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La replica teatrale dell’identità

Creato il 12 novembre 2011 da Gadilu

La replica teatrale dell’identità

In una realtà come la nostra, caratterizzata da una marcata – ancorché per fortuna spesso solo latente – frammentazione etnica, i fatti della cronaca politica sono essenzialmente di due tipi. Ce ne sono alcuni che scaturiscono da situazioni riscontrabili anche altrove, e che quindi tendono a non rispecchiare la frammentazione citata. Ce ne sono invece altri, per noi peculiari, che sembrano creati apposta al fine di confermare un tale rispecchiamento, come se obbedissero a un copione già scritto e destinato a essere recitato con pochissime variazioni. Certo, è spiacevole accertare la sopravvivenza di questo secondo genere di fatti. Tentare però di parlarne con il prevalente scopo d’illustrare il meccanismo che presiede alla loro costruzione (anche mediatica) è l’unico modo che abbiamo per sperare di renderli col tempo sempre più sporadici e quindi irrilevanti.

Si può così leggere il senso dei gesti nuovamente compiuti da alcuni esponenti politici italiani in una di quelle tipiche occasioni destinate a dividere la popolazione in modo quasi automatico. Da questo punto di vista, è sconcertante che un uomo d’esperienza e investito anche di una notevole e delicata responsabilità istituzionale, come il presidente del Consiglio provinciale Mauro Minniti, abbia pensato di poter omaggiare “i caduti di tutte le guerre” presentandosi ancora una volta all’ossario di Burgusio. Quel “sacrario militare” rappresenta infatti una palese strumentalizzazione dei poveri resti in esso custoditi da parte del regime fascista: non ci dovrebbe davvero essere più bisogno delle inevitabili reazioni dei partiti e degli opinionisti di lingua tedesca per capirlo o per consentirci d’“imparare qualcosa”.  Al pari dell’Alpino di Brunico o del famigerato Monumento alla Vittoria, qui abbiamo a che fare con un catalizzatore di passioni identitarie che tendono a polarizzarsi.

Un possibile atteggiamento alternativo è questo: non si tratta di fingere che ogni contesto etnicamente frammentato non esponga linee di frattura o punti d’attrito particolarmente resistenti o persino impossibili da rimuovere, quanto piuttosto di comprendere che essi possono venire con pazienza decostruiti ritraendo con lucidità le condizioni che a scadenze fisse li infiammano rendendoli ostinatamente percepibili. Potremmo così scoprire che tali condizioni si sviluppano lungo percorsi ritualizzati, prevedibili e obbedienti ormai a una logica conflittuale di natura quasi esclusivamente rappresentativa (proprio come si trattasse di una replica teatrale dai ruoli invariabili). Per attutire gli effetti di una simile rappresentazione occorrerebbe intanto mutarne il fondale o almeno rinunciare a qualche pezzo della solita scenografia. Almeno proviamoci.

Corriere dell’Alto Adige, 12 novembre 2011


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