C’è molta postmodern swinging London, nel romanzo. Ed è certamente questo l’elemento caratterizzante (e positivo) di un libro che si presenta da subito quasi più come una sceneggiatura colta, a imbastire la trama di una di quelle serie televisive di ottimo livello targate BBC.
Da questo punto di vista (per passare subito alle, involontarie, note dolenti), la scelta di Feltrinelli di virare verso la commedia rosa (aggiungendo un “La ragazza di”, del quale non si sentiva certo la mancanza, a un titolo referenziale e da stradario londinese glamour) ha il potere (deviante) di cambiare il genere del libro sin dalla sua copertina, catalizzando le aspettative di un lettore reale ben diverso rispetto a quello implicito dell’originale. Allo stesso modo, una traduzione maldestra, frettolosa e poco pratica – digiuna di geografia londinese, di idioms e di strutture della vita in Inghilterra, prima ancora che di grammatica (un esempio per tutti: “white tea”, il tradizionale tè col latte viene tradotto “tè bianco”, come un’inutile fighetteria da negozio equo e solidale) – non rende onore a una scrittura che nell’originale è molto più rapida, dialogica, allusiva; in una parola: pop.
Una volta sgombrato il tavolo da queste sovrastrutture inconsapevoli (e pesanti, e eccessive, e persino imbarazzanti, specie per Euro di spesa 17) la cifra del romanzo, nudo e crudo, infatti, resta questa. La volontà di scrivere – attraverso una trama leggera, spaziale, intrisa di riferimenti alla cultura visuale declinata in ogni accezione possibile (le strade, dunque, ma anche i video-giochi, FB, il cinema, la pubblicità – ovviamente le foto) – il possibile romanzo di formazione del trentenne medio nella società liquida. In un mondo nella quale persino la complicata ricerca di un senso proposta da Jonathan Coe (modello di riferimento esplicito per i titoli musicali, il pensiero corre ai Nani della morte, dalle canzoni degli Hall and Oates nei titoli dei capitoli, ma anche per qualcosa di un po’ più profondo) o di Hornby (punto di riferimento di tanta parte della costruzione della trama) diventa un’utopia difficile da raggiungere (e verso la quale non si riesce nemmeno più a tendere), le vicende dei trentenni protagonisti si muovono tra lavori precarissimi (il protagonista, Jason), sostenuti dai genitori (il suo amico Dev), ostinata ricerca di un futuro più tradizionale e solido (l’ex-ragazza di Jason, Sarah), possibilità incerta (e qui la generazione è un po’ più giovane: Matt e Aubrey) di costruire qualcosa per il futuro. Nel mezzo, tanto FB, junk food, musica timidamente underground, il mondo della TV (evocato dal protagonista stesso, che di cognome fa Priestley, come l’attore di Beverly Hills), della pubblicità, delle PR – in attesa di quella maturazione che nella società britannica non può che essere, sempre e comunque, il punto di riferimento di ogni storia di ‘gioventù’ dai tempi di Fielding. E che anche questa volta, infine, in qualche modo arriva. Per caso, ovviamente. Del resto, il tema del destino, della casualità o meno, appunto, di decisioni e incontri resta uno dei motivi portanti: e, come in ogni Bildung inglese che si rispetti, la storia è anche quella di una presa di coscienza: da accettazione passiva di quel che capita a consapevole azione per il cambiamento positivo della trama.
Le fotografie, in tutto questo – così come “la Ragazza” dell’italiano titolo – restano poco più di un pretesto (a sottolineare, ancora una volta la lezione del penultimo Coe, nella Pioggia prima che cada).
Alla fine, dunque, un romanzo lieve, ma senza dubbio divertente. Come un libro disimpegnato ma non spiacevole, che potrebbe diventare un’ottima commedia romantica. Anche se è altra cosa (basta pensare all’abusato, e inutile, gioco meta-letterario di appello al lettore che appesantisce una scrittura per il resto sufficientemente dinamica) parlare di scrittura letteraria.
ps. Anche con questa lettura, estiva quante altre mai, la ‘povna partecipa – c’è bisogno di dirlo? – al venerdì del libro.