“Il privilegio del cinematografo è quello di permettere ad un gran numero di persone di sognare lo stesso sogno e di mostrarci inoltre, con il rigore del realismo, i fantasmi dell'irrealtà, per questo è un ammirevole veicolo di poesia"
Queste sono alcune delle riflessioni di Jean Cocteau (1899-1963) sulla "magia" del cinema e sul suo ultimo film "Il testamento di Orfeo". (1959). Questo film, che ho scelto come protagonista dell'articolo, insieme a "Le Sang d'un poète" (1930) e "Orfeo" (1950) forma una originale trilogia sulla funzione del poeta e dell'arte come tramite tra mondi diversi. In questa onirica trilogia Cocteau immagina e materializza con la macchina da presa una "genealogia" trasfigurata della poesia, del poeta e del suo rapporto speciale con la vita e con la morte, riprendendo il mito orfico della discesa negli inferi, in mondi paralleli nei quali solo l'arte sembra avere accesso, attraverso specchi immaginari, porte invisibili attraverso le quali la poesia può dialogare con la morte, addirittura innamorarsene, come avviene in Orfeo. Sempre in Orfeo scopriamo la poesia in fasce minacciata da angeli neri, la Zona, la terra di mezzo tra la vita e la morte, il poetico salvataggio di Euridice. Quali sono i meccanismi segreti della poetica cinematografica di Cocteau? Sono gli specchi che ci riflettono, che Cocteau trasforma in simboli molto incisivi della eterna ricerca di noi stessi, spesso disturbata dai filtri e dagli inganni dell'apparenza. Specchi iniziatici che come macchine alchemiche possono realizzare metamorfosi e resurrezioni, come quella del poeta del "Testamento di Orfeo." Prima di andare avanti, devo rivelarvi perchè ho scelto questo argomento, che si collega orizzontalmente e verticalmente alle varie tematiche e filosofie artistiche comunicate da questo blog, pezzo dopo pezzo.
Magazine Cultura
La Resurrezione del Poeta: Il Testamento di Orfeo di Jean Cocteau
Creato il 11 ottobre 2012 da Alessandro Manzetti @amanzetti
“Il privilegio del cinematografo è quello di permettere ad un gran numero di persone di sognare lo stesso sogno e di mostrarci inoltre, con il rigore del realismo, i fantasmi dell'irrealtà, per questo è un ammirevole veicolo di poesia"
Queste sono alcune delle riflessioni di Jean Cocteau (1899-1963) sulla "magia" del cinema e sul suo ultimo film "Il testamento di Orfeo". (1959). Questo film, che ho scelto come protagonista dell'articolo, insieme a "Le Sang d'un poète" (1930) e "Orfeo" (1950) forma una originale trilogia sulla funzione del poeta e dell'arte come tramite tra mondi diversi. In questa onirica trilogia Cocteau immagina e materializza con la macchina da presa una "genealogia" trasfigurata della poesia, del poeta e del suo rapporto speciale con la vita e con la morte, riprendendo il mito orfico della discesa negli inferi, in mondi paralleli nei quali solo l'arte sembra avere accesso, attraverso specchi immaginari, porte invisibili attraverso le quali la poesia può dialogare con la morte, addirittura innamorarsene, come avviene in Orfeo. Sempre in Orfeo scopriamo la poesia in fasce minacciata da angeli neri, la Zona, la terra di mezzo tra la vita e la morte, il poetico salvataggio di Euridice. Quali sono i meccanismi segreti della poetica cinematografica di Cocteau? Sono gli specchi che ci riflettono, che Cocteau trasforma in simboli molto incisivi della eterna ricerca di noi stessi, spesso disturbata dai filtri e dagli inganni dell'apparenza. Specchi iniziatici che come macchine alchemiche possono realizzare metamorfosi e resurrezioni, come quella del poeta del "Testamento di Orfeo." Prima di andare avanti, devo rivelarvi perchè ho scelto questo argomento, che si collega orizzontalmente e verticalmente alle varie tematiche e filosofie artistiche comunicate da questo blog, pezzo dopo pezzo.
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