La realtà attraverso gli occhi dello scrittore

Da Anima Di Carta

Quando leggo voglio guardare
la realtà con occhi diversi... e voi?

Queste riflessioni sono state scatenate dal post di Salvatore Anfuso Perché NON scegliere un'ambientazione italiana, anche se qui non voglio parlarvi di ambientazione.
Salvatore afferma, giustamente, che si legge per svagarsi. E lo svago non va d'accordo con la noia (o perfino la nausea) che si prova di fronte al già noto. La penso anche io così. Quando mi immergo nella lettura di un romanzo voglio evadere dalla realtà di tutti i giorni, voglio "viaggiare senza la seccatura dei bagagli", parafrasando Salgari.
Non so se sia così per tutti, ma personalmente tendo a evitare quella narrativa che ha un sapore troppo realistico, che si propone di mostrare le brutture della vita, della gente o di un Paese. Allo stesso modo non trovo nulla di allettante in una storia che si limiti a raccontarmi la quotidianità, la vita di una qualsiasi persona in un posto qualsiasi. Voglio conoscere qualcosa di straordinario.
Lo stesso vale per la scrittura: mi piacerebbe arrivare a mostrare la realtà in modo nuovo, portare il lettore a vedere aspetti che non aveva mai visto o a fargli conoscere qualcosa di diverso.

Una scrittura efficace è realistica


Anche la narrativa considerata come intrattenimento, però, non può prescindere dal realismo. Oltre che svagarci, infatti, come lettori vogliamo anche credere alla storia raccontata, vogliamo immedesimarci nei personaggi ed emozionarci con loro. Questo non è possibile se non c'è niente che ci riconduce alla realtà che conosciamo. Il mondo in cui ci immergiamo come lettori può anche essere lontano nello spazio o nel tempo da quello che viviamo, o addirittura essere frutto di fantasia, ma deve contenere elementi attinti alla nostra realtà. Infatti, una scrittura efficace poggia sui dettagli che trasmettono un senso di verità e concretezza. Per questo gli stereotipi e i cliché danno tanto fastidio, non riconducono più a qualcosa di vero, li riconosciamo subito come falsi.
Il realismo può essere uno strumento molto forte nelle nostre mani di scrittori. Ci permette di rassicurare il lettore, è come se gli dicessimo: quello che ti sto raccontando è vero, vedi quanti particolari che lo sostengono?
Però è anche possibile mostrare la realtà di tutti i giorni in modo diverso, lo fanno tanti autori e molto bene.
Tempo fa lessi che ci sono due tipi fondamentali di storie, quelle che riguardano persone comuni in circostanze particolari e quelle che riguardano persone particolari in circostanze comuni. Penso che questo concetto sia valido anche più in generale, nel senso che si può portare qualcosa di non comune in un ambito ordinario e viceversa portare il realismo in un ambito non comune.

Portare il realismo nello straordinario


Cosa ne sappiamo noi di come percepiscono gli animali il mondo intorno a loro? Jack London di certo non poteva saperlo, ma facendo un abile uso di dettagli molto realistici ci porta a vedere il mondo con gli occhi del "lupacchiotto grigio". Ci sono molti termini sensoriali in questo brano che aiutano a identificarci con il personaggio, sebbene non sia neppure umano:
Da poco si erano schiusi gli occhi del lupacchiotto grigio, e già egli era in grado di vedere con assoluta chiarezza. E quando ancora i suoi occhi erano chiusi, aveva sentito, aveva gustato, aveva annusato. Conosceva benissimo i due fratelli e le due sorelle. Aveva cominciato a ruzzare con loro con movimenti lenti e goffi, aveva cominciato perfino ad azzuffarsi con loro e si eccitava sempre di più nella sua collera, mentre la piccola gola tremava, emettendo uno strano suono raschiante, il suono precursore del ringhio. E molto prima che i suoi occhi si schiudessero, aveva imparato a conoscere, al tatto, al gusto, al fiuto la madre, fonte di calore, di nutrimento e di tenerezza. Aveva, la madre, una lingua morbida e carezzevole che, quando lambiva il suo tenero corpicino, gli infondeva una sensazione di calma e lo spingeva a rannicchiarsi contro di lei e a sonnecchiare.

Portare lo straordinario nella realtà


La protagonista di "Rebecca, la prima moglie" di Daphne du Maurier è una donna molto comune, tanto è che non conosceremo mai il suo nome. La scelta di mantenerla anonima mi colpì molto, quando lessi questo romanzo molti anni fa, ed è funzionale a mostrare il contrasto con la prima moglie dalla personalità brillante.
Questa scena che riporto è tratta dalla quotidianità, mostra una stanza da letto con oggetti comuni (per l'epoca, ovviamente), ma il modo in cui la protagonista si collega a essi è del tutto speciale, perché ci comunica qualcosa di molto lontano dalla realtà di tutti i giorni e un crescente senso di ansia.
Per la prima volta da che ero lì m'accorsi che mi tremavano le gambe. Le sentivo
deboli come fuscelli di paglia. E il cuore non mi batteva più così agitato. Ero
diventata d'una pesantezza plumbea. Mi guardavo d'attorno come intontita. Sì, era una stanza veramente bella. La signora Danvers non aveva esagerato, quella prima sera. Era la più bella stanza di tutta la casa. Quel gioiello di caminetto, il soffitto, il letto scolpito e i tendaggi, persino la pendola alla parete e i candelabri sulla pettiniera, erano cose che avrei amato, quasi adorato se fossero state mie. Ma non erano mie, no. Appartenevano a un'altra donna. Tesi la mano, a toccar le spazzole. Una era più consunta della compagna. Spesso accade così; ce n'è sempre una che si adopera di più. A volte ci si dimentica di usar l'altra, e quando si mandano a lavare, ce n'è una ancora pulita...

Insomma, che si tratti di ordinario o di straordinario, il realismo è importante, ma allo stesso tempo credo sia necessario saper andare al di là di esso per suscitare un qualche interesse.
Altrimenti che gusto c'è a leggere?
Voi cosa ne pensate?


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