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La rivolta dei pazzi

Creato il 13 marzo 2012 da Connie

La rivolta dei pazziL’ospedale era silenzioso e nessun sospiro si udiva nei corridoi deserti. Il dottor Terence Addams pulì la manica del camice bianco con la mano e guardò in giro. Il turno di notte era come al solito noioso e piuttosto stressante. In quel vecchio edificio di periferia non si sentivano altro che scricchiolii e rumori insoliti.Guardò l’orologio da polso, un Rolex che gli avevano regalato alcuni dei suoi pazienti pochi mesi prima facendo una colletta, in occasione del suo trentottesimo compleanno.Mancava un quarto alle due. La serata era tranquilla e certamente non ci sarebbero stati problemi.Nonostante fossero già cinque anni che lavorava in quell’ospedale, continuava a odiare il turno di notte. Ogni stanza sembrava molto più lugubre e spettrale di quanto non apparisse alla luce del giorno.Passeggiava lungo il corridoio, tenendo le mani incrociate dietro la schiena. Da quando aveva cominciato a lavorare, non si era ancora abituato a quei rumori notturni, gli facevano venire la pelle d’oca.Anche se il più delle volte soffriva d’insonnia, non gli piaceva comunque passare la notte dentro un ospedale psichiatrico.Continuò a camminare lungo i corridoi, emettendo piccoli sbuffi di noia.Una delle finestre era spalancata e un soffio di vento penetrò, scompigliandogli i capelli. Anche se la primavera era alle porte e l’aria si era intiepidita, pensò non fosse proprio il caso di lasciarla aperta.Un brivido gli percorse la schiena. Terence si avvicinò alla finestra e notò che le sbarre di ferro erano sparite.Non poteva essere vero. Fino a due ore prima ricordava di averle viste, quelle sbarre, l’ultima volta che si era affacciato sul giardino.Cominciò a pensare che qualcuno dei pazienti avesse sfruttato l’occasione per darsela a gambe così gli venne la tentazione di controllare ogni camera.Nel suo ospedale, da parecchio tempo, i medici di comune accordo avevano deciso di lasciare ampia libertà ai pazienti: nella saletta comune potevano dipingere, disegnare, guardare la tv e giocare a scacchi senza essere pedinati come facevano nelle altre strutture mediche.Doveva risolvere il problema della finestra perché se avesse scoperto che uno dei pazienti era scappato, lui e tutti gli altri colleghi avrebbero passato dei seri guai.Affrettò il passo e si diresse verso la stanza della dottoressa Malcolm. La trovò impegnata a guardare una stupida telenovela in videocassetta con una delle pazienti, Ursula: una schizofrenica ossessionata dalle medicine. Ne voleva a ogni ora del giorno e più di una volta era finita sul lettino del pronto soccorso. Aveva subìto più lavande gastriche lei, che tutti i pazienti dell’ospedale messi assieme.Se trascorreva un’ora soltanto senza prendere almeno una pillola, dava di matto. Aveva una predilezione per i calmanti e i lassativi.Terence Addams entrò, e anche in quella stanza notò qualcosa di strano: Ursula sembrava piuttosto agitata.Le si avvicinò e venne bloccato da un’insolita sensazione di sgomento: i tratti del viso della sua paziente sembravano in un certo modo alterati.«Le hai dato qualche medicina prima di metterla a letto?» chiese lui alla collega. «Perché non è a riposarsi?La dottoressa Malcom sulle prime non rispose. Poi sbottò infuriata «Mi ha fatto impazzire per tutta la sera. Ho dovuto darle tre sedativi prima che la smettesse. Un giorno o l’altro diventerò pazza anch’io!»Prese due aspirine dalla scatola sopra il tavolo e le sciolse in un bicchiere d’acqua. Subito dopo, ingoiò anche una pillola per dormire.Terence sorrise. «Un altro paziente è proprio quello che ci serve qua dentro… Cerca di controllarti. Falla rimanere altri cinque minuti e poi rispediscila a letto. Sembra distrutta.»La collega annuì ma i suoi occhi sembrarono fuori dalle orbite, evidentemente Ursula le aveva dato parecchio da fare prima che arrivasse lui.Terence uscì dalla stanza e continuò il suo giro.Mentre ancora camminava nel corridoio, gli venne incontro il dottor Brown. Accanto a lui c’era Clark, un piromane che avrebbe finito i suoi giorni dentro quell’ospedale, un caso disperato.Clark era entrato dopo aver dato fuoco al suo appartamento in centro. Nell’incendio era morta la moglie, un mese dopo che si erano sposati.Il dottor Brown stava fumando una sigaretta. Nell’altra mano teneva un accendino e non faceva altro che accendere e spegnere la fiamma, soffiandoci sopra. Era un passatempo piuttosto irritante.«Ma santo Iddio, Tom!» lo rimproverò Terence. «Spegni subito quella cicca, ti ho già detto che non si fuma in corsia. Siamo in un ospedale, per la miseria! Un po’ di educazione!» Poi aggiunse, guardando Clark con la coda dell’occhio «E soprattutto… proprio accanto a lui! Non dovrebbe vedere neppure una scintilla e tu gli fai questo stupido giochetto con l’accendino!«Non ne ho potuto fare a meno» rispose il dottor Brown. Sembrava nervoso e le sue mani tremavano. «Non riuscivo a dormire e se non fumo qualche sigaretta non resisto in questa gabbia di matti!»Quando Terence osservò Clark da vicino, anche questa volta vide qualcosa che non andava, i suoi occhi erano vitrei e spiritati.«Ti senti bene?...» gli chiese.Era davvero una domanda stupida ma non era riuscito ad astenersi, notando quanto quell’uomo sembrasse fuori di sé.Clark tremò ma non rispose.«Gli ho dato qualche calmante» spiegò il dottor Brown. «Era un po’ su di giri, fino a qualche momento fa.»Terence sospirò e decise che era meglio controllare le camere di tutti i pazienti. Percorse l’ala femminile.Entrò nella prima stanza e vide uno dei letti vuoti: era il letto di Claire, una donna affetta da una grave forma di bulimia nervosa. Mangiava veramente di tutto e rubava il cibo anche agli altri, scatenando risse che si ripetevano a ogni pasto, poi correva verso il primo water che le capitava davanti e vomitava anche l’anima.Terence si precipitò in bagno ma non appena entrò, si bloccò sorpreso. Non c’era Claire china sul lavandino a dare di stomaco ma la sua collega, la dottoressa Lewis.Vomitava ininterrottamente e Claire la fissava immobile, con lo sguardo fisso sullo specchio, imbambolata e quasi addormentata.«Ti avevo detto di lasciar perdere il gin» le disse Terence porgendole un fazzoletto di carta.«Accidenti, devo essermi presa una sbronza pazzesca con i ragazzi!» commentò la dottoressa. «Devo mettere qualcosa nello stomaco, prima che l’alcool voglia ancora farsi strada tra le mie budella...»A quel punto lei infilò la mano in tasca e tirò fuori un paio di tramezzini al prosciutto, formaggio, pomodoro e lattuga. Quando la dottoressa però alzò il viso dal lavandino, Terence quasi non riconobbe il suo volto: era madido di sudore, e deformato dalla nausea.Quella sera ogni suo collega sembrava avere qualcosa che non andasse, ognuno sembrava stare male, in modo diverso.Il dottor Addams decise che era il momento di visitare anche l’ala maschile. Si incamminò e raggiunse la stanza di Bob, il più pericoloso dei suoi pazienti.Soffriva di scatti d’ira incontrollati.Era stato ricoverato dopo aver ucciso il proprio padre, durante una lite. Da quando si trovava lì non era migliorato, tanto che a volte dovevano legarlo con le cinghie al letto per evitare che si ferisse, o che facesse male agli infermieri.Quando attraversò la porta della camera, Terence si bloccò.Il suo collega, il dottor Smith stava tenendo Bob per il colletto del pigiama, lo strattonava e lo insultava, imprecando.«Ma cosa state facendo?» Terence accorse e li divise, chiedendo spiegazioni. Allontanò il collega, spingendolo verso il muro. Quello però ripartì all’attacco, ancora più violento di prima.Terence si infilò al centro e li allontanò l’uno dall’altro.«Questo pazzo mi ha aggredito!» spiegò il dottor Smith. «Quando ho cercato di fargli l’iniezione, mi ha morso il braccio, e dopo, mi ha preso a pugni.»«Santo cielo!» commentò Terence. «Ma che succede stanotte?...»Fissò Bob negli occhi e lo vide diverso. Non sembrava più il paziente che aveva conosciuto: i suoi occhi erano sgranati e spiritati, come se fosse posseduto.«Bob, va’ a dormire.» Terence lo prese per un braccio, lo fece sdraiare sul letto e lo coprì con il lenzuolo che odorava di candeggina.Bob non reagì e rimase supino, con gli occhi fissi verso il soffitto, completamente inebetito.Terence si tenne il capo con la mano. Distrutto, si avviò verso l’uscita dell’ala maschile e andò a chiudersi nel suo studio.Aveva bisogno di un paio di minuti di assoluta calma, per riprendersi. Tutti quella notte erano stranamente agitati, sia i dottori che i pazienti.Dopo aver chiuso la porta a chiave, si sdraiò sul divano. Un pisolino di mezz’ora non gli avrebbe fatto male dopo quella nottata. Si addormentò e non udì più nulla dentro l’ospedale.Le camere sprofondarono nel silenzio.Solo dopo un paio d’ore cominciò a udire dei rumori che provenivano dal corridoio. Erano dei passi. Numerosi passi.Terence si alzò, riabbottonò il camice e rimase in ascolto.I passi proseguivano verso di lui, e ogni secondo che passava si facevano sempre più pesanti e affettati. Ad un tratto, udì bussare alla porta del suo ufficio.«Sì?...» Cercò di capire chi fosse.«Apri» ordinò la voce.L’aveva riconosciuto subito. Era Todd, il più anziano dei suoi pazienti. Soffriva di schizofrenia acuta. Alternava momenti di lucidità a momenti di completa pazzia, in cui credeva di essere un genio della scienza. A volte lo aveva scoperto mentre con il pennarello sperimentava formule astruse, scrivendole su tutti i muri della sua stanza.«Cosa vuoi?» chiese Terence, provando una leggera apprensione.«Non puoi stare lì» rispose Todd. «Devi stare con noi.»Cos’era accaduto? Dove erano i suoi colleghi? La dottoressa Malcolm, il dottor Brown, e gli altri?Terence cominciò a preoccuparsi. Tutti i pazienti erano fuori dalle loro stanze, quando avrebbero dovuto essere a letto.«Chi c’è con te, Todd?» volle sapere Terence.«Ci sono Ursula, Clark e tutti gli altri» rispose lui. La sua voce era agitata e frenetica. Il dottore udì gli altri dimenarsi dietro la porta e cominciò a temere il peggio. «Dove sono i medici?» chiese teso.«Li abbiamo già sistemati. Ora tocca a te, dottore.» Todd pronunciò l’ultima parola con accento allusivo e la sua voce vibrò, completamente in balìa della rabbia.Terence sapeva che si sarebbe potuta verificare un’eventualità del genere e per questo motivo aveva scelto proprio quella camera per i suoi riposini notturni. Da una porta secondaria poteva accedere al corridoio e scappare senza essere visto.Todd e gli altri bussarono ancora con insistenza, e lui decise che la cosa più appropriata da fare in quella circostanza fosse chiamare la polizia.Aprì la porta di servizio, cercando di fare il meno rumore possibile e sgattaiolò fuori. Quando uscì nel corridoio, vide la folla che premeva per entrare nel suo ufficio; avevano indossato dei camici bianchi, come quelli dei suoi colleghi dottori.Erano tutti i pazienti. Avevano preso il controllo dell’intero ospedale.Dov’erano gli altri medici? Cosa gli avevano fatto?Terence Addams si allontanò con lentezza, procedendo all’indietro, ma qualcuno lo vide.«Vuole scappare!» urlò Claire.«Prendiamo, maledizione!» concluse Bob.Dopo queste parole, Terence comprese che la situazione si era del tutto capovolta, e che se ne voleva uscire incolume doveva per forza darsela a gambe.I pazienti gli corsero dietro. Erano furenti e del tutto esaltati.Terence cercò di aprire una finestra ma la trovò sbarrata. Corse verso la porta, ma era chiusa. Cercò all’interno della tasca del camice il mazzo di chiavi ma non lo trovò. Qualcuno lo aveva preso, senza che lui se ne accorgesse.Iniziò a tremare dalla paura, per il terrore che gli potesse accadere qualcosa di veramente grave.Si mise a correre per i corridoi illuminati dalla scarsa luce dei neon, le lampade di sorveglianza nelle ore notturne. I pazienti lo inseguivano e le urla si perdevano dentro l’ospedale deserto.Tutti i dottori e gli infermieri erano svaniti nel nulla e Terence non osò immaginare in che condizioni fossero, se quei matti li avevano presi.Corse ancora, deciso a trovare un’uscita. Poi si ricordò della finestra senza sbarre. Doveva tornare indietro per raggiungerla, ma prima naturalmente doveva seminare la folla che lo inseguiva.Entrò in uno degli ambulatori e si nascose sotto il tavolo. Trattenne il respiro e aspettò. Da dietro la porta udì l’avvicinarsi dei passi.Il gruppo si era fermato proprio dietro quell’uscio. Pregò che non udissero i battiti accelerati del suo cuore e attese ancora.Tutto quello che sentì, furono frasi senza senso.«Dobbiamo trovarlo, non ha idea di quello che sta facendo.»«Bisogna metterlo con gli altri.»«Si è nascosto per non farsi trovare. Vuole fuggire.»Terence non riuscì a trattenere un sospiro d’ansia e cercò di immaginare cosa fosse accaduto. Com’era possibile che dei pazzi avessero preso controllo dell’ospedale? Com’era possibile che i suoi colleghi lo avessero permesso?Quando il dottor Terence Addams avvertì i passi farsi sempre più lontani, uscì dal tavolo. Aprì la porta lasciando solo un piccolo spiraglio e sbirciò fuori.Non vide nessuno, così decise di scappare.Doveva saltare dalla finestra senza le sbarre, anche se era al secondo piano. Non appena avanzò però, risentì le urla dei suoi pazienti.«Eccolo lì!»«Prendiamolo, prima che riesca a scappare!»Corse a perdifiato e raggiunse la finestra. Saltò cavalcioni sul davanzale e guardò il giardino sotto l’ospedale.Fortunatamente, la grondaia risaliva dal terreno fino al secondo piano e lui era sempre stato un tipo piuttosto atletico. Si aggrappò alle piante robuste ma non appena si ritrovò appeso al muro, decine di mani sbucarono dalla finestra e cercarono di afferrarlo, agitando convulsamente le dita.Si calò in fretta e furia dalla grondaia e scappò attraverso il giardino. Tastò le tasche dei pantaloni con affettazione e sussultò: gli avevano preso anche le chiavi della macchina, sarebbe dovuto andare a piedi.Attraversò la vegetazione e nella penombra, intravide delle ombre che lo inseguivano. I suoi pazienti. I pazzi.Quando Terence raggiunse il cancello d’ingresso, si fermò per riprendere fiato. Doveva scavalcarlo.Facendo affidamento solo sulle sue gambe, si arrampicò come un gatto. Saltò dall’altra parte e fuggì nella notte, mentre sentiva armeggiare con la serratura.«Apri questo dannato cancello!»«Non vedo niente con questo buio, stai zitta!»«Quello se ne sta andando! Dove lo andremo a riprendere adesso?»Terence Addams corse a perdifiato, finché l’ospedale non sparì dietro di lui. Gli sembrava di aver vissuto un incubo. Era riuscito a scappare per miracolo.Adesso però, doveva avvisare la polizia. Non poteva lasciare quei pazzi in libertà, dentro il suo ospedale. E poi, era molto preoccupato per i suoi colleghi, forse li avevano rinchiusi da qualche parte, li avevano drogati o peggio...Solo quando raggiunse la strada che portava in paese, si rese conto che il suo camice era strappato. Aveva delle ferite, sulle braccia e sulle gambe, dovute forse all’irrefrenabile corsa attraverso il giardino.Venne divorato dalla voglia di tornare a casa, e riabbracciare sua moglie e suo figlio. Stremato dalla fatica della corsa e soprattutto dalla paura, Terence si accasciò a terra, sedendosi sul ciglio della strada.In un attimo, perse tutta la lucidità che aveva mostrato fino a quel momento. Non ricordò neppure quale fosse il suo indirizzo, né quale strada percorrere per raggiungere la propria abitazione. Non era da lui lasciarsi prendere dal panico in quel modo, doveva essere davvero sotto shock.Forse sarebbe finito anche lui in psicanalisi, ma per il momento la cosa più importante era risolvere quella situazione.Ricominciò a correre per le strade e dopo una buona mezz’ora, raggiunse casa sua.Bussò alla porta come un forsennato.A quell’ora sua moglie si sarebbe certamente spaventata, vedendolo piombare così, nel cuore della notte, con il camice ridotto a brandelli e i capelli arruffati.«Sì?» Un viso si affacciò dallo spiraglio della porta.«Tesoro, sono io! Fammi entrare, devo chiamare la polizia!»La moglie lo fissò, spalancando gli occhi. «Ma chi è lei? Cosa vuole a quest’ora della notte?...»Terence sbraitò furioso «Dio mio, Anne! Apri questa dannata porta! Non è il momento di scherzare!»«Se ne vada, o chiamo la polizia!» urlò lei terrorizzata. «Io non la conosco!»Terence sbatté i pugni sul portone. «Certo! Devi chiamare la polizia! All’ospedale è successa una cosa orribile… Aprimi, così ti posso spiegare tutto!»«Ma la conosco?» La donna lo fissò con terrore. «Cosa vuole, insomma? Forse, adesso che ricordo…»A quel punto, Terence Addams non riuscì più a trattenersi. Qualcosa scattò dentro di lui. Diede uno spintone alla porta e fece cadere all’indietro la moglie. Appena entrò in casa, le saltò subito addosso, inchiodandola al pavimento.«Tesoro! Anne! Sono io, tuo marito!...» cercò di bloccarla sotto il peso del suo corpo.«Mi lasci! Mi lasci!... Aiuto!» Sua moglie strillò fino a rimanere senza fiato. Si agitò e fece cadere il portaombrelli, colpendolo con un piede. Prese d’impulso uno degli ombrelli e lo colpì al capo.Nella casa vicina, le luci si accesero.Terence fu preso dal panico, lasciò la moglie sul pavimento e scappò via. Rimase tutta la notte fuori, spaventato oltre ogni dire.Non sapeva cosa fosse accaduto, né tanto meno perché sua moglie avesse fatto finta di non riconoscerlo. Stava davvero succedendo qualcosa di spaventoso.Terence girovagò nel suo quartiere in preda al delirio, infine quando non ne poté più dalla stanchezza, si rifugiò dentro un giardino.Si nascose dietro un albero e aspettò, per vedere cosa sarebbe accaduto. Non aveva più la forza di andare avanti, sentiva le gambe pesanti come piombo e la testa gli girava. In pochi secondi, si appisolò, poggiato contro il fusto dell’albero.Quando Terence si svegliò, era già mattino.Sbatté gli occhi ancora assonnati, sperando si fosse trattato solo di un brutto sogno, ma sapeva che non era così.Mentre osservava i suoi vicini di casa uscire per andare a lavoro, vide una persona che conosceva molto bene. Suo figlio Chuck. Stava andando a scuola.Lui lo avrebbe certamente riconosciuto.«Chuck! Chuck!» gli corse incontro.Il ragazzo lo osservò con occhi interrogativi, come se non si ricordasse affatto di lui.«Sono io, tuo padre!» Terence lo prese per le spalle e lo scosse con violenza.Il ragazzino cominciò a urlare. «Mi lasci stare! Mi lasci! Chi è lei? Aiuto!»Alcuni dei vicini accorsero e Terence anche questa volta fu costretto a scappare. Corse lungo il viale principale, mentre il camice sgualcito gli ciondolava lungo le gambe.«Sta cercando qualcuno? Che cosa ci fa qui?» gli chiese una voce. Era il signor Wilson, il suo vicino di casa. Quasi ogni sabato andavano a giocare a bowling.Terence corse ancora, finché non uscì dal suo quartiere.In una notte soltanto, dopo che si era addormentato nel suo studio, tutto il mondo era cambiato. Lui non esisteva più. Tutti si erano dimenticati di lui.Poi un pensiero lo scosse. Qualunque cosa fosse successa, la soluzione era dentro quel manicomio e solo i suoi colleghi potevano dargli una spiegazione.Era una follia, ma doveva ritornare all’ospedale psichiatrico.Mentre pensava questo, una macchina della polizia gli si fermò accanto. Gli agenti uscirono dall’auto e gli bloccarono le braccia dietro la schiena.«Signor Todd Watson» disse uno. «Rimanga calmo. Siamo qui solo per aiutarla.»Terence rifletté, per quanto difficile gli venisse in quel momento.Todd. C’era lui dietro tutta quella storia. L’avevano scambiato per Todd, il suo paziente. L’uomo che all’ospedale aveva guidato la rivolta dei pazzi contro i medici.«No! No!» urlò diretto ai due poliziotti. «Io sono il dottor Addams! Non sono io Todd! Dovete credermi! I pazienti hanno preso il controllo del manicomio, hanno sequestrato i miei colleghi e hanno cercato di rapire anche me…»«Sì, sì, ha ragione…» commentò uno dei poliziotti.Era lo stesso tono che lui, Terence, usava con i suoi pazienti quando davano i numeri.Credevano che fosse lui il pazzo.«Ma siete degli imbecilli! Dovete credermi!» sbraitò furente.«Modera il linguaggio, pazzoide» rispose uno degli uomini.Lo ficcarono a forza dentro l’auto e chiusero le portiere con la sicura.«Stamane hanno denunciato la tua fuga» spiegò uno degli sbirri mentre procedevano lungo la strada. «Il tuo medico, il dottor Addams, ti aspetta.»Terence non riuscì a credere alle proprie orecchie. Era lui il dottor Addams!... Chi si stava spacciando per lui? Cosa gli avrebbero fatto quei pazzi, una volta dentro il manicomio?La macchina proseguì e quando la figura austera dell’ospedale si stagliò davanti al parabrezza, Terence si agitò cercando di far scivolare le mani fuori dalle manette. «State facendo un errore! Sono io il dottore! Sono il dottor Addams!»Il cancello era aperto. Todd e gli altri pazienti erano lì davanti, e tutti indossavano un camice medico.I due poliziotti lo fecero uscire dall’auto, tirandolo per le braccia bloccate dietro la schiena.«Maledetti!» urlò Terence furente. «Come avete osato fare questo? Maledetti pazzi!»«Grazie per averlo riportato» sorrise Todd, vestito da dottore. «Ci ha dato problemi per tutta la notte, fino a quando non è scappato… Grazie davvero. Chissà cosa avrebbe potuto combinare, a piede libero per la città…»«Non c’è di che, dottor Addams» risposero gli sbirri.«No! No!» Terence si agitò ancora di più, cercando di fuggire. «Non ascoltatelo! Sono io il dottor Addams, non lui! Sono loro i pazzi! Hanno rubato i camici dei dottori dopo averli drogati! Li ho visti stanotte! Tutti i miei colleghi sembravano drogati!...»«Todd, sono la dottoressa Malcom. Non mi riconosci?» Era stata Ursula a pronunciare queste parole. La donna che inghiottiva psicofarmaci e lassativi come fossero caramelle.«Grazie, agenti» concluse Clark, il piromane. Stava fumando una sigaretta, soffiando il fumo con gusto dalle narici. «Io sono il dottor Brown e, assieme al dottor Addams, mi prenderò cura di lui.»A questo punto si fece avanti Claire, la donna che soffriva di bulimia nervosa. «Todd, non riconosci neanche me?... Sono la dottoressa Lewis.»«Maledetti pazzi, ve la farò pagare per tutto questo» fu la risposta di Terence.Gli altri si guardarono e qualcuno tirò fuori una siringa, che aveva accuratamente tenuto dietro la schiena, per ogni evenienza.Terence venne bloccato. Scalciò e si dimenò ma non riuscì a liberarsi, finché l’ago non sprofondò dentro l’incavo del suo braccio. Perse i sensi e non percepì più nulla. Era caduto dentro un sonno profondo e senza sogni.Parecchio tempo dopo, Terence Addams si ritrovò sopra un lettino, in una stanza dell’ospedale. Era sdraiato, e il suo corpo era intontito e pesante come un sacco di patate.Cercò di alzarsi ma non ci riuscì. I polsi e le caviglie erano legati da cinghie di cuoio. In pochi attimi ritornò lucido, o quasi.Sopra di lui riconobbe il viso di Todd e di Claire.«Che cosa vi è saltato in mente?» urlò infuriato. «Adesso è ora di finirla con questo stupido scherzo! Liberatemi immediatamente e farò finta che non sia accaduto nulla!»«Stai calmo, andrà tutto bene.» Todd gli accarezzò i capelli sporchi.Terence si guardò schifato. Gli avevano tolto i vestiti e il camice, e indossava uno dei pigiami che loro davano ai pazienti.«Che ne avete fatto degli altri dottori?» chiese fuori di sé.«Siamo noi i dottori» rispose Claire con un grande sorriso.Terence a questo punto cominciò di nuovo a urlare. Claire guardò Todd e lui gli fece un’altra iniezione, facendolo sprofondare ancora nel mondo dei sogni.Terence Addams non fu in grado di dire quanto tempo fosse trascorso, né tanto meno cosa gli avessero fatto mentre era privo di sensi. Quando si svegliò, si rese conto che potevano essere trascorse anche settimane.Anche questa volta, si ritrovò davanti Todd, che adesso fingeva di essere lui. L’uomo che gli aveva rubato l’identità.«Come ti senti oggi?» gli chiese l’uomo in camice.«Perché mi hai fatto questo, Todd? Io non ti ho mai fatto mancare nulla. Ti ho sempre dato molta libertà. A te e a tutti gli altri…»«Non hai ancora compreso quello che è successo?» gli chiese l’altro.Terence cercò di alzarsi ma non ci riuscì. «Che vuoi dire?»«Sono io il dottor Terence Addams. Tu sei Todd Watson» rispose.«No, non è vero… non è possibile, stai mentendo!»L’uomo in camice proseguì «Todd, tu sei qui da cinque anni oramai. Hai sempre sofferto di disturbo bipolare della personalità. Hai… sempre creduto di essere un medico. E noi te l’abbiamo lasciato credere, mentre eri sottoposto alla terapia. Finché la tua malattia non è degenerata, suggestionandoti a tal punto da credere di essere veramente un dottore… Quando quel giorno hai tolto le sbarre alla finestra, abbiamo capito che questo gioco doveva finire… Era ora di rimetterti al tuo posto.»«Non posso crederci! Non è possibile!» Terence si guardò il polso. Aveva ancora il suo orologio. «E questo allora? Si è mai visto un pazzo con un Rolex al polso?...»«Quell’orologio è mio infatti» annuì l’altro. «Te l’ho fatto portare fin ora come segno della mia fiducia. E una volta ti ho anche invitato a cena, a casa mia. Per questo ti sei ricordato dove abitavo. E mia moglie Anne, anche se all’inizio non ti ha riconosciuto, dopo che sei scappato ha chiamato la polizia.»Sospirò, poi proseguì. «Più passava il tempo, più credevi di essere me… finché non ti sei convinto del tutto. E la tua mente ha deciso di scambiare i nostri ruoli.«Ma com’è possibile? Allora i miei colleghi dottori?»«Sono gli altri pazienti dell’ospedale. Per supportare il tuo delirio, hai fatto di loro i medici. E hai reso i dottori invece, i tuoi amici malati…»Lui urlò senza controllo, sgranando gli occhi. «Vorresti dire che i dottori siete tu, Ursula, Claire… e tutti gli altri? E che ho invertito i vostri nomi e i vostri ruoli di proposito?» Il dottore annuì.«È assurdo! Non ci crederò mai! Non può essere vero! Voi siete i pazzi, e avete preso possesso del manicomio, spacciandovi per dottori!»L’uomo in camice sospirò e si portò una mano sulla fronte.Infine si alzò rassegnato dalla sedia e lasciò Todd Watson o Terence Addams dentro la stanza, legato al letto, mentre ancora urlava di non essere pazzo.

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