La questione dei Fondi Strutturali Europei

Creato il 19 giugno 2015 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

I Fondi Strutturali Europei costituiscono uno strumento concreto per la realizzazione di quello sviluppo generale e di quella coesione tra i territori degli Stati membri necessari per poter realizzare il progetto di un’Europa più giusta e coesa, di un’Europa ad una sola velocità. Progetto che a dire il vero non ha visto la sua piena realizzazione, e i cui limiti e deficienze sono stati messi sotto i riflettori dalla crisi economico-finanziaria degli ultimi anni.
La politica di coesione nasce con il Trattato di Roma del 1957 quando viene fondata la Comunità Economica Europea. L’anno successivo prese l’avvio l’istituzione del Fondo Sociale Europeo (FSE) e del Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (FEOAG). Nel 1975 nasce invece il Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale, ma è con la nascita dell’Atto Unico europeo (1986) che si comincia a programmare una vera e propria politica di Coesione territoriale. Politica di Coesione che, prende forma quando viene inserita tra gli obiettivi cruciali del processo di sviluppo europeo nel 1993 con il Trattato di Maastricht, mentre nel 1998 prendono il nome di “Fondi Strutturali” con l’intento proprio di sottolineare la missione che questi fondi hanno, e cioè quella di colmare quelle differenze strutturali (che in alcuni casi sono molto evidenti) tra i vari Paesi che formano l’Unione Europea.

Tramite la politica di coesione l’Europa investirà, nel settennato 2014-2020 ben 325 miliardi di euro nei Paesi Membri, di cui 200 miliardi serviranno a cofinanziare vari progetti, facendo lievitare gli investimenti totali a più di 500 Miliardi di euro, una cifra enorme, che se investita bene e per intero potrebbe dare una svolta al vecchio continente uscito mal concio dalla crisi economico-finanziaria del 2007-2008, i cui segni sono ancora evidenti in molti Stati dell’Unione.
Come è noto, questi Fondi hanno avuto nel tempo tutta una serie di correzioni e modifiche, nuove impostazioni necessarie per migliorare la loro sfera di intervento, via via che veniva preparata la programmazione successiva, tenendo conto delle necessità e dei limiti che erano emersi durante l’applicazione della programmazione che si stava per concludere. Tra questi limiti, si è riscontrato negli anni passati che l’Italia ha restituito delle somme importanti (soldi destinati alle nostre Regioni) a causa di una mancata progettualità, che rappresenta purtroppo uno dei punti di debolezza del Bel Paese su questo importantissimo fronte.

L’ultima programmazione Europa 2007-2013, constava di tre obiettivi prioritari: Convergenza, Competitività e Cooperazione, con il nuovo ciclo di programmazione 2014-2020 i primi due obiettivi sono stati fusi in un unico intervento: “Investimenti nella crescita e nell’occupazione”. Questa linea, oltre a prevedere investimenti in tutte le Regioni dell’Unione, prevede un livello di cofinanziamento direttamente legato alla ricchezza delle Regioni stesse, criterio quest’ultimo ritenuto fondamentale (viste le deficienze precedenti) per poter meglio impiegare le risorse destinate a tali obiettivi. Le Regioni vengono classificate in tre grandi gruppi: “Regioni meno sviluppate”, comprendenti le regioni il cui PIL pro capite è inferiore al 75% della media del PIL dell’UE-27; “Regioni in transizione”, comprendenti le regioni il cui PIL pro capite è compreso tra il 75% e il 90% della media del PIL dell’UE-27; “Regioni più sviluppate”, comprendenti le regioni il cui PIL pro capite è superiore al 90% della media del PIL dell’UE-27. Il tasso di cofinanziamento comunitario dei programmi sarà proporzionale, e cioè per le Regioni meno sviluppate non potrà superare l’85%, per le regioni in transizione non potrà essere superiore all’80% e non potrà superare il 50% per le regioni sviluppate.

Per incentivare una miglior spesa da parte degli Stati membri, il Consiglio ha posto delle condizioni più stringenti per l’erogazione dei Fondi. Queste condizioni, che possono essere direttamente connesse agli obiettivi tematici della politica, ovvero trasversali, servono a garantire le condizioni per un sostegno efficace ed efficiente alla politica stessa. Troppo spesso, con la vecchia programmazione, gli investimenti effettuati non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati a causa di errate politiche nazionali. Più stringenti saranno inoltre le verifiche in itinere dei programmi approvati, è previsto infatti, l’accantonamento di un importo pari al 5% della dotazione nazionale di ciascun fondo che (a seguito di verifiche in itinere) verrà assegnato ai programmi che hanno raggiunto gli obiettivi intermedi prefissati a monte. Viceversa, il mancato raggiungimento degli obiettivi intermedi porterà alla sospensione del finanziamento o nei casi più gravi, alla cancellazione totale.

Nel nostro paese sono cinque le Regioni che rientrano nella categoria delle “Regioni non sviluppate” e cioè: Calabria, Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia. Abruzzo, Molise e Sardegna vengono ricomprese invece fra le “Regioni in transizione”. Nella nuova programmazione 2014-2020 uno dei punti di rilievo (negativi) che è stato posto dall’Unione Europea e che ha determinato la necessità di nuove impostazioni nella gestione dei fondi, in particolare per il nostro Paese, nuova gestione che possiamo definire “rivoluzionaria” rispetto al passato, riguarda i Piani di Rafforzamento Amministrativo (PRA). Nella sostanza l’Italia deve adeguare, potenziare e innovare quella che Bruxelles definisce la ”capacità amministrativa” della nostra burocrazia, nella sostanza deve rafforzare e riorganizzare quegli uffici della P.A., in particolare quelli che si occupano di Fondi Europei, aumentando il loro livello di digitalizzazione, i loro sistemi di controllo degli obiettivi, la loro qualità ed efficacia. Secondo l’UE è l’unico modo per poter rendere concreti gli interventi da realizzare attraverso i Fondi Strutturali della prossima programmazione (2014-2020), i quali come sopra riportato ammontano a circa 32 miliardi di euro.
Nella sostanza Bruxelles chiede all’Italia di ristrutturare la capacità di ricezione burocratico-amministrativa dei Fondi europei, in termini sia di risorse umane che di professionalità, di velocizzare i tempi, di migliorare gli obiettivi strategici, accentuare la responsabilità nella gestione, insomma di superare una criticità storica e ormai assodata da tanto tempo per il nostro paese, tutto ciò nella speranza di poter applicare al meglio e realizzare concretamente gli obiettivi di fondo di questa importante politica comunitaria per i territori di appartenenza. I merito alla programmazione 2014-2020 l’ex Presidente della Commissione Barroso in occasione della nuova strategia comunitaria dichiarava: “Europa 2020 illustra le misure che dobbiamo adottare ora e in futuro per rilanciare l’economia dell’Ue. Per superare con successo la crisi abbiamo bisogno di uno stretto coordinamento delle politiche economiche, altrimenti potremmo andare incontro a un decennio perso caratterizzato da un relativo declino, da una crescita definitivamente compromessa e da livelli di disoccupazione elevati”.

La nuova strategia è la risposta dell’Europa alla crisi economica attuale e si propone di dare all’Unione gli strumenti per passare a una nuova e sostenibile economia sociale di mercato. Affronta le sfide del momento collegandole a quelle a lungo termine attraverso il concetto di sviluppo sostenibile. “Europa 2020 è quello che dobbiamo fare oggi per domani, per avviare sulla strada giusta l’economia dell’Unione europea. La crisi ha messo in luce le questioni fondamentali e le tendenze insostenibili che non possiamo più ignorare. L’Europa ha un deficit di crescita che sta mettendo il nostro futuro a rischio. Dobbiamo affrontare con decisione le nostre debolezze e sfruttare i nostri molti punti di forza”, continua Barroso. “Per conseguire un futuro sostenibile dobbiamo sin d’ora guardare oltre il breve termine. L’Europa deve ritrovare la strada giusta e non deve più perderla. È questo l’obiettivo della strategia Europa 2020: più posti di lavoro e una vita migliore. Essa dimostra che l’Europa è capace di promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, trovare il modo di creare nuovi posti di lavoro e offrire un orientamento alle nostre società”.
Europa 2020 individua tre priorità: 1) crescita intelligente, sviluppando un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione; 2) crescita sostenibile, promuovendo un’economia a basse emissioni di carbonio, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva; 3) crescita inclusiva, promuovendo un’economia con un alto tasso di occupazione, che favorisca la coesione sociale e territoriale.

Un altro rilievo mosso all’Italia dall’Unione Europa è il ritardo infrastrutturale del Paese, inteso nell’accezione più ampia, quindi infrastrutture materiali e immateriali che quindi ricomprendono anche il ritardo nel settore dell’innovazione tecnologica e nell’economia della conoscenza più in generale. La piena disponibilità della banda larga e dei servizi on-line, porta delle immediate ricadute in termini di competitività, innovazione e sviluppo della società della conoscenza, con conseguenti incrementi in termini sia di produttività che di competitività delle imprese, oltre che di efficienza della pubblica amministrazione. Il divario in termini di sviluppo di servizi, contenuti e infrastrutture digitali tra l’Italia ed il resto dei paesi dell’Unione Europea è ancora molto elevato, determinando così quel gap di produttività esistente soprattutto con gli altri competitor dell’area euro, primo fra tutti la Germania, che ha saputo investire in innovazione tecnologica, infrastrutture che unite ad una buona politica economico-industriale hanno determinato il successo del paese in termini di competitività e competenza. Ritardi che ritroviamo quasi ovunque, infatti, nella seconda edizione dell’Indice di Competitività Regionale (ICR) 2013, (concepito proprio per misurare le variazioni di competitività delle regioni dell’Unione Europea), tra le prime 100 ad esempio, non ritroviamo nessuna regione italiana. Per trovare la prima italiana bisogna scorrere la graduatoria fino alla 128a posizione dove ritroviamo la Lombardia, la Calabria invece la troviamo nella 233a posizione su un totale di 262 regioni d’Europa, mentre la Sicilia chiude la lista delle italiane nella posizione 235. Dati che fanno riflettere molto sulla nostra competitività a livello comunitario (e non solo).

Da qui la non procrastinabile necessità di colmare questi gap, attraverso uno sviluppo necessario nel senso più ampio del termine, economico, sociale, culturale, digitale. Si quest’ultimo aspetto altamente innovativo può essere individuato come l’elemento chiave per la modernizzazione dei processi produttivi, evitando la dispersione delle risorse su mille rivoli come purtroppo si è spesso fatto in passato, in modo non solo di superare il sopracitato gap esistente con le economie più avanzate, ma creare anche quelle economie di scala, proprie dei processi digitali, positive per i territori ed ormai divenute elemento necessario (non l’unico ovviamente) per poter affrontare al meglio le sfide e le opportunità che il processo di globalizzazione pone, in una competizione globale che vede molto spesso i paesi di “vecchia” industrializzazione superati dagli emergenti e questi a loro volta da “nuovi” emergenti o “esordienti” dell’economia globale in una gara senza fine e senza confine, che vede estromessi tutti coloro che non sanno intercettare ed utilizzare la modernità intesa nella sua piena e positiva accezione come strumento di innovazione.


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