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La riproduzione del reale: una lunga storia

Creato il 26 maggio 2013 da Sulromanzo

[Articolo pubblicato nella Webzine Sul Romanzo n. 2/2013, La difficoltà dell'inizio. Il coraggio del primo passo]

Fotografia, Riproduzione del reale, Webzine, Difficoltà dell'inizio
Molte invenzioni e scoperte fondamentali nella storia dell’umanità sono nate dalla mera casualità, a volte persino mentre uno scienziato era alla ricerca di qualcosa di totalmente diverso: classico esempio è la penicillina, muffa che andò a contaminare un ceppo di batteri, coltivati da Alexander Fleming nel suo laboratorio per esperimenti di cui si è persa  traccia, mentre, da quel momento, l’umanità poté contare sul primo antibiotico.
La riproduzione fotograica del mondo non appartiene al novero delle felici invenzioni casuali, ma è il risultato di un percorso lunghissimo che si snoda nel corso dei secoli.
Si può dire che  le premesse risiedano già nell’antichità: l’uomo ha sempre cercato di riprodurre ciò che vedeva attorno a  sé, sperimentando tutte le possibili  tecniche  suggerite dalla sua inventiva, come del resto ci mostrano già i graffiti preistorici scoperti nelle grotte abitate nel Paleolitico.
I primi studi riguardanti una possibile riproduzione delle immagini attraverso la luce risalgono, però, addirittura ad Aristotele: interessandosi, come tutti i filosoi antichi, anche di problemi oggi considerati di ambito scientiico, egli nota come la luce solare, passando attraverso un’apertura, crei un’immagine circolare, la cui grandezza aumenta proporzionalmente  all’allontanamento dall’apertura stessa.
Trascorrono circa millecinquecento  anni prima che uno scienziato arabo dell’undicesimo secolo, Alhazen, si dedichi a uno studio approfondito degli effetti dei raggi luminosi, elaborando alcune teorie che il monaco Vitellione tradurrà nell’opera Opticae thesaurus Alhazeni arabis.
Ancora un paio di secoli, e negli scritti di Ruggero Bacone, nel 1267, troveremo tracce di un primo utilizzo di ciò che diventerà la camera oscura, embrione da cui nascerà la macchina fotograica.
Poco dopo, Guglielmo di Saint-Cloud, grazie allo stesso apparecchio, compirà, nel 1292, importanti osservazioni astronomiche, proiettando l’immagine del sole su uno schermo.
Ma cos’è esattamente una camera oscura? Nella sua forma più semplice, che in tanti possiamo ricordare d’aver costruito come esperimento scolastico, si tratta di una scatola chiusa, con un piccolo foro, detto stenopeico (dal greco stenos opaios,
“stretto foro”) su uno dei lati.

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