di Davide Piacenza
In Egitto si vivono ore convulse: l’attacco subito dalle milizie del paese nella zona del Sinai - al confine tra Gaza ed Israele – del 5 agosto ha riportato alle cronache il difficile rapporto del Cairo con i jihadisti, che si ritengono essere gli autori della strage. All’aggressione, costata la vita a sedici militari egiziani, il neo-presidente Morsi ha risposto con un raid aereo che mercoledi scorso ha ucciso circa 30 miliziani. Poi, nelle ultime ore, ha approfittato dell’accaduto per sostituire i vertici della Difesa e annullare gli emendamenti alla Costituzione promulgati dalla SCAF.
Tuttavia, per quanto le dinamiche di scontri interni fra Morsi e l’esercito degli ex-fedeli di Mubarak siano innegabilmente importanti, la questione del territorio del Sinai è un fattore di primario interesse nella geopolitica della regione mediorientale. Come si spiega in un bell’articolo dell’Economist titolato “The need for triangular co-operation” (“La necessità di una cooperazione triangolare”), infatti, nei 18 mesi trascorsi dalla rivoluzione egiziana, i militanti islamici stanziati su questo territorio non hanno diminuito i loro proclami radicali e bellicosi.
La posizione del partito Hamas, in questo senso, è ambigua: da una parte esprime solidarietà alle vittime egiziane dell’attentato, ma dall’altra alcune fonti sostengono che l’attacco sia stato co-pianificato da alcuni elementi della striscia di Gaza. Da un lato, inoltre, dichiara di star lavorando per sopprimere i gruppi jihadisti più radicali – quelli più vicini ai salafiti, per intenderci – e dall’altro permette che noti esponenti di queste sette rimangano a piede libero, osserva l’Economist.
Ecco, quindi, la soluzione proposta: più cooperazione tra i tre Stati. Gli accordi dovrebbero essere innanzitutto economici:
Negli ultimi cinque anni, il blocco israelo-egiziano di Gaza che ha favorito il contrabbando attraverso i tunnel ha enormemente vantaggiato gli abitanti del Sinai che vivono fuorilegge. L’apertura delle frontiere al traffico e al commercio legale dovrebbe ridurre la potenza di jihadisti e contrabbandieri nel Sinai e a Gaza, e quindi rafforzare i governi del Cairo e Gerusalemme.
Certo è, tuttavia, che anche Hamas e Israele dovrebbero collaborare attivamente per la salvaguardia della sicurezza nella zona. Israele ed Egitto, invece, stanno facendo passi in avanti:
Dopo l’attacco del 5 agosto, i leader israeliani sono stati attenti a dare la colpa ai jihadisti globali piuttosto che agli abitanti di Gaza e ad Hamas. Anche se l’Egitto non ha ancora completamente aperto il valico di Rafah, Israele ha già riaperto il suo uno vicino a Kerem Shalom, per ora solo per i commercio. Con l’influenza dei gruppi islamici destinata a crescere in caso di caduta di Bashar Assad in Siria, Israele potrebbe decidere di accogliere le richieste di Hamas, per evitare un tipo di islamismo ancora più fiero.