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Ci sono sempre due modi per affrontare le cose, compreso iniziare a scrivere di un film: quello soggettivo e quello oggettivo.
Se partissimo da quest'ultimo bisognerebbe per forza parlare e apprezzare il potere evocativo di un film come La quinta stagione, ricco di simbolismo, di filosofia e di riflessioni sul rapporto uomo-natura. Un tema che viene messo in scena attraverso immagini che sono pura fotografia artistica, attraverso momenti e piani sequenza che potrebbero benissimo essere delle installazioni contemporanee.
Da un punto di vista oggettivo, quindi, è proprio il lato tecnico del film ad emergere, montaggio compreso.
Da quello soggettivo, invece, risulta molto più complicato affrontare un'analisi della pellicola, perchè fondamentalmente questa pare così impegnata ad elevare la sua poesia da dimenticare il cuore.
Difficile infatti empatizzare con i suoi protagonisti, con gli abitanti di uno sperduto e rurale villaggio delle Ardenne che vedono improvvisamente fermarsi la natura. Dopo la propiziatoria messa al rogo (non andata a segno) del Signor Inverno, nessuna primavera arriva a risvegliare fiori e piante, nessuna mucca produce più latte, nessun'ape miele e nessuna gallina uova. La natura si è fermata, il signor Inverno non è bruciato e tutto diventa ora sospetto.
Gli abitanti iniziano così a puntare il dito contro lo straniero (l'apicoltore Pol), arrivato proprio da pochi mesi, e con le cose che si fanno sempre più difficili, a trovare in lui un capro espiatorio che potrebbe salvarli.
Il problema principale è, però, che Pol come la giovane Alice non vengono approfonditi a livello di sceneggiatura, i loro sentimenti, le loro azioni vengono solo stilizzate facendoci così provare gran poca pietà nei loro confronti quando le cose iniziano ad assumere i caratteri grotteschi del disumano e del pagano.
Peter Brosens e Jessica Woodworth decidono infatti di puntare su altri aspetti, e così come i dialoghi appaiono scarni e senza troppa originalità (la citazione di Nietzsche è di quelle più conosciute e adolescenziali), così i suoi protagonisti finiscono per annegare o bruciare nel mare di simbolismo che il film ci mostra.
Da che parte propendere, quindi?
Se a livello oggettivo ci si trova di fronte a un film tecnicamente interessante e decisamente artistico, che affascina e destabilizza con le sue scelte sceniche e fotografiche, a livello soggettivo ci si trova disorientati e quasi infastiditi dai continui rimandi, simboli e metafore di cui La quinta stagione pullula.
Quando manca il cuore, o quando ci si dimentica di pensare allo spettatore perfino nel criptico finale animale, per quel che mi riguarda non c'è bellezza che tenga.
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