Nulla da eccepire, quest’anno Canicattini ha vissuto una settimana di Pasqua, piena ed interessante, e non è finita.
Dopo le innumerevoli passioni laiche, sia sotto forma di narrazione del Vangelo, sia sugli aspetti specifici della passione legati alla nostra terra, si è svolta la vera passione liturgica, quella “ufficiale“, unica al mondo, in pochi altri luoghi, forse soltanto in provincia di Messina, esiste una processione di un Cristo ancora vivo. Al punto che il Pitrè, nel suo ormai famoso testo, fa notare che al SS Cristo di Canicattini sono riservati tutti quei trattamenti tipici del Santo Patrono, non ultimo la copertura della statua durante il corso dell’anno, e sarebbe stato l’unico caso di un Cristo Patrono, ma per noi, di fatto, è un patrono.
Molte sono le tradizioni che non esistono più, su alcune non occorre avere rimpianti, come a “lingua a strasciniuni“. Negli ultimi anni è stata ripresa la presenza dei “nuri“. Qui ci sarebbe da aprire un altro discorso, nel senso che il loro reinserimento nella processione costituisce un falso dal punto di vista storico, in quanto negli anni, e fino al finire degli anni settanta, l’essere “nuru“ non era una rappresentazione, ma era il significato profondo di una promessa, ma questo è appunto un altro discorso. Ciò non toglie che l’aspetto coreografico, con la presenza dei “nuri“ assume un rilievo maggiore, più vicino almeno esteriormente alla tradizione, e non toglie neppure la presenza di devozioni individuali, che non si possono confondere con la generalità propria del passato, quella che riguardava la comunità nel suo insieme.
A proposito di “nuri“ e del significato profondo di esserlo, c’è qualcosa di eccezionale nell’evoluzione dei tempi che cambiano: dapprima, quando le strade erano di “terriccio“ i “nuri“ andavano in processione scalzi, quando le strade sono state appena pulite dalle piccole pietre, hanno indossato le calze, per finire poi ad una processione con le scarpe nelle strade ormai asfaltate. I tempi cambiano le persone ed il loro rapporto con la religione, mentre il SS. Cristo è rimasto uguale, dalla “sira“ dei tempi.
Se vogliamo, l’impropria “festa“ del SS Cristo, rende sovrapponibile, in molti elementi, la tradizione e la morale, religiosa e privata. Le due espressioni, quasi si rincorrono a vicenda, e questo era evidentissimo nel passato.
La celebrazione “ra sira“, assomiglia molto alle celebrazioni di una morte qualsiasi, che per ognuno di noi diventa “a sira“, stessi rituali, il pianto dei familiari (“u lamientu“), che assumeva una connotazione pubblica, la processione, la banda, il contesto di tristezza, che accomuna tutti i presenti, proprio a dimostrare l’impossibilità nel prescindere l’etica pubblica dall’etica privata e viceversa, ed è questa l’unica caratteristica che è venuta sempre meno nel trascorrere degli anni.
Un elemento, invece, invariato dal passare degli anni, sono le emozioni e le sensazioni della “festa“. Quel senso di “festa triste“, dovuta anche alle sinfonie funebri, oltretutto quest’anno il Maestro Liistro, e l’intera banda, hanno riproposto una marcia del maestro Pernice, che non veniva eseguita da 35 anni.
Le strade ancora buie, illuminate dalle lampadine sui balconi e dai lumini ai bordi dei marciapiedi, i teli rossi appoggiati sui balconi e raffiguranti la croce, le bombe “sparate“ di tanto in tanto, a comando, sembra tutto uguale alla “sira“. La processione più lunga, dalle 19 alla mezzanotte inoltrata. Non serve essere credenti per coglierne gli aspetti forti di tradizione e credenze, ma l’essere credenti in quest’occasione rende assolutamente ripetibile, nel proprio essere un gesto unico, raro. Seguire il Santo in processione è l’essenza della festa, il divincolarsi tra la confusione, tra le auto in sosta, il procedere fianco a fianco alla Banda, con i “nuri“, le autorità, soprattutto nelle strade più strette, è la vera festa, non è una normale processione, una rappresentazione tipica, dove ognuno occupa un proprio spazio fisico, da rispettare, l’unico elemento ad ergersi è il Cristo, il resto è un unico.
Partecipare anche una sola volta nella vita, rende questa un’esperienza finita, appagante ed indelebile. Non è come la “Paci Paci“, che ogni anno va vista, perchè si assaporano le emozioni dell’incontro solo partecipandovi. Il SS Cristo no, basta assistere una volta per capire l’esclusività di quei momenti. Tuttavia è difficile mancare, tipico del meccanismo della memoria dell’uomo.
Ognuno di noi, ogni canicattinese, ha dei ricordi che lo legano ad uno dei tanti momenti “ra sira ro Santissimu Cristu“, ancora oggi non si è propriamente canicattinesi se non si sente un legame passionale, non necessariamente religioso, con questa festa.
É così, anche se spesso non ce ne accorgiamo.
Ne approfitto a titolo personale nell’augurare a tutti una Buona Pasqua.
Paolo Giardina
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