La questione del Sinai

Creato il 13 agosto 2012 da Dave @Davide

di Davide Piacenza

In Egitto si vivono ore convulse: l’attacco subito dalle milizie del paese nella zona del Sinai - al confine tra Gaza ed Israele – del 5 agosto ha riportato alle cronache il difficile rapporto del Cairo con i jihadisti, che si ritengono essere gli autori della strage. All’aggressione, costata la vita a sedici militari egiziani, il neo-presidente Morsi ha risposto con un raid aereo che mercoledi scorso ha ucciso circa 30 miliziani. Poi, nelle ultime ore, ha approfittato dell’accaduto per sostituire i vertici della Difesa e annullare gli emendamenti alla Costituzione promulgati dalla SCAF.

Tuttavia, per quanto le dinamiche di scontri interni fra Morsi e l’esercito degli ex-fedeli di Mubarak siano innegabilmente importanti, la questione del territorio del Sinai è un fattore di primario interesse nella geopolitica della regione mediorientale. Come si spiega in un bell’articolo dell’Economist titolato “The need for triangular co-operation” (“La necessità di una cooperazione triangolare”), infatti, nei 18 mesi trascorsi dalla rivoluzione egiziana, i militanti islamici stanziati su questo territorio non hanno diminuito i loro proclami radicali e bellicosi.

Da quando, nel 1979 – in seguito agli accordi di pace con Israele – è tornata ad essere egiziana, diversi generali e militari si sono succeduti nel tentativo di controllare la zona al confine con Gaza. Le offensive e le politiche di sicurezza, però, sono state in grado di colpire più le popolazioni beduine stanziate nel Sinai che i presunti terroristi. La questione è che proprio gli accordi del ’79 impediscono formalmente di porre troppi uomini nella regione desertica di confine, tempestata di tunnel e cunicoli scavati dai palestinesi con l’invasione israeliana di Gaza, quella seguita all’insediamento al potere di Hamas (2007).

La posizione del partito Hamas, in questo senso, è ambigua: da una parte esprime solidarietà alle vittime egiziane dell’attentato, ma dall’altra alcune fonti sostengono che l’attacco sia stato co-pianificato da alcuni elementi della striscia di Gaza. Da un lato, inoltre, dichiara di star lavorando per sopprimere i gruppi jihadisti più radicali – quelli più vicini ai salafiti, per intenderci – e dall’altro permette che noti esponenti di queste sette rimangano a piede libero, osserva l’Economist.

Ecco, quindi, la soluzione proposta: più cooperazione tra i tre Stati. Gli accordi dovrebbero essere innanzitutto economici:

Negli ultimi cinque anni, il blocco israelo-egiziano di Gaza che ha favorito il contrabbando attraverso i tunnel ha enormemente vantaggiato gli abitanti del Sinai che vivono fuorilegge. L’apertura delle frontiere al traffico e al commercio legale dovrebbe ridurre la potenza di jihadisti e contrabbandieri nel Sinai e a Gaza, e quindi rafforzare i governi del Cairo e Gerusalemme.

Certo è, tuttavia, che anche Hamas e Israele dovrebbero collaborare attivamente per la salvaguardia della sicurezza nella zona. Israele ed Egitto, invece, stanno facendo passi in avanti:

Dopo l’attacco del 5 agosto, i leader israeliani sono stati attenti a dare la colpa ai jihadisti globali piuttosto che agli abitanti di Gaza e ad Hamas. Anche se l’Egitto non ha ancora completamente aperto il valico di Rafah, Israele ha già riaperto il suo uno vicino a Kerem Shalom, per ora solo per i commercio. Con l’influenza dei gruppi islamici destinata a crescere in caso di caduta di Bashar Assad in Siria, Israele potrebbe decidere di accogliere le richieste di Hamas, per evitare un tipo di islamismo ancora più fiero.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :