Fine del 1642: dopo anni di diatribe tra sovrano e Camere, realisti e parlamentari si scontrarono sul campo. La vittoria sembrava appartenere ai seguaci di Carlo I, finché il puritano Oliver Cromwell giunse dalla campagna per scuotere le sorti dell’Inghilterra: il Fronte di Ferro debellò per sempre i mercenari del re.
14 luglio 1789: con Parigi alla mercé di un popolo delirante, un migliaio di parigini attaccò la Bastiglia, facendo crollare uno dei pilastri dell’Ancien Régime: ora che i piccoli lo sapevano, la Rivoluzione poteva dirsi iniziata.
Una questione di ideali
Due delle più grandi rivoluzioni della Storia, due re in fuga, due diversi destini: le condizioni non bastano, ci vogliono gli ideali.
Non di rado si è tentata una ricostruzione delle cause che accomunano le più sanguinarie rivoluzioni e i più definitivi sconvolgimenti: essi sorgono da uno scontro di interessi, da un antagonismo di opinioni e dall’aggiunta inopportuna di un peso al piatto di quella stadera che fino ad allora aveva mantenuto un equilibrio nato instabile, ma solido sul suo baricentro inesistente. Platone ci perdoni se affermiamo che lo Stato ideale non è mai esistito e non esisterà mai: i governi sono costruiti sul temporaneo bilanciamento tra richieste differenti, che porta alla ricerca di un compromesso fra tornaconti distinti. L’ideale esula dall’umano.
La rivoluzione nasce nelle corti, tra i banchi del parlamento e trova manifestazione nella piazze, al centro delle strade e nei sobborghi cittadini. Non c’è rivoluzione se l’élite non la vuole: come per qualunque altra evenienza, chi è al potere apre le danze. Quando una delle parti contendenti vede violare i diritti di quella supremazia che essa stessa si era creata, allora si appoggia alla folla, fomenta le masse: ricorda al popolo le sue rivendicazioni e, ottenuti i giusti consensi e selezionati i nomi dei futuri martiri, si dà inizio alla rivoluzione.
La guerra civile inglese
Oliver Cromwell, l’uomo che mise in scacco il Re d’Inghilterra
Ma per mettere in atto dei piani degni dell’aggettivo “rivoluzionari” e guadagnarsi almeno un capitolo nei libri di storia degli anni a venire, non è sufficiente individuare due fazioni e scatenare delle guerre che sconvolgano un intero Paese. Ed ecco che si arriva al nostro punto: Roundheads contro Knights. Gli scontri tra partigiani del re e partigiani del parlamento rendono quella inglese una guerra civile più che una rivoluzione. Certamente, le loro dispute a livello fiscale e governativo possono assomigliare alle condizioni che stanno alla base di una rivoluzione vera e propria e Oliver Cromwell si cela facilmente dietro alla maschera di leader che fomenta le masse, ma la realtà assume forme diverse. Non sarebbe assurdo considerare le Teste Rotonde e i Cavalieri sopracitati come due fazioni contrapposte che si misurano in una guerra civile, in cui Cromwell sarebbe soltanto un rivoltoso e non un rivoluzionario e in cui la condanna a morte del re sarebbe vista come la conseguenza di un colpo di Stato durato degli anni. La fine della prima fase degli sconvolgimenti inglesi è segnata dall’esecuzione di Carlo I, quando il 30 gennaio del 1649 la Banqueting House vedeva il sovrano appoggiare il collo sul ceppo del boia, la mannaia alzarsi e una testa cadere: chi aveva combattuto per condannare un “traditore del popolo”, accusato di aver introdotto un “governo arbitrario e tirannico”, aveva appena consegnato l’Inghilterra nelle mani di un dittatore.
Il segno distintivo di una rivoluzione è il fatto che essa porti delle conseguenze che durano per sempre, o almeno fino all’inizio di un successivo sovvertimento. La più antica monarchia europea è stata fatta tremare, ma non ha mai visto il suo tracollo: la condanna a morte del re chiuse il sipario sul palco delle agitazioni iniziate nella prima metà del XVII secolo, non ne scandì la nascita. Proclamata la repubblica, iniziò la dittatura di Cromwell, la cui carica di Lord Protector venne ereditata dal figlio Richard, convinto a rinunciarvi proprio da quel parlamento che ne aveva apprezzato l’immensa potenzialità. Dopo tali premesse, non sorprende il fatto che nel 1660 Carlo II venne messo sul trono da un ex “rivoluzionario”, il generale Monck. Da qui viene naturale interpretare i disordini del 1642-1660 come un susseguirsi di insurrezioni temporanee, che hanno portato alla prima legale condanna a morte di un re inglese. Ma quanto avvenuto è stata una macchia sull’eternità del sistema monarchico che ancora oggi regna sull’Inghilterra: una gola tra due regni, che ha visto l’imposizione di un dittatore a cavallo tra due monarchie. Una guerra civile ha posto fine alla sovranità di un re e si è spenta al sorgere di una seconda monarchia, che riprendeva il suo corso da dov’era stato interrotto, per diritto di sangue e di nascita.
La rivoluzione francese
Una vera rivoluzione si deve distinguere dai tumulti che sconvolgono le nazioni, dai colpi di stato che portano a conseguenze temporanee e dalle comuni ribellioni soffocate nel sangue: deve essere una rivoluzione degli ideali. La rivoluzione francese fu esattamente questo: non portò rovesciamenti di opinioni come potrebbe essere automatico credere, ma fu essa stessa la conseguenza di quelle rivisitazioni di pensiero che popolavano già da tempo le opere dei più grandi pensatori dell’Illuminismo. Le nuove visioni del mondo e dello stato e la progressiva accettazione delle teorie sociali che ponevano l’uomo al centro dell’universo, detronizzando dio dal ruolo che aveva sempre ricoperto, si concretizzarono nella lotta contro l’oscurantismo clericale. Queste torce accesero le micce della Rivoluzione Francese e si manifestarono in essa e in seguito ad essa in modo permanente. La Rivoluzione Francese fu un mutamento culturale, sociale, ideale, di pensiero e quindi di azioni: la riunione degli Stati Generali del 5 maggio dell’89 e la venuta alla luce del Terzo Stato diedero al popolo il consenso di sollevarsi. La rivoluzione non consistette nella presa della Bastiglia, ma nel fatto che parte del clero e della nobiltà avessero appoggiato la borghesia, coinvolgendo la popolazione ad ogni livello, politico e sociale. La Rivoluzione Francese fu la picca che trapassò la testa mozzata del comandante della Bastiglia, i lampioni a cui vennero impiccati i nobili controrivoluzionari e il correggiato contadino che avrebbe punito chiunque non avesse giurato fedeltà alla nuova costituzione repubblicana. Diversamente dal caso inglese, il ghigliottinamento di Luigi XVI del 1793 avvenne nel cuore della rivoluzione e fu rappresentativo della vittoria della nuova era sull’Antico Regime che aveva governato il mondo fino a quell’istante.
Una rivoluzione è il cambiamento di ideali e filosofie, la proclamazione di nuove verità che soppiantino le precedenti e la conseguenza di mutamenti culturali che si radicano nella mente delle nuove generazioni. Ecco che si comprende perché quella francese, con i suoi scandali e rappresentanti politici e filosofici – Rousseau, Voltaire, Montesquieu, Robespierre – sia definita madre di tutte le rivoluzioni. Sulla base degli stessi ragionamenti ci si dovrebbe limitare a conferire a quella nota come “rivoluzione inglese” l’appellativo di guerra civile, magari riconoscendole il merito di aver aperto le menti dei pensatori che fecero brillare l’Età dei Lumi successiva, e di essere stata, in un’epoca in cui l’Inghilterra non era ancora pronta a separarsi dal passato, il motore di un processo rivoluzionario, ma non ancora una rivoluzione in sé.
Il “rovesciamento” di una mentalità sorta agli inizi della storia della Chiesa e consolidatasi col feudalesimo – l’Ancien Régime, in pratica – trovò fondamento in una rivoluzione durata un secolo e testimoniata dai dieci anni di caos, che hanno inumidito col sangue la terra di Francia e risvegliato le nazioni vicine.
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