La rivoluzione islandese

Creato il 10 novembre 2011 da Eastjournal @EaSTJournal

di Matteo Zola

una cittadina islandese membro dell'Assemblea Costituente

C’è un’isola tra i ghiacci e i vulcani che rischiava di affondare tra i debiti della finanza creativa, un’isola che ha combattuto lo sciacallaggio delle banche, che ha rifiutato il giogo del Fondo monetario internazionale e si è sottratta alla morsa russa. E’ l’Islanda, il cui popolo ha detto che il debito contratto era in realtà odioso, poiché contratto contro la volontà e gli interessi dei cittadini che – quindi – non sono obbligati a onorarlo. Così oggi, tra i geyser degli iperborei, va in scena quella che alcuni chiamano “rivoluzione“.

La “rivoluzione” islandese passa attraverso tre fasi. Figlia di una solida economia cresciuta dagli anni Novanta alla fine degli anni Duemila, l’Islanda aveva un tenore di vita tale da permettersi di rifiutare  sia l’euromoneta sia l’ingresso nell’Unione Europea. Ma la sua corona era fluttuante, non ancorata a nessuna valuta forte e legata all’andamento delle borse. Così, quando nel 2008 si scatena la crisi americana dei mutui, l’Islanda se la prende sui denti. Intanto le tre banche principali dell’isola – Landsbanki, Glitnir e Kaupthing – operano con un’esposizione di 11 volte il Pil islandese, chiaramente impossibile da rimborsare per gli istituti e per lo Stato. Il governo si dichiara sull’orlo del fallimento. Siamo nel 2009, e i russi propongono un prestito che Reykjavík non accetta: avrebbe significato diventare un protettorato di Mosca nella corsa al gas artico. Arrivano allora i soldi del Fmi, con tanto di misure di austerity. Esattamente come sta accadendo in Grecia. Ma entrano in scena i cittadini, che non ci stanno, e scendono in piazza garbati e decisi.

In prima battuta si elegge un nuovo primo ministro, una donna lesbica, Jóhanna Sigurðardóttir, che nel 2010 appoggia il movimento di opinione che intende bloccare il rimborso del debito estero. L’inizativa sfocerà in un referendum: il 93% degli islandesi voterà contro la legge di rimborso. Una nuova proposta di rimborso è ugualmente stata bocciata mediante referendum nel marzo del 2011. Il debito estero viene così “cancellato” anziché pagato. Gli islandesi non ci stanno a risarcire un debito dovuto ad azioni criminose di politici e banchieri. Partono le inchieste della magistratura, alcuni politici finiscono in carcere, i banchieri fuggono all’estero inseguiti da mandati di cattura internazionali.

Nel frattempo si avvia una rifondazione democratica. Attraverso il crowdsourcing, un metodo di partecipazione aperta dal basso e non organizzata veicolato dal web, gli islandesi eleggono un’autoproclamatisi Assemblea Costituente (Stjórnlagaráð) votando 25 tra 522 candidati. La nuova Assemblea si compone di docenti universitari, avvocati, giornalisti ed anche da un sindacalista, un contadino, un pastore e un regista. Le loro riflessioni partono, inoltre, da un documento di oltre 700 pagine scritte da una commissione in base alle osservazioni di 950 islandesi selezionati a caso e riuniti nel National Forum.

Il 29 luglio scorso l’Assemblea consegna al Parlamento le linee guida per la nuova Costituzione. I temi più caldi sono economia e finanza, con nuove regole che separino banche di credito e banche d’investimento; risorse energetiche, di cui l’Islanda è ricca e di cui vuole restare padrona; protezione del web da qualsiasi tipo di censura e diritto garantito ad avere un accesso a internet per ogni cittadino. Dopo aver vagliato le proposte il Parlamento le accettate inserendole nella nuova carta costituzionale: d’ora in poi in Islanda sarà vietata dalla legge la speculazione finanziaria, le risorse energetiche resteranno pubbliche e internet diventerà un diritto per tutti.


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