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La rupofobia (Nesting Syndrome): come capire quando la pulizia diventa ossessione

Da Silvestro

A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, psicologa psicoterapeuta a Roma

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La rupofobia (Nesting Syndrome): come capire quando la pulizia diventa ossessione
quando passeggio per strada osservo persone, comportamenti, ascolto conversazioni e rifletto… deformazione professionale direte voi?!… Può darsi, anzi, molto probabilmente, ma è da qui che traggo spunto per gli articoli; è dal quotidiano che viene l’input per smontare, osservare e rimontare i pezzi di quello che ho di fronte, uscendone, e spero pure voi, più arricchita  e consapevole. A tal proposito oggi mi vorrei soffermare sulla rupofobia. In Italia ne soffre una donna su tre. Chi è nato , come me, o chi è vissuto in un piccolo paesino, sa che le donne danno molta importanza alla pulizia della casa ( tanto quasi da indire una sorta di gara), così da non sfigurare rispetto alla vicina magari anche un po’ pettegola. Tuttavia, tra questo comportamento culturalmente determinato e la condizione propriamente patologica c’è un limite, un limite che si chiama rupofobia. La persona è ossessionata dalla pulizia della casa, dedica ad essa molto più tempo del normale, o pulisce molto più a fondo e più spesso del necessario: disinfetta sempre e ovunque, magari non alza le tapparelle quando piove per non sporcare i vetri, o dopo un temporale li pulisce meticolosamente, fino all’ultimo alone. La persona passa anche molto tempo dedicandosi all’igiene personale: tipica di questa condizione è la spinta a lavarsi continuamente le mani ( detta per questo anche sindrome di Pilato) e ad usare spessissimo detergenti e disinfettanti, tanto da acere il dorso delle mani molte volte corroso dagli agenti chimici.

La rupofobia, per quanto possa sembrare solo una semplice “esagerazione “ comportamentale, è in realtà una fobia a tutti gli effetti, perché non si ferma al semplice gesto del pulire. Vi è infatti una vera e propria paura marcata e persistente, eccessiva o irragionevole, provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o situazione specifici (in questo caso lo sporco e potremmo azzardare anche, il senso di inadeguatezza che ne deriva”). La persona che soffre di fobia specifica , reagisce quasi sempre con una risposta ansiosa di fronte allo stimolo fobico. Questa risposta ansiosa a volte può prendere forma di attacco di panico sensibile a quella particolare situazione con sintoni organici ben precisi quali sudorazione profusa, crisi d’ansia ricorrenti, insonnia, dispnea, in alcuni casi anche forme depressive magari slatentizzate.
Nella maggior parte dei casi la situazione fobica viene sistematicamente evitata, la persona indossa grembiuli, guanti, usa migliaia di salviettine, ha sempre con sé il disinfettante per le mani e, qualora entri in contatto son lo sporco, senza poterlo suo malgrado evitare,  la situazione viene sopportata con intensa ansia o disagio. Uno dei criteri adottati nel DSM-IV è che l’evitamento attivo, l’ansia anticipatoria o il disagio nella situazione fobica, interferiscano significativamente con la normale routine dell’individuo, con il funzionamento lavorativo o scolastico oppure con le attività o le relazioni sociali: la persona che ne soffre ha il terrore di vivere nello sporco e per questo si lava continuamente le mani o pulisce l’ambiente in cui vive o lavora, ed è così costantemente occupata a far si che intorno a sé sia tutto in ordine e pulito, che difficilmente riesce ad avere una vita sociale, sia per il tempo che impiega nei suoi “rituali” di pulizia ( ticipi del disturbo ossessivo compulsivo, in cui la persona, per rispondere e sopprimere un pensiero ricorrente, utilizza una compulsione, ovvero un rituale) sia perché viene di solito considerata “strana” e quindi evitata. Ma perché si sviluppa questa strana fobia? Secondo una definizione psicosomatica del problema, la paura dello sporco esteriore è la manifestazione di una paura di quello che può essere considerato “sporco” interiore, ovvero il lato oscuro di ognuno di noi … i motivi possono essere diversi e vanno dalla sfera sessuale a quella dei rapporti interpersonali, ma anche al rapporto con se stessi.

Tuttavia, se andiamo a vedere nel complesso quali sono i fattori causali, possiamo riscontrare la grande responsabilità che ha avuto l’educazione genitoriale. Spesso, infatti,  chi sente il bisogno di lavarsi troppo ha avuto un’educazione repressiva, ricevuta da genitori molto rigidi che hanno inculcato il concetto secondo cui ciò che è naturale (come il gioco, la sporcizia con cui si entra in contatto da bambini) sia qualcosa di sbagliato, da cui ripulirsi. Il messaggio che la persona riceve nell’infanzia è quindi anzitutto quello secondo cui il proprio mondo emotivo e istintuale sono “sporchi”, sbagliati: è necessario prima il dovere e poi il piacere, facendo passare in secondo piano quello che veramente il bambino, ovvero l’adulto di domani, vuole. Attraverso la pulizia costante è come se si spostassero le emozioni provate nel momento in cui si prova ad affrontare un pensiero conflittuale ( l’indipendenza dai genitori che invece soffocano nel loro rapporto morboso), e venissero trasferite ad un altro pensiero ritenuto più facile da sostenere In termini attuali, possiamo dire che il conflitto è collegato alla crescita di una persona e alla acquisizione di indipendenza dai genitori e dalla famiglia di origine.
Nella vita del rupofobico, le novità sono da temere ed evitare, i sensi di colpa sono sempre in agguato, non appena si accenna ad un pensiero di indipendenza dalla famiglia di origine. A causa del suo modo di pensare, il fobico è una persona insicura nell’affrontare la vita; la barriera psicologica che dovrebbe difenderlo dall’esterno, non funziona bene ed ha paura di poter essere “invaso” dal mondo. Chi vive nella fobia ignora il proprio mondo emotivo, l’autonomia, l’implusività e li ha sostituiti con rigidi schemi “paura / non paura” che, paradossalmente, sembrano al fobico, più facili da affrontare.

Tuttavia, anche se si possono scambiare per atteggiamenti un po’ ansiosi, ci sono dei campanelli di allarme che potrebbero farci pensare ad una eventuale rupofobia?

Anzitutto il pensiero magico; molti individui ritengono che compiere o non compiere determinate azioni, pronunciare o no alcune parole, vedere o non vedere certi oggetti, certi numeri o colori, ripetere o no particolari azioni un certo numero di volte, sia determinante per l’esito degli eventi. Il rupofobico deve necessariamente pulire quello che ritiene sia in preda ai germi che lo potrebbero assalire. L’evitamento: le situazioni che possono avere a che fare con lo sporco o la contaminazione vengono costantemente evitate.
Indecisione e lentezza: la persona non riesce a prendere una decisione, nemmeno per fatti semplici della vita quotidiana e si affligge per questo, senza riuscire a porvi rimedio.
E infine le preoccupazioni ipocondriache si verificano visite ripetute ai medici, in cerca di rassicurazione, ma dopo qualche giorno, la persona torna nuovamente a preoccuparsi. Queste convinzioni, condizionano fortemente il vivere quotidiano.

Il rupofobico trascorre quindi una vita interamente dedita alla pulizia, all’evitare il contatto con i germi che potrebbero aggredirlo in ogni luogo e in ogni momento, impiegando gran parte della propria giornata e della propria energia per sentirsi fisicamente e moralmente “pulito”, ineccepibile.

Come trattare la rupofobia?

La terapia cognitivo comportamentale per la rupofobia segue fa uso di tecniche di esposizione, come per i disturbi d’ansia. L’esposizione può differire per forma e contenuto.

Una prima forma di esposizione è quella che avviene in immaginazione, in essa si chiede alla persona di visualizzare mentalmente la scena che genera ansia.
Gli esercizi prevedono la creazione di una scala di situazioni ansiogene che verranno affrontate poi in immaginazione partendo dalla meno disturbante.

Una seconda forma di esposizione prevede lo svolgimento di simulate in studio.
L’ambiente protetto della seduta permette al paziente di sperimentarsi in diversi ruoli e situazioni (es. un colloquio di lavoro, una interazione con il capo ecc..)

Una terza forma di esposizione è quella che avviene in vivo, ovvero proprio nella condizione reale che il paziente teme. La presenza del terapeuta e la conoscenza delle tecniche apprese nel corso del training permettono alla persona di fare un’esperienza correttiva che l’aiuterà a superare la sua ansia.

L’esposizione, oltre che per la forma, può variare per il contenuto.
Essa può infatti essere indirizzata a: sensazioni corporee indesiderate, emozioni, comportamenti, pensieri non voluti, luoghi, persone, animali, oggetti.
Nella realtà ci si espone sempre a un mix di questi elementi, tuttavia può essere realizzato un intervento focalizzato su uno di essi.

L’esposizione per la rupofobia e per il disturbo ossessivo compulsivo è la pratica principale del programma cognitivo comportamentale evidence based* (ovvero verifica da enti di ricerca scientifici internazionali) per il trattamento di questo disturbo.
Chi soffre di disturbo ossessivo compulsivo è assillato da pensieri e immagini disturbanti, come conseguenza, si ritrova a mettere in atto una serie di comportamenti (compulsioni) al fine di ridurre l’ansia.

In alcuni casi questi comportamenti finiscono per occupare buona parte della giornata, oltre a causare un aumento nella frequenza di quegli stessi pensieri che la persona voleva evitare.La terapia cognitivo comportamentale per il disturbo ossessivo compulsivo fa seguire all’esposizione (ai pensieri e alle situazioni temute), la prevenzione dell’esecuzione dei comportamenti compulsivi ( esposizione con prevenzione della risposta).
Ad es. si richiede alla persona che ha ossessioni di contaminazione di toccare una superficie impolverata senza mettere successivamente in atto i comportamenti ripetuti di lavaggio.

Il trattamento cognitivo comportamentale della rupofobia permete sia una riduzione repentina del sintomo, sia una ristrutturazione cognitiva dei pensieri distorti riguardo il senso del dovere, il proprio valore e senso di adeguatezza. Partendo dall’analisi dei pensieri automatici, consente così di arrivare alle credenze intermedie( valori, assunti, credenze mutuate dall’educazione, dalla religione, dalla società) e alle credenze di base, modificando in profondità il proprio essere e i propri pensieri, liberando la persona dalla schiavitù mentale in cui finora era stato relegato e di cui il sintomo rupofobico era stata la massima espressione


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