Siamo primi nei consumi e nelle importazioni, ma in fondo alla classifica nella produzione
L’I.E.A. (International Energy Agency) ogni anno pubblica le “Key World Energy Statistics”. Per il 2007 i dati raccolti non sono, come si suol dire, rassicuranti. Il petrolio resta la fonte di energia maggiormente sfruttata con ancora il 42,4% del totale dei consumi mondiali nel 2005 rispetto al 48,2% del 1975. In 30 anni il 6,2% in meno non è un risultato di cui vantarsi pensando che ci vorranno quasi altri 240 anni per affrancarci dall’olio nero. Se il dato sul petrolio non è dei migliori che cosa dire allora al riguardo di quello del carbone? Nel 1973 l’umanità consumava il 13,1% di carbone per soddisfare i suoi bisogni nel 2005 ne ha consumati l’8,3%, vale a dire il 4,8% in meno: il che significa che – invece – per renderci autonomi dal carbone avremo bisogno di ben 80 anni. Il dato è a dir poco sconcertante: mentre si parla di “decarbonizzazione” e di “Era dell’idrogeno” da più di dieci anni le nostre caldaie condominiali bruciano ancora carbone. Quasimodo direbbe: “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo...”.
Il consumo di gas naturale è aumentato dal 14,3% del 1973 al 15,6% del 2005 aumentando sensibilmente nonostante i processi di liberalizzazione dell’ex mercato sovietico e della costruzione delle autostrade del gas: gasdotti che percorrono in lungo e in largo le sconfinate regioni dell’Impero degli Zar oltre che di rigassifigatori nei porti di tutto il mondo. Questo perché, pur se il gas conviene di più e inquina di meno, nessuno vuol dipendere da un mercato così instabile a causa dei ricatti di Putin di chiudere le valvole dei gasdotti russi. Il 12,9%, cioè lo 0,6% in meno rispetto al 1973 è rappresentato da combustili rinnovabili e rifiuti: in altre parole dalla differenziazione e dal riciclo di tutti i tipi di rifiuti di cui si possono utilizzare ancora dei residuati: ad esempio il compost o i gas del cracking derivanti dalla pirolisi nei termovalorizzatori di ultima generazione oppure l’energia prodotta dalle centrali a biomassa. Il dato non è confortante, perchè dopo 32 anni ci saremmo aspettati che questa percentuale crescesse. Il consumo di elettricità è cresciuto di quasi il doppio: siamo passati dal 9,3% del 1973 al 16,3% del 2005.
La produzione di idroelettrico è cresciuta di solo lo 0,4%, si è passati dall’1,8% al 2,2% un dato estremamente deludente tenendo conto che l’acqua ricopre il 70% della superficie terrestre ed entra a pieno titolo tra quelle fonti energetiche, che oggi vengono definite “rinnovabili”. Il nucleare – infine – risulta cresciuto del 5,4%: dallo 0.9% del 1973 al 6,3% del 2005. Tale incremento la dice lunga sulla necessità di approntare diversamente al problema dell’energia nucleare. Se si guarda il dato relativo ai Paesi dell’OECD si noterà che la produzione di energia nucleare è aumentata di circa 9 punti percentuali: incremento dovuto ai massicci investimenti di nazioni come la Francia. Lungi dall’essere in crisi – difatti – l’industria nucleare è in gran rispolvero e tutte le grandi potenze mondiali stanno progettando nuove centrali nucleari sul proprio territorio nazionale. In totale mentre nel 1973 consumavamo 4.700 milioni di tonnellate di olio equivalente oggi ne consumiamo 7.912 milioni, quasi il doppio! La domanda di energia è cresciuta del doppio in trentadue anni, ciò significa che dobbiamo diversificare quanto più possibile l’offerta del nostro parco energetico attraverso lo sviluppo di tecnologie adeguate, che abbiamo già a disposizione, che rendano possibile sfruttare nella maniera più adeguata fonti di energia ancora poco esplorate e vettori come l’idrogeno.
Infatti se prendiamo in considerazione il dato relativo al geotermico, al solare e all’eolico è davvero sconfortante: nel 1973 rappresentava l’1,6% del consumo mondiale di energia ed oggi rappresenta il 3,5%: stiamo parlando di cifre davvero irrisorie. Venendo alle “cose di casa nostra” l’Italia risulta essere il settimo importatore di greggio al mondo con 95 milioni di tonnellate nel 2005; sopra di noi colossi, interi continenti come gli Usa, il Giappone, la Cina, l’India, la Germania: il che fa riflettere...; sotto di noi la Francia, l’Olanda, la Spagna che dal dopoguerra ad oggi hanno fatto scelte energetiche differenti dalle nostre: nucleare, eolico, solare. Il che fa riflettere ancora di più... Risultiamo essere anche i quarti importatori di gas naturale con 77.399 milioni di metri cubi, sopra di noi solo Usa, Germania e Giappone; sotto di noi le solite Francia, Spagna, Olanda con consumi più che dimezzati rispetto ai nostri. L’Italia risulta presente anche nella graduatoria dei Paesi che consumano più carbone: 25 milioni di tonnellate. Inoltre l’Italia è una delle nazioni al mondo che maggiormente utilizza ancora in grandi quantità combustibili fossili (petrolio e gas) per produrre energia elettrica.
Le nostre percentuali sono inferiori solo a Paesi come Usa, Giappone, Russia, Cina per il restante siamo primi: sì primi, ma nei consumi! Siamo la seconda nazione al mondo che importa energia elettrica, subito dopo la Germania e prima degli Usa. Nel complesso produciamo 27,63 Mtoe e ne importiamo 159,33 e le previsioni dell’Iea ci dicono che nel 2030 importeremo 185,19 Mtoe. Una situazione disastrosa: siamo al trentaseiesimo posto nella classifica dei Produttori di energia, sotto la Romania e sopra le Filippine. Siamo – invece – al quarto posto come Paese importatore di combustibili ed energia dietro Usa, Giappone e Korea. E’ chiaro che l’Italia stia vivendo il dramma della dipendenza energetica: mentre i competitors si attrezzavano per affrontare le sfide future del mercato energetico, dove il greggio ha superato quota 122 dollari al barile, l’Italia chiudeva nel 1987 con il nucleare e non sviluppava alcun piano di approviggionamento energetico alternativo. Oggi a distanza di 22 anni dal referendum sul nucleare da un sondaggio dell’istituto indipendente Ferrari Nasi & Grisantelli Srl di Milano, su un campione rappresentativo la popolazione adulta italiana di 600 casi del 31 marzo 2008, risulta che il 50,4% del campione ritenga sia stata una scelta sbagliata abbandonare nel 1987 l’energia nucleare civile.
Il 55,8% ritiene opportuno ritornare a produrre energia nucleare per uso civile. Il 24,7% crede che il ritorno al nucleare serva a renderci più indipendenti dai paesi stranieri, il 19,2% pensa che in ogni caso il petrolio sia troppo caro e questa sia la più valida alternativa. E il 18,7% che serve anche a creare lavoro in Italia invece che darlo all’estero. Quindi sembrerebbe che gli italiani paventino un ritorno al nucleare, anche sulla scia delle campagne propagandistiche di certa stampa di parte. Il progetto Iter - “International Thermonuclear Experimental Reactor” è il piano di costruzione di una prima centrale nucleare a fusione. Sarà costruito in Francia, a Cadarache. Iter è un progetto cui partecipano Ue, Cina, Usa, Giappone, Corea del Sud e Russia. Le centrali a fusione saranno, oltre che più sicure, enormemente meno insostenibili delle attuali centrali a fissione. I tempi per l’eliminazione delle scorie radioattive si abbasseranno vertiginosamente. Ne consegue che probabilmente il quantitativo di residui radioattivi sarebbe maggiore, ma smaltibile in tempi minori. Il Governo Berlusconi, quando parla di nucleare, e' ancora fermo a progetti di centrali di terza generazione, che possono essere un'ottima speculazione per le corporations del nucleare, ma non per l'Italia e gli italiani. L'unica azione degna di nota ed efficace in questo caso dovrebbe partire dal Parlamento italiano, dove bisognerebbe decidersi a votare un disegno di legge sul rifinanziamento della ricerca nucleare, totalmente aborrita dal referendum del 1987; diversamente come potremo essere partecipi e fruitori delle nuove tecnologie e delle nuove scoperte in tale campo? Si risolverebbe anche un conflitto di interesse non indifferente: l'Italia e' fuori dal nucleare dal 1987, ma continua ad esistere un ente, quale l'E.N.E.A., che gestisce il nucleare civile delle centrali dismesse e continua a fare, in un certo senso, ricerca con i soldi pubblici; per non parlare delle attivita' di stoccaggio e riprocessamento che avvengono quotidianamente in alcuni centri come la TRISAIA-ITREC di Rotondella (MT) oppure la partecipazione italiana ai lavori del C.E.R.N. di Ginevra che nel 2009 registra un contributo da parte dell'Italia di 83,4 milioni di Euro, pari al 11,51 del finanziamento totale dei Paesi sostenitori del C.E.R.N., al quarto posto dopo Germania, Francia e Regno Unito.
Se si vuole realmente intervenire nel risanamento ambientale e soddisfare il fabbisogno energetico, occorre accellerare in modo consapevole il processo già in atto di decarbonizzazione dei combustili usati nella produzione di energia. Infatti la fase presente del ciclo storico di sostituzione dei combustibili fossili riguarda il progressivo passaggio dal petrolio al metano. Ma per l’Italia passare dal petrolio al metano ha un beneficio in termini di tutela dell’ambiente, ma non in termini di autonomia energetica. Per questo l'investimento nella ricerca e nella realizzazione di infrastrutture di fonti rinnovabili, la cosiddetta realizzazione di un'economia all’idrogeno, le nuove frontiere della ricerca nucleare sulla fusione a freddo e il massiccio investimento in tecnologie produttrici di energia rinnovabile, in special modo il sole, devono essere il fine a cui devono puntare le politiche di sviluppo sostenibile in campo energetico. Nel frattempo è indispensabile che la ricerca nucleare in Italia riprenda il suo corso studiando le nuove centrali nucleari di quarta generazione e quelle che vengono chiamate di quinta (solo pensate fino ad ora) e, soprattutto, cercando di trovare nuove ed innovative soluzioni per il problema della produzione e dello stoccaggio delle scorie. E' necessario, dunque, fare luce sul dibattito speculativo intorno al nucleare affermando un secco “NO” alla progettazione e costruzione di centrali di terza generazione, che presuppongono tecnologie obsolete, costi altissimi e gravi complicazioni per lo smaltimento delle scorie. In questa prospettiva la costruzione di centrali nucleari in Italia e lungi da venire nei prossimi 30 anni, percio' che non si alimentino illusioni a tal proposito: il nucleare civile non e' una fonte energetica che potra' contribuire all'imminente fabbisogno energetico della Nazione. Il Piano Energetico Nazionale, inoltre, parla chiaro: bisogna puntare su grossi investimenti per il fotovoltaico come ha fatto la Regione Puglia nella provincia di Foggia: le “centrali del sole” rappresentano una grande possibilità per le regioni meridionali di rendersi indipendenti dal punto di vista energetico. Rispetto alla percentuale di eolico prevista nel P.E.N. – infatti – superata già abbondantemente, gli investimenti sul fotovoltaico risultano essere stati largamente minori. È indispensabile – perciò – essere presenti come protagonisti in progetti come Iter o nei progetti del C.E.R.N., nella realizzazione di mezzi di trasporto e alla realizzazione di infrastrutture per lo sfruttamento della combustione a idrogeno, nell'evoluzione della ricerca e nella pianificazione di opere che vadano ad utilizzare quelle fonti di energia quasi a “impatto zero” come l'energia solare, l'eolico, il geotermico, l'idroelettrico agevolando un sistema misto. Altrimenti sono previsti tempi davvero duri per i posteri fatti di rincari, rincari e rincari...