Einstein la predice, l’esperimento la conferma
di Marco Cagnotti
“Teoria dell’assolutezza” avrebbe dovuto chiamarsi, secondo Einstein: questo narra un aneddoto. In effetti qualcosa di assoluto c’è: la velocità della luce, uguale in tutti i sistemi di riferimento. Ma tant’è: nella storia è invece rimasta la teoria della relatività. Il cui nome, a ben riflettere, non è del tutto sbagliato. Infatti, basandosi sull’assunto dell’invarianza della velocità della luce, si arriva a concludere che le grandezze spaziotemporali sono relative al sistema di riferimento. Per esempio, due osservatori in moto uno rispetto all’altro otterranno misure differenti di intervalli di tempo e lunghezze: visto da un osservatore fermo, il tempo di un osservatore in movimento scorre più lento. Questo per quanto riguarda la relatività ristretta. Nel caso della relatività generale vanno considerati pure i campi gravitazionali. Si scopre allora che tempo e spazio variano anche in funzione del campo gravitazionale e, visto da un osservatore lontano, il tempo di un osservatore vicino a una grande massa scorre più lento. Quando si spiegano questi effetti agli studenti, ci si affretta subito a precisare che nella realtà quotidiana non sono misurabili e che per rivelarli bisogna usare particelle a velocità prossime a quelle della luce e campi gravitazionali paragonabili a quello terrestre su distanze dell’ordine almeno del chilometro. Insomma, i capelli non invecchiano più in fretta delle unghie dei piedi. O no?