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La realtà calcistica dell’Anschluß e i fischi di Marsiglia

Creato il 24 giugno 2014 da Calcioromantico @CalcioRomantico

Dal punto di vista strettamente calcistico l’idea dell’Anschluß non è stata una genialata, come si evince leggendo La Stampa all’indomani del pareggio ottenuto con la Svizzera a Parigi il 4 giugno 1938: “La squadra tedesca si è presentata in campo con sei elementi appartenenti alla vecchia formazione germanica e cinque austriaci [...] Tedeschi e austriaci si sono suddivise le parti e il loro gioco ha accusato fasi di stile diverso.” I primi, “atletici e combattivi” a gestire la difesa, e i secondi, compassati a organizzare l’attacco, hanno lasciato la reale impressione di quel che sono, due squadre diverse cucite insieme. Inevitabile quattro giorni dopo, nella ripetizione del match, arriva la sconfitta. Gli svizzeri vincono 4-2, rimontando da 0-2, contro una squadra che l’inviato del francese Le Figaro bolla come fuori forma.[1] La nazionale, che racchiude in sé la terza e la quarta classificata dell’edizione precedente, e che ha di fatto assorbito l’Austria regolarmente qualificatasi per la fase finale, esce così al primo turno del Campionato del Mondo del 1938.
L’invasione dell’Austria e la sua annessione alla Germania sono, invece, una realtà politica ben diversa e molto più minacciosa della corrispondente neonata Mannschaft calcistica. Specie per il governo francese che nella Confederazione di Monaco, di lì a qualche mese, si limiterà a ratificare un altro piccolo allargamento della Germania hitleriana (questa volta a Est, nel territorio dei Sudeti) e, nel giro di due anni, si troverà in trincea contro l’Asse Roma-Berlino-Tokyo.

Francia-Italia. La difesa francese libera su Piola

A proposito di Asse, la coppa del 1938 va, proprio, all’alleato italiano. Guidata da Vittorio Pozzo l’Italia, in modo stavolta autorevole, bissa la vittoria con aiutini ottenuta in casa nel Mondiale che Mussolini ha perfettamente adattato alla retorica fascista.

Per i campioni in carica il rischio più grande, paradossalmente, arriva dalla partita sulla carta più facile, la prima, quella contro la Norvegia. A Marsiglia, il 5 giugno 1938, i calciatori italiani sbattono contro un avversario ostico, rischiano la sconfitta, vincono solo ai supplementari e trovano ostilità anche nel pubblico. Il torpedone che autarchicamente porta gli azzurri allo stadio (il vocabolo pullman è stato abolito) è accolto da invettive e insulti. Deve intervenire la polizia a cavallo per disperdere la folla che urla “fascisti” all’indirizzo dei giocatori. Poi, all’interno dello stadio, circa diecimila spettatori, tra antifascisti e rifugiati italiani, fischiano il doppio saluto romano che la squadra allineata a centrocampo riserva loro a inizio partita.[2] Del resto, la nazionale italiana rappresenta il regime al potere già da 15 anni, e, quasi a rimarcarlo, ha il fascio littorio sulla casacca. Magari, visto che di braccia tese se ne vedono anche in occasione dei due incontri della selezione tedesca, ci si potrebbe attendere un trattamento simile per la Germania, ma le cronache non riportano nulla a riguardo.
Quanto successo a Marsiglia viene ovviamente ignorato dalla stampa italiana. La narrazione che se ne farà successivamente non escluderà che quei fischi abbiano avuto, oltre una valenza politica, anche una prettamente sportiva, visto che la vincente di Italia-Norvegia è attesa per i quarti a Parigi dalla Francia padrona di casa.[3] Ad ogni modo, al turno successivo l’Italia batte 3-1 i transalpini in uno stadio che durante la partita fa del tifo contro, ma al termine applaude gli azzurri (per l’occasione in casacca nera). Gli italiani tornano poi a Marsiglia per la semifinale contro il Brasile, dove ritrovano la contestazione degli spalti, anche se in tono decisamente minore. Una doppietta di Giuseppe Meazza vale la finale di Colombes, in cui l’Ungheria verrà surclassata al di là del punteggio finale di 4-2.[4]
I gol di Colaussi, Piola, Titkos e Sárosi fanno calare il sipario sull’ultimo grande avvenimento calcistico prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Un Campionato del Mondo che, tra squadre qualificate che spariscono e spettatori che inscenano proteste di matrice politica, mostra come un evento di tale portata, benché sportivo, non possa considerarsi avulso da ciò che accade intorno.

federico

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[1] Formazioni della Germania (la lettera tra parentesi indica la provenienza: A-austriaco, G-tedesco):
1° match: Raftl (A); Janes (G), Schmaus (A); Kupfer (G), Mock (A), Kitzinger (G); Lehner (G), Gellesch (G), Gauchel (G), Hahnemann (A), Pesser (A);
2° match: Raftl (A); Janes (G), Streitle (G); Kupfer (G), Goldbrunner (G), Skoumal (A); Lehner (G), Stroh (A), Hahnemann (A), Szepan (G), Neumer (A).
Dei 22 convocati, 9 sono ex-austriaci. Tranne Wagner giocano tutti almeno un match. Ricordiamo inoltre che Raftl, Schmaus, Stroh e proprio Wagner facevano parte della rosa mondiale del 1934 e che l’Austria si era qualificata per le fasi finali del Mondiale del 1938 e aveva persino partecipato al sorteggio il  5 marzo 1938 (ottavo previsto Austria-Svezia, vinto poi a tavolino dagli scandinavi)

[2] I fischi partono al saluto romano effettuato durante l’inno. La ripetizione del saluto è pretesa dal commissario tecnico Vittorio Pozzo per paura che i suoi giocatori abbiano una ricaduta psicologica
[3] Per il racconto di Vittorio Pozzo e le opinioni del cronista sportivo de Le Figaro Roland Mesmeur cfr. storiedicalcio. Per il racconto del mediano Ugo Locatelli cfr. Papa, Panico, Storia sociale del calcio in Italia, pag. 134. Per la doppia valenza dei fischi cfr.  Antonio Ghirelli, Storia del calcio in Italia (1954), pag. 268
[4] cfr. Papa, Panico, Storia sociale del calcio in Italia, pag. 134-136


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