In un piccolo paesino delle Ardenne dove la vita scorre sempre uguale a se stessa cominciano ad accadere strani fatti : si interrompe lo socrrere delle stagioni e sembra che l'inverno non voglia andarsene più via. La terra diviene arida , la routine quotidiana scardinata, un falò non vuole accendersi , nè un gallo vuol iniziare a cantare. Due ragazzi si amano di quell'amore che sfuma i suoi contorni nel sogno ma ci pensano gli adulti a farli scivolare nella bruttura della realtà. Per ingraziarsi gli dei ( quali poi...) decidono di affidarsi a un terribile rito pagano con tanto di sacrificio umano e guardacaso i prescelti per il sacrificio sono gli ultimi che sono arrivati al villaggio: un padre in cerca di fissa dimora e che ora sembrava averla trovata e suo figlio disabile, ridotto su una carrozzina.
Ma agli altri del villaggio non sembra importare nulla: la fame li sta attanagliando....
Difficile parlare di un film come La quinta stagione : impossibile o quasi catalogarlo. Post apocalittico? Fantascienza distopica? o semplicemente un dramma allegorico in cui i simbolismi dominano la scena?
O forse tutte queste cose insieme?
Da un certo punto di vista il film dei documentaristi Brosens e Woodworth ricorda quei film di fantascienza politica italiana anni 60 e 70 ambientati in epoche altre,passate o future ma che si ostinavano a parlare della stuazione politica del tempo in modo anche abbastanza aperto: vengono alla mente Il seme dell'uomo di Ferreri, Sotto il segno dello scorpione dei fratelli Taviani ma soprattutto un'opera anomala quanto affascinante come L'invenzione di Morel di Emidio Greco.
D'altra parte l'apocalisse che si avvicina a grandi passi nel grigiore che tutto ingoia non può far pensare al cinema di Bela Tarr,segnatamente The Turin Horse, mentre i riti pagani di cui sembra nutrirsi la popolazione del piccolo paese sembrano riferirsi alle quasi analoghe pratiche ancestrali viste in film come The Wicker man a cui sembrano rimandare anche quelle gigantesche statue di plastica, come spettrali carrozzoni carnevaleschi .
Lungi da me voler dare coordinate stilistiche a cui avvicinare questo film: La quinta stagione è qualcosa che veramente di nuovo, originale, di mai visto.
Che Brosens e Woodworth vengano dal mondo del documentario è piuttosto evidente visto l'utilizzo degli attori, tutti volti giusti al posto giusto, utilizzati in modo molto pasoliniano per non parlare della cura nella costruzione dell'inquadratura e la fotografia magnifica ad opera di Hans Bruch jr.
La quinta stagione è un film che somiglia solo a se stesso talmente carico di simboli e metafore sulla grettezza dell'animo umano che se ne esce turbati proprio perchè non si è stupiti che qualcosa del genere possa accadere in una società in crisi socioeconomica come la nostra che per far progredire la massa non esiterebbe a sacrificare i più deboli e i diversi in genere.
Peter Brosens e Jessica Woodworth non si limitano però al semplice interesse antropologico, non mettono la loro lente da entomologo puntata su questo piccolo avamposto di umanità.
Il loro è un discorso che assume connotati universali come l'apocalisse che incombe e che si appalesa con un inverno che non vuole andare più via, quasi fossero prove generali di una nuova glaciazione.
L'uomo è figlio della natura che lo circonda ed è destinato a morire se lei muore.
Ma sembra non accorgersene.
Ecco perchè il mancato fluire delle stagioni inquieta e disturba, come quel gallo che si ostina a non cantare ( e fa una brutta fine) oppure quello struzzo che guarda fisso nella telecamera.
Un nuovo inizio? O la certitficazione della fine?
Parafrasando Amleto si può dire che c'è del marcio in Belgio.
Ma da tutto questo vien fuori dell'ottimo cinema....
( VOTO : 8,5 / 10 )