La riforma della scuola

Creato il 30 maggio 2015 da Albix

Il mio blog non è un giornale  che si occupa dei massimi sistemi ma è solo un diario personale che racconta esperienze di vita vissuta.

Insegno negli Istituti Tecnici della scuola pubblica da  ventotto anni, in qualità di docente di discipline giuridiche ed economiche.

Nel mio primo anno di docenza ho ritrovato la scuola esattamente come l’avevo lasciata da studente un decennio prima.

Poi l’ho vista cambiare, anno dopo anno.

In certe cose è migliorata.

La mia scuola, ad esempio, ha tre laboratori di informatica, con una settantina di computers, tutti collegati ad internet e dotati dei più aggiornati programmi di lavoro (Power point, Excel, XP Microsoft, Office  e tanti altri che ora mi sfuggono).

Dal punto di vista dello studente credo che la Scuola italiana sia decisamente migliorata.

Io, che ho fatto la Ragioneria, non avevo neppure le calcolatrici e, di quando in quando, fruivo di un laboratorio di dattilografia con le vecchie macchine da scrivere Olivetti 22 (ma le ossa e i primi atti giudiziari me li sono fatti sulla macchina da scrivere portatile che il mio vecchio  aveva comprato per incoraggiarmi a divenire un bravo ragioniere.

Per gli studenti oggi è decisamente meglio.

Io ricordo i miei professori distanti, su una cattedra sopra elevata, che svettava su di una pedana alta trenta centimetri, quasi come una roccaforte inespugnabile. Distanti e inavvicinabili. Anche se molti mi hanno voluto bene ed io serbo per loro un caro ricordo di gratitudine e simpatia per quello che hanno saputo fare per me e per la mia formazione sociale e culturale.

Godevano ancora, i professori di allora (parlo del primo lustro  degli anni settanta del secolo scorso) di una certa considerazione sociale. Il rispetto degli studenti gli veniva garantito da un regolamento ferreo che risaliva agli del fascismo.

Fu contro quel terribile regolamento che  noi lanciammo i nostri strali rivoluzionari.

Io mi battei in prima persona per la democrazia in classe, per le assemblee di istituto, per il diritto alle lezioni alternative, alla palestra, alle gite scolastiche, ai laboratori di dattilografia e di calcolo. Non c’era niente, per gli studenti di allora. Solo il duro regolamento e la disciplina.

In nome di quel regolamento il preside propose al Consiglio di Classe la mia espulsione. Aveva fatto un gran casino,  pur senza mai ricorrere alla violenza. Ma la maggioranza dei professori mi apprezzava, quantomeno per ciò che avevo nei quattro anni precedenti e me la cavai con una sospensione di quindici giorni (anche grazie a mia madre che andò a supplicare i professori di salvarmi l’anno).

All’esame di maturità fui in mano all’unico commissario interno (allora funzionava così), che apparteneva alla minoranza che mi avrebbe volentieri cacciato via dalle scuole di tutta la repubblica.

Ricordo che scelsi un tema dedicato all’art. 11 della Costituzione (in forza del quale l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle contreversie internazionali ecc.).

Ero, e lo sono tuttora, un convinto pacifista.

I miei idoli, anche allora, erano Gandhi, Martin Luther King, John Kennedy e, su tutti Gesù, Il Cristo (che all’epoca ammiravo però solo come Uomo; mentre oggi sono convinto che Egli sia il Figlio dell’Unico e Vero Dio).

Il commissario che mi detestava (ma in ciò era contraccambiato, anche perchè lo avevo soprannominato Joe Vernaccia, e lui doveva averlo saputo dai soliti spioni), mi mise in cattiva luce con i commissari esterni, dipingendomi come un extra-parlamentare rosso, senza dio e senza stato, un rivoluzionario sfasciatutto e spavaldo, e chissà che altro. E aggiunse che io avevo parlato di Gesù Cristo per ingraziarmi i favori della Commissione.

Insomma questo pover’uomo non aveva capito un cavolo di me e della mia personalità. A quei tempi, insomma, era meglio chinare il capo e guardare in terra, anzichè sfidare l’autorità costituita.

Eppure io non ho mai rimpianto di avere parlato di Gesù. L’ho avuto sempre nel mio cuore sin d’allora e per lui avrei dato anche più di quel poco che mi è costato dedicare alla sua figura storica il mio tema di maturità.

In fondo volevo solo andare via da quella scuola (all’università avrei pensato solo a studiare. E così fu).  E anche quel voto con cui mi licenziarono per andava bene, dopo avere rischiato di dovermi fare un altro anno.

Per i docenti non credo che questa scuola sia meglio di quella di ieri.

I ragazzi sono indisciplinati e le famiglie spesso sono inconsistenti e/o  inesistenti, quando addirittura non ti si rivoltano contro.

Per di più,  i governi dell’ultimo ventennio,  non hanno fatto altro che tagliare i fondi alla scuola pubblica, immiserendo e mortificando la funzione docente e lasciandola decedere, sia nelle sue strutture murarie, sia nelle strutture relazionali.

I nani e le ballerine che ci hanno governato (mortadelle ed ex comunisti pentiti inclusi) ci hanno infine dipinto come incapaci e fannulloni.

Ma le eccellenze ed i cervelli italiani fuggiti all’estero chi li ha formati?

Eppure io ho lavorato (e lavoro tuttora) con enusiasmo e convinzione, nonostante tutto e nonstante i governi che si sono succeduti.

Quando entro in classe capisco che sto entrando in un microcosmo dove il mio ruolo è fondamentale, così come quello di ciascuno degli studenti a me affidati (peccato che il governo ladro ce ne affidi anche trtenta in una sola classe).

Ho cercato di realizzare la scuola che avrei voluto io: una scuola fatta di confronto, di reciproco  rispetto, di dialogo a 360 gradi e di tanta, tanta cultura (non solo giuridica ed economica).

E sono sceso dalla cattedra. Ho capito i ragazzi anche recitando con loro. Quanti pomeriggi ho trascorso a far le prove di teatro!!! E quanti viaggi, quanti premi!!!

Il lavoro di insegnante l’ho scelto io e non me ne pento.

Certo sei il governo ricordasse e capisse che siamo dei laureati e che il nostro contratto è fermo da più di optto anni, allora sì che sarebbe una buona scuola.


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