagi, di quelli che prima o poi si fanno irretire da quelli del Libertà. Dall’alba al tramonto, il territorio è circondato dalle vedette dei clan: uomini che s’alzano presto al mattino, che s’affacciano sui viali che dividono i casermoni, che pascolano per il quartiere con una cicca sempre accesa e lo sguardo curioso e un po’ assonnato dei felini più sornioni.
– Ma dove la nascondono, la coca?
Alberto è un ragazzaccio del quartiere, uno che fa spesso la spola tra il Libertà e San Pio… uno che sa e che magari, qualche volta, alza un po’ di moneta facendo il corriere.
– Tra gli alberi.
La coca arriva a quelli del Libertà che la smistano in diversi punti della città grazie alla copertura dei clan più grossi, che si pigliano una percentuale con la quale a volte appianano i dissidi ed evitano le guerre tra piccole cosche di quartiere. Dal Libertà i corrieri partono in bus per San Pio, dove gli spazi, gli alberi, la desolazione consentono di spacciare come si faceva negli anni novanta a Japigia sotto Savinuccio.
– Ma non è pericoloso in pullman?
– Meglio così che con i motorini. La strada è una… e se la madama fa il posto di blocco, il pullman non lo fermano.
Effettivamente la strada che introduce a Enziteto e che ne consente l’uscita è sempre e soltanto una. Dopo un ponte che lo separa da Santo Spirito, questa strada penetra in un satellite di palazzine popolari e residenziali, passando davanti a un piccolo stadio di calcio con tanto di spalti e tribune, ma quasi sempre chiuso.
– E quelli del Cep?
Il Cep è il San Paolo, l’altra periferia terribile della città, dove qualche settimana fa hanno eseguito una condanna a morte contro il piccolo boss ventunenne dei Fiore di San Pasquale. Ma ne hanno stesi tre, e a colpi di mitraglietta perché il Fiore portava il giubbotto antiproiettile da qualche tempo.
– Che vuoi sapere… qua stiamo noi, là stanno loro.
Alberto scantona, ha paura. Si guarda intorno, perché si sente gli occhi addosso. Questi non sono mesi tranquilli a Bari. Tra arresti e sparatorie è scattata l’emergenza securitaria, ma i clan continuano a sbrogliare la matassa dei loro traffici con la legge del piombo e del denaro.
– Quanti vengono a comprare, qua?, gli domando.
– Mo non tanti. Prima erano di più. Quando non potevano al Libertà venivano qua. Qua è più sicuro, ma mo sta troppa madama in giro, non si fidano. E noi aspettiamo.
Alberto scalcia sull’asfalto polveroso. Sputa la cicca e se ne accende un’altra.
– Non capiamo nemmeno noi chi la spaccia, dice a un certo punto innervosito.
Lo guardo.
– Ci sono gli albanesi, i rumeni, i russi, i cinesi… sta cambiando tutto e io non capisco più niente, aggiunge.
Mi faccio l’idea di un sistema che si è transnazionalizzato, di una città che ormai è crocevia di traffici mondiali. Di recente la cronaca ci ha raccontato di Bari come uno dei centri nevralgici della nuova mafia georgiana – uno dei loro capi è stato ucciso in pieno centro il 6 gennaio dell’anno scorso – quindi non mi pare per niente strano che i pesci piccoli come Alberto non riescano più a capire cosa avvenga sopra di loro: dove si tessono le trame del crimine nel Sud Ovest del Mare Adriatico.
Allora lo lascio alle sue riflessioni di corriere, di ultima ruota di un carro che nessuno sa bene dove sta andando, se a schiantarsi contro il muro delle mafie internazionali o a infilarsi nel tunnel di un nuovo sistema criminale euro-mediterraneo.
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