La ragione e la speranza
6 maggio 2013 di Dino Licci
di Dino LicciLéon Augustin Lhermitte: The Haymakers
La notte mostrava la faccia sublime dell’Universo. Pallide ombre di ulivi secolari sembravano porgergli le braccia nodose quasi a segnargli la strada, mentre mille foglioline argentate cantavano in coro un’armoniosa cantilena. L’uomo sedette ai bordi di un muretto e si lasciò andare al ritmo del vento. Era lui, era il vento che batteva il ritmo, che gli parlava dappresso sussurrandogli parole a volte melodiose e carezzevoli, a volte dure e minacciose e sinistre: “Che fai, che fai, uomo, vagando nella notte? che cerchi, che cerchi, uomo, nel cuore della notte buia?” E una nuvola prese le sembianze di una giovane fanciulla e sembrava essere lei la voce del vento. Ed era insistente, sinuosa, carezzevole e svolazzava col suo vestito bianco tra i rami degli alberi frondosi e mille ricami correvano sulle pieghe argentate delle sue vestimenta ed a tratti svaniva eterea ed impalpabile, a tratti sembrava vera, vicina, concreta, parlante. “Cerco l’amore -le disse l’uomo- cerco la poesia, cerco l’essenza, cerco quella Verità che il sole nasconde durante il giorno con le genti che corrono, col lavoro che incalza, con la luce che acceca. Cerco la mia fantasia, i miei sogni , i miei desideri, le aspirazioni e le speranze” “Le speranze?” Ora il vento era aumentato d’intensità ed un leggero sibilo serpeggiava nella fitta vegetazione. Un brivido di freddo raggiunse l’uomo, che alzò gli occhi al cielo a cercare la fanciulla che si disperdeva nel vento in un gioco fantasioso e variegato ed al suo posto lentamente prendeva forma una donna, certamente meno bella, spigolosa ed emaciata, scavata nelle guance e con un sorriso ancora indefinito sulle sue labbra sottili che si schiudevano appena sibilando: “Le speranze, tu che hai rinnegato la fede? tu che hai analizzato, soppesato, vagliato dogmi e teorie, credenze e religioni, miti e leggende? Tu che hai elevato la ragione a regina della tua Vita? Tu che hai sposato la tesi che Dio è morto, sepolto dalle lucide deduzioni del tuo sapere, dalla fredda analisi della realtà dell’Universo ?” “Il giorno – si difese l’uomo – solo durante il giorno, ma la notte, la notte vivo il tepore, la gioia, l’abbandono della mia fantasia. La notte posso gridare al vento tutto il mio dolore, il mio turbamento e lo sconforto e la gioia e lo sbalordimento e lo stupore per tutti questi mondi che mi ruotano attorno in una giostra infinita che mi sovrasta e mi schiaccia. Mi schiaccia, mi terrorizza e mi sconvolge ma mi eleva e mi esalta perché questo mondo così grande, questo Universo che si espande, questo infinito andare di astri e meteore e pianeti e galassie immense che mi proiettano lontano in uno sfavillio che in parte mi disorienta, pure esse sono qui, contenute nel mio cervello che si sublima nello sconcerto, conscio si, conscio dei suoi limiti, ma anche della sua grandezza: piccolo quasi fosse un granello di sabbia, ma capace di contenere al suo interno l’Universo intero, capace di contenere l’Idea stessa d’ Infinito!!! Solo, nella notte buia, posso finalmente immaginare Dio, un Dio che non conosco ma della cui presenza sono certo, dialogare con lui, con Lui vero, ripulito dalle credenze impostami, scevro da ogni misticismo, da ogni assioma, da ogni dogmatico credo e finalmente splendente nella purezza della Sua presenza trascendente ed impalpabile, che s’incunea nella mia mente assieme a questi astri che di giorno si spengono perdendo tutto il loro splendore e che ora invece catturano il mio pensiero e lo trascinano lontano, lontano, oltre i confini dell’Universo, più veloce della luce, trascinato dalla forza dell’Idea che travalica i confini del sapere, oltre lo spazio ed il tempo, come un cavallo impazzito cha cavalco volando verso i confini della follia…” Andava scemando la forza del vento e le nuvole finora leggermente inquiete, giocavano ancora con la sua fantasia. La donna sibilante scomparve d’incanto lasciando spazio ad un incorporeo violinista che danzava, contorcendosi tutto, la danza della vita . L’uomo si chinò a raccogliere un fiore. Lo cercava ogni notte quel fiore, il fiore dell’amore diceva lui, ritenendo che il giorno esso fosse nascosto dall’orgoglio, dalla passione, dal calcolo, dal pregiudizio, dall’invidia, dalla gelosia e finalmente oggi sembrava averlo trovato seminascosto tra il verde degli arbusti di erica e le bacche azzurre dei ginepri. E mentre il violinista si dissolveva vibrando, il vento disperdeva quella dolce melodia tra le fruscianti cime degli ulivi maestosi e tutte le foglie degli alberi suonavano con lui e l’uomo rideva giulivo mentre la sua mano s’impossessava di quel magico dono e di colpo fu festa con quegli uccelli svettanti che annunciavano l’aurora, con quei radiosi sprazzi di luce che diffondevano barlumi di candido chiarore. Quei primi raggi di sole dispersero la notte, l’incanto delle nuvole improvvisamente svanì ed il fiore reciso piegò lentamente il suo stelo rugiadoso e dolcemente, silenziosamente, chinò la testa e morì, mentre l’uomo, meditabondo e sereno, tornò lentamente alla vita del giorno, coi suoi problemi, le sue esigenze, l’eterna lotta tra il bene ed il male. E la ragione riprese rapidamente il suo ruolo diurno ed i suoi sogni, le sue speranze, le sue illusioni, la sua fantasia, svanirono d’incanto come quelle nuvole impalpabili che lo avevano dolcemente sedotto, quelle nuvole che lo avevano trascinato nel mondo incantato dell’estasi e dell’illusione, laddove esiste forse un’altra Verità, un’altra vita ricolma di tremuli respiri, con la spinta del vento che ci invoglia a seguirlo sempre più in alto, sempre più lontano, per cercare ancora, nell’immenso splendore dell’incorporeo e del trascendente, un disegno, uno scopo, una meta che giustifichi appieno questo nostro inquietante, misterioso divenire!!!