Lunedì 24 febbraio scorso si è svolta a Roma la conferenza dal titolo La Roadmap della Riforma della Cina e la Via della Seta 2.0, frutto della collaborazione tra l’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia, il Centro Studi Eurasia-Mediterraneo (CeSE-M) e l’Associazione di Studio, Ricerca e Internazionalizzazione in Eurasia e Africa (ASRIE).
La splendida cornice allestita presso la sala ricevimenti dell’Ambasciata ha accolto nel migliore dei modi il Vice-ministro del Dipartimento per le Informazioni del Partito Comunista Cinese, S.E. Wang Xiaohui, giunto nel Bel Paese con una delegazione governativa proveniente da Pechino.
Dopo il benvenuto dell’Ambasciatore, S.E. Li Ruiyu, che ha ricordato i dati della cooperazione sino-italiana e ribadito il massimo impegno da parte del suo personale diplomatico per facilitare l’interscambio commerciale tra i due Paesi e per contribuire a promuovere le numerose attività internazionali cinesi in Italia, è toccato al nostro collaboratore Marco Costa introdurre il saggio, recentemente pubblicato per Anteo Edizioni, dal titolo La Via della Seta. Vecchie e nuove strategie tra la Cina e il bacino del Mediterraneo, del quale è coautore assieme ad altri sei saggisti: Vittoria Squillacioti, Sara Nardi, Loredana Orlando, Andrea Fais, Vanessa Baselli e Carmen Nigro.
L’intervento più atteso della giornata non ha deluso le aspettative del folto pubblico, accorso numeroso presso la sede diplomatica di Via Bruxelles per ascoltare le importanti analisi e riflessioni dell’alto funzionario cinese. Wang Xiaohui ha illustrato le principali direttrici politiche ed economiche emerse nel corso della Terza Sessione Plenaria del XVIII Congresso del Partito Comunista Cinese, andata in scena nel mese di novembre 2013. Wang ha ribadito come la linea individuata dal nuovo Comitato Centrale, presieduto dal presidente Xi Jinping, preveda la razionalizzazione distributiva delle grandi ricchezze prodotte negli ultimi anni, l’assegnazione al mercato di un ruolo fondamentale nell’allocazione delle risorse, la centralità dell’economia pubblica e l’importanza della sua armonica combinazione con l’economia non pubblica (privata e cooperativa), la riduzione degli scompensi e dei divari tra le classi sociali, specie in relazione alla condizione delle aree rurali, e la lotta alla corruzione.
Non si è dunque trattato di una mera elencazione degli straordinari risultati raggiunti dalla dirigenza cinese, ma di una vera e propria riflessione a 360 gradi, capace di porre l’accento su tutto quanto deve ancora essere risolto o realizzato affinché la riemergente potenza orientale possa costituire un modello di sviluppo esemplare in Asia e nel mondo. In questo senso Wang ha precisato i criteri per la progressiva realizzazione della democrazia in Cina, evidenziandone implicitamente le profonde differenze che intercorrono con l’analoga espressione occidentale, a cominciare dal carattere socialista del paradigma di riforma e apertura.
Durante l’ultimo congresso del Partito, nel novembre 2012, il presidente uscente Hu Jintao aveva sostenuto che la Cina non avrebbe mai copiato i modelli sociali delle democrazie occidentali, lasciando intendere come negli Stati Uniti e in Europa i due distinti processi di modernizzazione e di occidentalizzazione siano confusamente mischiati ed equiparati fra loro. Un’equazione che nel resto del mondo – e i BRICS sono lì a dimostrarlo – non esiste.
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