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La riforma dell'energia di Peña Nieto non piace ai messicani. Protestano anche attori e intellettuali famosi

Da Rottasudovest
A poco più di un anno dal suo insediamento, il presidente del Messico Enrique Peña Nieto ha dato il via alla terza grande riforma che caratterizzerà il suo mandato. Dopo le riforme del sistema scolastico e delle telecomunicazioni, è la volta della Reforma Enérgetica, che dovrà, nelle sue intenzioni, rendere il settore più competitivo, più moderno e renderlo fonte di sviluppo per il Paese. Per poter fare questo, il Parlamento ha dovuto modificare tre articoli della Costituzione, riguardanti la proprietà del sottosuolo, che rimane in mani statali, in modo da permettere l'ingresso dei privati nell'esplorazione ed estrazione del petrolio e degli altri idrocarburi, "per ottenere gli ingressi che contribuiranno allo sviluppo sul lungo termine". La collaborazione con i privati, richiederà un cambio nello statuto di Pemex, il gigante petrolifero messicano, di proprietà pubblica, che diventerà "impresa produttiva dello Stato". Il presidente ha ripetuto in ogni salsa che non ci sarà alcuna privatizzazione di Pemex e che l'ingresso dei privati nelle esplorazioni e nello sfruttamento non significa che i benefici non andranno ai messicani. Ma nel Paese il sospetto è forte, nonostante nel Parlamento la proposta abbia contato sull'appoggio delle formazioni di destra, di centro e di centrosinistra. Come scrive per El Pais lo scrittore messicano Enrique Krauze, "la principale opposizione non è nel Congreso, ma nelle strade, che sono e saranno palcoscenico di proteste adirate e significative". Il leader segnalato delle proteste è Andrés Manuel López Obrador, il rappresentante della sinistra per due volte sconfitto alle elezioni presidenziali, e in cerca di una nuova opportunità, nel 2018.
Ma AMLO, come è popolarmente conosciuto, è solo il volto noto di una diffidenza che mescola storia, nazionalismo e rivoluzione e arriva fino agli anni 30. La Costituzione del 1917, promulgata dopo la Rivoluzione del 1910, stabilisce nell'articolo 27 che la proprietà del suolo e del sottosuolo è solo messicana. "Per due decenni, le compagnie petrolifere inglese, olandesi e americane si sono rifiutate di accettare la legislazione, fino a quando, nel 1938, a causa di un conflitto lavorativo, il presidente Lázaro Cárdenas le espropriò. La reazione popolare fu spontanea: le dame ricche regalarono i loro gioielli, i poveri le galline, tutti per pagare il debito alle imprese straniere. Da allora, libri di testo, cerimonie e monumenti hanno commemorato l'azione di Cárdenas come una restaurazione della dignità nazionale. E lo è stata, in molti sensi" spiega Krauze. Di qui che l'ingresso di privati, magari stranieri, nelle esplorazioni del sottosuolo sia visto come un tradimento all'orgoglio messicano di Cárdenas.
Chi si oppone alla riforma sostiene che Pemex è autosufficiente, è cioè in grado di effettuare esplorazioni e di sfruttare le risorse con le proprie sole capacità. Ma il fatto è che, "nonostante gli investimenti nelle esplorazioni si siano sestuplicate negli ultimi 10 anni, da 4 a 25 milioni di dollari, non ci sono stati grandi risultati. Mentre gli Stati Uniti stanno per ottenere l'autosufficienza grazie ai 150 pozzi perforati ogni anno nel Golfo del Messico e, soprattutto, grazie ai circa 10mila nuovi pozzi annuali di shale, Pemex ha perforato solo cinque pozzi all'anno nelle acque profonde del Golfo e i suoi piani annuali per il shale sono di appena 140 pozzi" commenta Kreuze. E poi c'è il timore della corruzione e del clientelismo: oggi Pemex è anche una grande macchina politico-clientelare, che monopolizza il mercato messicano. "Amministrando l'abbondanza e gli alti prezzi del mercato, negli anni 70 il Governo del PRI moltiplicò allora la burocrazia e si imbarcò in progetti di sprechi, contrasse grandi debiti esteri e condusse il Paese alla bancarotta e alla disastrosa svalutazione del peso, nel 1982" scrive Kreuze. Nell'opposizione alla riforma si mescolano idiosincrasie del nazionalismo, timori che i benefici, come sempre, non tocchino ai messicani ma alle oligarchie, che il prezzo finale di eventuali corruzioni e sprechi sia ancora una volta pagato dal popolo e non dai colpevoli. Tocca al Governo di Peña Nieto dimostrare che stavolta sarà diverso e che Pemex sarà trasformata, come promette il sito web che spiega la Reforma Energética, in una macchina per lo sviluppo del Messico, rispettosa dell'ambiente e artefice del miglioramento delle condizioni di vita dei messicani. Le premesse storiche del PRI non sono a favore delle promesse del giovane presidente, ma è anche vero che Peña Nieto si trova davanti a problemi giganteschi, a una corruzione che è ben inserita nell'apparato dello Stato, a disuguaglianze sociali che minano ogni tentativo di sviluppo.  Gli si potrebbe dare una chance, ma al momento molti messicani non sembrano disponibili e alla loro voce di protesta si è unita quella di molti intellettuali e artisti famosi, volti del cinema e delle telenovelas, tra cui Gaél Garcia Bernal, Diego Luna, Bárbara Mori, Edith González, Demián Bichir, Eugenio Derbez, Javier Sicilia, Hector Bonilla. Insieme hanno lanciato un movimento, El Grito más fuerte, che considera petrolio ed elettricità strategici per il futuro del Paese. Il nome del movimento significa Il Grido più forte, una frase che ha un doppio senso, grazie alla G maiuscola: la lotta per l'indipendenza messicana ebbe inizio grazie al Grido di Dolore lanciato dal prete Miguel Hidalgo y Costilla, che viene ripetuto a ogni anniversario dell'Indipendenza, il 15 settembre, dallo stesso presidente messicano, dal balcone del Palazzo Presidenziale, sullo Zócalo di Città del Messico. Dunque ne Il Grido più forte c'è tutta un'idiosincrasia nazionale che è alla base del rifiuto della riforma di Peña Nieto.
Il gruppo chiede che la Riforma dell'Energia sia sottoposta a referendum popolare e che il suo risultato sia un obbligo per le autorità nazionali. Per questo lancerà nei prossimi giorni un sito web, elgritomasfuerte.mx, da cui lancerà una petizione online, per raccogliere 2 milioni di firme, per la richiesta del referendum, e fornirà le informazioni sulle ragioni del suo rifiuto alla riforma.


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