Basta entrare in libreria o, ancor meglio, dare un’occhiata tra le pile di libri in vendita all’autogrill perché anche i meno esperti capiscano che le uscite letterarie non seguono criteri casuali o legati al genio artistico degli autori, ma anche precise mode. Vale per la letteratura per gli adulti come per quella per ragazzi, e non c’è nulla di cui stupirsi.
Anche i non addetti ai lavori sanno bene qual è la tematica che ha dominato la teen literature negli ultimi anni: i vampiri. Ce ne siamo in parte già occupati, pensando a come la scuola potrebbe servirsi di questi testi per avvicinare di più gli studenti e le studentesse alla letteratura, e per poter lavorare sui concetti più importanti dell’analisi letteraria in modo alternativo (giusto per usare un brutto termine di cui spesso si abusa). Ora la moda sta passando, se ne preparano altre; ci vuole, quindi, del coraggio o dell’incoscienza per inserirsi in questo filone.
Barbara Baraldi non mi è parsa incosciente, anzi. Pubblicando Striges (Mondadori, 2013), ha compiuto una scelta ben precisa, che possiamo riassumere su due versanti. Innanzitutto, ha deciso di non mettersi in competizione con il filone di appartenenza, ma semplicemente di raccontare la storia che sentiva di dover raccontare. Tale bisogno si evince pagina dopo pagina, mentre la storia scorre a ritmo sempre più impetuoso e i personaggi entrano ed escono dal nostro viaggio mentale in tutta la loro definita corporeità. Si avvertono l’urgenza della scrittura e l’architettura di un racconto che non è stato improvvisato per fini commerciali, ma nasce dalla volontà di dire qualcosa di nuovo, a prescindere dal fatto che qualcuno si sia già occupato di tematiche simili, spesso per mera utopia di successo economico. Ogni paragone con Twilight & C., per questo, sarebbe superfluo e non voluto dall’autrice; sennonché proprio Striges ci obbliga a confrontarlo con i fichissimi vampiri che l’hanno preceduto: perché è scritto bene, questo è il punto. Barbara Baraldi ha dimostrato con questo libro, a mio avviso più che con Scarlett, che pure è un testo riuscito, che quando si tratta di ragazzi non esiste la letteratura di serie B. Il ritmo, la proprietà lessicale, la costruzione per quadri della storia, la rotondità dei personaggi: tutti gli elementi contribuiscono a offrire ai lettori e alle lettrici un prodotto di qualità, che un insegnante può consigliare a cuore aperto, sicuro di offrire anche un modello di scrittura.
La Baraldi non considera il suo pubblico sciocco, non lo imbonisce con qualche sguardo intenso o con riferimenti vaghi alla mitologia, alle saghe leggendarie o al sovrannaturale: il mondo della stregoneria è affrontato in modo deciso ma delicato, con la competenza di chi ha ben studiato prima di mettersi al tavolo della scrittura ed ha in mente, per sua stessa ammissione, riferimenti di tutt’altra portata, come Dracula o Frankestein.
Mi sembra questa, finora, la novità più significativa del nuovo romanzo di un’autrice che, si sa, mi aveva già convinto, proprio per la volontà evidente di stare a fianco dei ragazzi, di accompagnarli nella loro crescita con testi adatti alla loro età ma non per questo banali o semplificati. Non voglio, naturalmente, insinuare che dietro Striges si nasconda un alto progetto didattico; non sarebbe il senso del libro. La storia procede anche attraverso sapienti colpi di scena per tenere il lettore e la lettrice incollati al testo; il tema dell’amore, che fa da fil rouge nella scrittura della Baraldi, si fa anche qui molto presente e coinvolgente, per la sua natura totalizzante e appassionata. Tuttavia i sentimenti della protagonista non sono appiattiti in un uniforme abbandono allo charme maschile: Zoe non è Bella Swan, vive di esistenza propria anche senza il suo Sebastian, che pure è un elemento cardine della sua vita (non si può dire di più per non rovinare le sorprese della trama). Torna anche il mondo della scuola, volutamente caricato su toni che alludono all’istruzione americana più che a un preciso modello descrittivo del sistema italiano; quasi a fare da contraltare, l’ambientazione nella città di Milano è precisa, i luoghi sono citati con una certa meticolosità e anche con una nota di spregiudicatezza (si veda l’episodio ambientato nel Duomo, eterno simbolo della città). Il libro nel complesso sembra una grande piattaforma su già si preannuncia, almeno lo spero, un seguito, o forse addirittura l’inizio di una saga: la storia ha, evidentemente, un inizio e una fine, ma i personaggi e le loro vicende sono tanti e diversificati, e chiedono uno sviluppo ulteriore.
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