Passo un sacco di tempo a guardare la ragazza di fronte. Come me, questa ragazza ha la scrivania rivolta alla finestra, che guarda la strada – che dovrebbe guardare la strada. Come è stato per me. Ho cominciato a guardare la strada in ogni impercettibile pausa, fino a quando non mi sono accorto di lei. Che è lì come me, e come me, sta ore alla scrivania, fa quello che deve fare e guarda la strada. Studia, prende appunti e sottolinea. Non so cosa faccia, sembra che sia una studentessa universitaria. Sono già un paio d’anni che ci guardiamo, perché lei fa più o meno le cose che faccio io, alla stessa ora in cui le faccio io. Stiamo alla scrivania durante il giorno, spesso di notte, qualche volta all’alba. Siamo stati molte volte uno di fronte all’altra, completamente soli, in lunghe domeniche invernali ed estive, nelle notti silenziose, durante le vacanze di Natale e di Pasqua e qualche lungo ponte che faceva correre via tutti gli altri. Oppure in pieno agosto, quando in strada non c’era nessuno e l’unico elemento di vita vera eravamo noi, l’uno per l’altra. Pian piano, così, ho smesso di guardare la strada per concentrare tutta l’attenzione sulla ragazza. La guardo mentre sta ore e ore lì, mentre mi guarda, mentre si sveste, si veste, fa esercizi per tenersi in forma, si trucca ed esce. La vedo nuda, vestita, in tuta, in pigiama. La vedo al telefono, qualche volta i nostri sguardi si incrociano mentre sono al telefono anch’io, tutt’e due con cordless o telefonini affacciati alla finestra. Abbiamo tutt’e due una bottiglia d’acqua sulla scrivania e ogni tanto beviamo. Qualche volta m’incanto, ed è il suo movimento a farmi tornare in me. Qualche volta s’incanta lei, e io la guardo e aspetto che torni in sé. E penso sempre: chissà perché studia tanto, chissà perché sta sempre lì, ma quando si diverte, quando esce, come vive, cosa fa, ha una vita sessuale, sentimentale, professionale, sociale. E penso a tutte le domeniche che ha sprecato, a tutte le estati a cui ha rinunciato, a tutte le ore di sonno, alle passeggiate, alle risate, a tutte le cose che si è persa stando lì seduta alla scrivania di fronte a me, per tutto quel tempo in cui sono stato seduto anch’io. Mi rammarico del fatto che sono così poche le volte in cui infila la porta e scende per strada, e passa sotto tutte le finestre di quelli che guardano la vita vera. Poi mi rendo conto che sono gli stessi pensieri che potrebbe avere lei su di me. E lo spavento apre lo squarcio definitivo: forse sono gli stessi pensieri che ho io, o dovrei avere io, su di me.
Francesco Piccolo, Momenti di trascurabile felicità, Einaudi
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