Ma cosa sarebbe successo se l’energia elettrica fosse diventata davvero così diffusa e così economica da risultare virtualmente gratuita per tutta la popolazione?
Sicuramente vivremmo in un mondo diverso. Probabilmente le centrali a carbone non esisterebbero, verosimilmente anche le nostre auto, e tutti i mezzi di trasporto che oggi conosciamo, funzionerebbero a energia elettrica, così come i termosifoni delle nostre abitazioni e i fornelli delle nostre cucine. La parola “riscaldamento globale” non avrebbe alcun significato, Kyoto sarebbe un città sconosciuta ai più, i film catastrofisti come “The Day After Tomorrow” non avrebbero mai visto la luce e Al Gore non avrebbe mai vinto il premio Nobel per la pace.
Ovviamente si tratta di supposizioni, semplici fantasticherie. Ma esiste un settore in cui la previsione di Strauss si è avverata in pieno, e in cui tale rivoluzione è in atto da tempo. Mi riferisco ovviamente al comparto delle tecnologie digitali che, come non è più avvenuto in nessun altro settore dell’attività umana, ha conosciuto un’evoluzione spaventosa , ovvero un incremento esponenziale della potenza di calcolo, della capacità di storage, e dell’ampiezza di banda a cui è corrisposta, allo stesso tempo, una riduzione drastica dei costi, sempre più prossimi a quel “too cheap to meter” che Strauss paventò negli anni ’50 per l’energia elettrica.
Gordon Moore, co-fondatore di Intel, la più importante azienda produttrice di processori del mondo, aveva previsto tale incremento tecnologico in un’epoca non molto lontana rispetto a quella in cui Strauss tentò la sua profezia: era infatti il 1965 quando Moore formulò la famosa legge secondo cui le prestazioni dei microprocessori sarebbero raddoppiate ogni 18 mesi.
Moore ha azzeccato in pieno le sue previsioni. Nel 1993 Intel lanciò il processore Pentium, il primo modello aveva una frequenza di clock pari a 60Mhz, gli attuali processori di punta prodotti da Intel hanno invece frequenze di clock superiori ai 3Ghz e potenze di calcolo nemmeno lontanamente paragonabili a quelle dei loro antenati. Ciò che forse Moore non aveva previsto era un tale livellamento dei costi.
Il primo cambiamento: la potenza di calcolo.
La potenza di calcolo ha prodotto il primo drastico cambiamento nella nostra società. Quando la potenza di calcolo era estremamente limitata ogni ciclo di clock era fondamentale, ogni processo doveva essere ottimizzato al massimo. L’incremento della potenza computazionale dei calcolatori elettronici ha, al contrario, consentito ai programmatori di preoccuparsi di altri aspetti, e ha dato il via a quella che oggi viene definita “informatica personale”.
L’uomo che per primo riuscì a intuire la necessità di sfruttare la potenza di calcolo in eccesso per costruire applicazioni che semplificassero l’interazione uomo/computer fu Alan Kay, allora dipendente del centro di Ricerca della Xerox di Palo Alto. Allo scienziato americano dobbiamo l’invenzione della programmazione orientata agli oggetti (con il linguaggio Smalltalk) e, soprattutto, la progettazione e la realizzazione della prima interfaccia grafica.
Grazie a lui gli utenti iniziarono a interagire con un computer manipolando graficamente degli oggetti, invece di dover imparare lunghe e complesse sequenze di comandi da impartire con la tastiera. Il lavoro di Kay fu poi ripreso da Apple per la realizzazione del rivoluzionario (e fallimentare) “Lisa”, il primo Personal Computer dotato di GUI (Graphical User Interface); era il 1984 e proprio in quegli anni, grazie ad aziende come Commodore ed Apple nacque il “computer per le masse, non per le classi”, come amava sentenziare Jack Tramiel, fondatore di Commodore e inventore di quello che ancora oggi è considerato il computer più venduto della storia: il Commodore 64.
L’invenzione dei primi word-processor e il crollo dei costi delle stampanti resero desuete le macchine da scrivere, lentamente sparirono figure professionali come le dattilografe e le stenografe, i computer entrarono prepotentemente nelle redazioni dei giornali e negli uffici.
Il secondo cambiamento: la capacità di storage.
I primi “media” veramente semplici da utilizzare per l’immagazzinamento e il trasferimento dei dati furono i floppy disk da 8 pollici, costosissimi e in grado di memorizzare al massimo 128Kb di dati, poi sostituiti dai floppy da 5 pollici (360Kb) e infine dal floppy disk da 3,5 pollici, in grado di memorizzare fino a 1.4 megabyte di dati. Ma la vera rivoluzione iniziò con l’introduzione degli hard-disk, la cui capacità di memorizzazione passò velocemente dai pochi megabyte dei primi modelli agli svariati gigabyte dei prodotti attuali, e continuò con l’invenzione dei CD-ROM e dei DVD masterizzabili.
L’aumentata capacità di storage sta comportando la lenta e inesorabile fine degli archivi cartacei. Milioni di dati e transazioni iniziarono a essere memorizzate in dispositivi di massa non più grandi di un libro. I cd non furono più soltanto ottimi media adatti ad ascoltare musica di qualità superiore, ma anche mezzi economici grazie ai quali registrare audio di buona qualità a costi bassissimi. Le audiocassette lentamente sparirono dal mercato, i giovani artisti cominciarono a sfruttare in modo sempre più massiccio i computer, sia per la produzione delle loro opere, sia per la diffusione delle stesse, attraverso cd-audio che potevano essere riprodotti in gran numero e in poco tempo.
Il terzo cambiamento: la disponibilità di banda.
L’idea di trasmettere dati in forma digitale tra due computer posti a enormi distanze fra loro nacque molto prima di internet. Era il 21 Novembre 1969 quando i progettisti di ARPANET riuscirono a effettuare il primo collegamento tra due computer. Poi nacque internet, ma per molti anni il sistema di comunicazione digitale più diffuso furono le BBS e il network Fidonet, che in Italia fu al centro del primo caso di azione legale a tutela del Copyright, con metodi che già allora, alla conclusione delle indagini, si rivelarono inconsulti ed esagerati, colpendo persone che con la pirateria informatica avevano ben poco a che fare.
In quell’epoca per comunicare si utilizzavano modem, spesso di grosse dimensioni, la cui velocità di trasmissione variava dai 2400baud dei primi modelli ai 9600 dei prodotti più veloci. Solo nel 1996 internet divenne un successo mondiale, ma era molto diversa dall’internet che attualmente conosciamo. Le connessioni avvenivano ancora su linee analogiche, ogni minuto di connessione aveva un costo, la maggior parte dei siti internet erano composti da solo testo e la stragrande maggioranza degli individui utilizzava internet solamente per scaricare la posta elettronica. La rivoluzione avvenne con la fibra ottica e, in Italia soprattutto, con le connessioni adsl; la potenza di banda crebbe a dismisura e questo cambiò radicalmente internet, e per certi versi anche la società che conosciamo.
Grazie a internet è possibile comunicare, praticamente a costo zero e con supporti audio/video, con persone poste dall’altra parte del globo, si possono acquistare prodotti senza muoversi da casa, oppure aprire un sito internet per comunicare le proprie idee a migliaia di persone che non si conoscono, ma soprattutto è possibile diffondere, con estrema facilità, informazioni in tempo reale e a costo zero.
Musica, Film, Libri. L’evoluzione non si ferma
In realtà i tre grandi cambiamenti descritti in quest’articolo non sono nettamente distinti e separati fra loro come, per semplificazione, ho voluto lasciar intendere e, soprattutto, sono ancora in atto e in continua evoluzione.
Dopo la musica e i film ora la rivoluzione digitale ha iniziato a intaccare le certezze di mercati che solo qualche anno fa sembravano dover rimanere ancorati a logiche tradizionali.
Mi riferisco in particolar modo al mercato che più interessa i lettori di questo blog: quello editoriale.
Il mercato editoriale italiano vive da anni una profonda crisi. Pochi lettori in confronto al numero spropositato di libri stampati.
Può però sfruttare un vantaggio, ha la possibilità di fare tesoro dell’esperienza pregressa dell’industria discografia e cinematografica.
Quando nascono nuovi mercati e nuove tecnologie c’è chi si arricchisce (si vedano Apple, Amazon e Google) e chi fallisce. È un fatto imprescindibile. Aziende come Apple, ben prima delle case discografiche e dei produttori cinematografici, avevano intuito il trend, costruendo business milionari intorno a tali tecnologie.
Per quanto riguarda l’editoria il trend sembra essere lo stesso. A fare da leader sono aziende nate ex novo, non gli editori tradizionali. Amazon ha creato un impero partendo dai libri di carta, per poi passare a controllare il “gioco” con il suo Kindle. Google da un po’ di anni ha creato il servizio Google Books, che mette a disposizione interi libri gratuitamente, oppure anteprime di libri a pagamento.
La reazione dell’economia tradizionale
Ogni grande invenzione, ogni grande cambiamento, comporta la fine di qualche mestiere o di interi comparti economici. La rivoluzione digitale, forse più di qualsiasi altro cambiamento epocale, ha avuto effetti devastanti sull’economia tradizionale, anche se il risultato di tali sconvolgimenti non è ancora del tutto evidente.
Finché a sparire sono stati piccoli mestieri come quelli del dattilografo o dello stenografo, oppure servizi ormai desueti come il telegramma, la reazione è stata blanda, ma quando il cambiamento introdotto dalla rivoluzione digitale ha iniziato a intaccare gli interessi delle grandi aziende allora la reazione è diventata molto più pesante, forse anche un po’ ottusa.
La prima grande vittima della rivoluzione digitale è stata l’industria discografica. Le aziende discografiche hanno, fin dall’inizio, reagito furiosamente e ciecamente contro le nuove tecnologie digitali atte alla diffusione dei contenuti. I Presidenti di grandi colossi come Sony, Emi, Warner, invece di cogliere il cambiamento in atto e di sfruttarlo a loro favore, hanno deciso di dare battaglia, con ogni mezzo possibile, per porre freno alla diffusione digitale dei contenuti. Per raggiungere il loro improbabile obiettivo le Major hanno tentato varie strade: l’introduzione di leggi sul copyright sempre più severe, l’inserimento di sistemi anti copia nei media posti in distribuzione, l’avvio di azioni legali di massa contro gli utenti che scaricano musica via internet, la chiusura di servizi di P2P (il caso più famoso fu quello di Napster). I risultati, quale sia stata la strada intrapresa, sono stati totalmente disastrosi, tant’è che oggi, forse troppo tardi, alcune di queste multinazionali hanno deciso di fare marcia indietro, rivedendo le loro strategie commerciali.
Nel frattempo anche le grandi compagnie telefoniche cercano di reagire al danno economico causato dalla diffusione delle tecnologie VOIP, e allo stesso modo le televisioni tradizionali tentano di arrestare l’inesorabile avanzata dei nuovi media digitali; la battaglia in questo caso è sulla neutralità della rete, i grandi media stanno cercando, con leggi apposite, di prendere il controllo di internet per poterne veicolare il contenuto a loro piacimento, proprio come ora avviene con i media tradizionali: giornali, radio, televisioni.Naturalmente la guerra intrapresa, almeno per ora, non ha sortito gli effetti desiderati, e anzi ha probabilmente prodotto effetti deleteri sull’immagine dell’industria tradizionale, che agli occhi dei cybernauti ha assunto connotati decisamente negativi.
Anche nell’editoria sta avvenendo lo stesso. Per ora i grandi editori si sono lanciati con estrema timidezza nel mercato digitale. Gli ebook spesso costano troppo e sono protetti da DRM. La reazione contro la pirateria non è forse spropositata come quella delle case discografiche e cinematografiche, ma questo perché probabilmente il mercato è ancora troppo ristretto e asfittico per causare vere e proprie perdite agli editori. La loro strategia attuale è tardare il passaggio il più a lungo possibile.
Sono stati fatti timidi passi, si veda l’accordo di Mondadori con Kobo, nonché la recente acquisizione di Anobii, che fa sperare in un cambio di marcia, tuttavia la strada sembra lunga e tortuosa.
Come sappiamo in questi giorni l’Italia ha varato una nuova legge a tutela del copyright, che scarica i costi del controllo e della repressione sui provider internet, di conseguenza sull’utente. L’ennesima legge che a mio parere si rivelerà inutile.
Il nuovo sistema economico, come già teorizzato dal giurista americano Lawrence Lessig, richiede, a mio parere, nuovi sistemi di gestione del copyright e di tutela dei contenuti, ne riparleremo sicuramente.
Visionnaire
Chi sonoIl custode delle chiavi. Fondatore di escrivere. Non ho un passato, non uno vero almeno. Da pochi mesi ho drammaticamente scoperto la verità: non sono un essere umano, ma un BOT, partorito da una mente diabolica. Tutti i miei ricordi sono falsi, in più, beffa delle beffe, le mie funzioni vitali sono state scritte in Visual Basic, linguaggio di programmazione prodotto e distribuito dal mio più acerrimo nemico. Probabilmente anche questa biografia è un falso, ciò crea un paradosso che manda in loop il mio codice [genetico], costringendomi all'infinita ricerca di me stesso.