"E in patria mi aspetta la morte"
Il campo di concentramento a cui aspirano gli abitanti della Repubblica Democratica Popolare di Corea si trova in Russia
06.07.2012
Questi operai del cantiere, sospetto, o non sono affatto notati dai moscoviti o sono ritenuti inviati, diciamo, del fraterno Kirghizistan. Ma fonti orientalistiche certe della capitale russa segnalano: sugli impianti di Mosca sono stati improvvisamente notati dei coreani. Non rappresentanti della nostra propria rispettabile comunità coreana e non quelli che sono giunti dalla Corea del Sud a occuparsi di affari. Ma braccianti edili della Repubblica Democratica Popolare di Corea chiusa al mondo esterno, che in compatta brigata lavoravano a Mosca su un impianto sotto la sorveglianza di un connazionale dallo sguardo pungente. All'inattesa domanda nella lingua madre hanno imprudentemente ammesso di essere giunti dal nord della Corea, ma si sono rifiutati di fare ulteriori conversazioni.
Tra l'altro Mosca per i lavoratori della Repubblica Democratica Popolare di Corea per ora è un posto esotico, fondamentalmente li si possono incontrare nel nostro Estremo Oriente. Sulla vita dei lavoratori immigrati raccontano orrori, paragonano il loro destino a quello dei prigionieri dei campi di concentramento. Tuttavia in ogni caso questi campi questi campi di concentramento sono particolari – gli zek[1] stessi spesso aspirano a capitarci. Diventare un lavoratore in trasferta in Russia è il sogno di molti abitanti della Corea del Nord, è la speranza di un mutamento del destino.
Agli inaffidabili non permettono di andare in Russia
Gli scopi della nomenklatura della Repubblica Democratica Popolare di Corea sono la carriera, una macchina a spese dello stato, un appartamento in un nuovo condominio a molti piani a Pyongyang, l'accesso ai magazzini con pagamento in valuta. Capitare in questa cerchia per la maggioranza della popolazione è impossibile. Ma per la gente semplice c'è una propria strada per una piccola felicità. Per esempio, diventare uno speculatore o un contrabbandiere che si muove per la Cina, cosa redditizia, ma gravida di pericoli. Oppure ricevere un buono per un lavoro all'estero – in Russia o in Cina e forse anche più lontano.In Cina, certo, per un operaio della Repubblica Democratica Popolare di Corea la vita è più comprensibile – là ci sono molti compatrioti coreani, è più facile orientarsi. Ma in Russia, d'altra parte, è più vantaggioso: secondo le testimonianze di transfughi nord-coreani intervistati da giornalisti giapponesi, se si ha molta fortuna, in tre anni di trasferta si possono accumulare anche mille dollari. E pure duemila. Con questi soldi in Corea del Nord (non a Pyongyang, certo) si può, come dicono gli stessi transfughi, costruire un'ottima casa.
A lavorare in Russia mandano solo quelli meritevoli di fiducia – la strada in quella direzione, per esempio, è chiusa per gli sfortunati che hanno parenti in Corea del Sud. Tuttavia anche per gli eletti, ben affidabili, lavoratori immigrati che hanno passato tutti i controlli la vita in Russia non è zucchero. Ecco, per esempio, il racconto di un ex lavoratore nord-coreano come l'ha registrata il mio collega del giornale "Asahi" [2].
Questa persona si era offerta di andare nella Federazione Russa già nel settembre 1995. "Andai per poter mangiare", – dice. Fu inviato al deposito di legname presso la stazione di Tygda nella regione dell'Amur [3], dove nel campo sorvegliato da agenti della Sicurezza dello Stato della Repubblica Democratica Popolare di Corea c'erano circa 7 mila nord-coreani. Abbattevano pini, il 65% veniva dalla Russia, il 35% era stato portato dalla Repubblica Democratica Popolare di Corea. Il lavoro durava dalle 8 di mattina alle 10 di sera, la norma mensile – 3 mila metri cubi di legname – era quasi impossibile da realizzare. Ogni anno in vari incidenti al deposito di legname morivano 3-4 persone. In una buona stagione il guadagno raggiungeva 2-3 mila dollari al mese, ma in media si riceveva sui cinquecento dollari. Il 70% di essi era preso dallo stato – come sua quota legale.
"La somma più alta realmente avuta in mano è stata 160 dollari al mese", – racconta il lavoratore immigrato. La dirigenza mandava pure metà di essa nella Repubblica Democratica Popolare di Corea – dicendo che era per la sua famiglia. Ma anche i soldi restanti li vedeva solo nelle informazioni - dice, li daremo dopo, in patria. Il periodo di trasferta era di tre anni, ma il lavoratore immigrato servì con tutte le forze la dirigenza del partito e gli ufficiali del servizio di sicurezza nel campo e gli permisero di restare in Russia. La fedeltà canina lo aiutò anche in seguito: dal 2000 presero a lasciare andare via questo operaio dal deposito di legname per lavoretti in nero – dava i soldi in parte alla dirigenze e con i "resti" accumulò "mille dollari" segreti. Le uscite dal campo nella vita russa diventavano sempre di più, in libertà strinse delle conoscenze e improvvisamente prese a sognare la libertà. In breve, nel gennaio 2005 ottenne dalla dirigenza "una settimanuccia" e non tornò nel campo.Di tali fuggitivi formò una brigata di manovali immigrati clandestinamente. Vivevano nel terrore, separatamente, temendo il servizio di sicurezza nord-coreano. Dicono che le autorità russe sono buone – non acchiappano i fuggitivi. Ma cerca di rintracciarli il servizio di sicurezza dei campi – e spesso con successo. A quelli che vengono acchiappati legano alle gambe assi lunghe come le gambe stesse e sopra gli fanno indossare i pantaloni. Su gambe che non possono piegarsi (perché non fuggano di nuovo) li conducono sotto scorta davanti ai lavoratori schierati e poi li inviano in patria. Il destino di queste persone è chiaro – il campo di concentramento, quello vero.
"Due persone della mia brigata di immigrati clandestini sono morte di malattia, – racconta il fuggitivo. – Voglio trasferirmi dalla Russia alla Corea del Sud, ma non ho i soldi per farlo. E in patria mi aspetta la morte".
La fine del deposito di legname
Secondo i dati dell'amministrazione dell'Alto Commissario dell'ONU per i rifugiati, in Russia solo ufficialmente sono stati registrati più di cento nord-coreani fuggitivi che si nascondono, circa 30 di essi si sarebbero trasferiti a Mosca.Nel frattempo i campi nord-coreani vicino a Tygda nella regione dell'Amur e a Čegdomyn nel territorio di Chabarovsk [4] sono decaduti: dicono che là è rimasto qualche centinaio di persone. E' giunta voce, in particolare, del netto aumento delle imposte sulle esportazioni di legname grezzo dalla Russia – anche con l'utilizzo di braccianti delle Repubblica Democratica Popolare di Corea è diventato svantaggioso. Ma gli operai nord-coreani non sono scomparsi dalla Russia, semplicemente adesso, come dicono, li utilizzano in altri lavori. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani sud-coreane valutano il numero di questi lavoratori immigrati in 15-20 mila persone. Peraltro, circa altrettanti, con visti di lavoro ufficiali, sgobbano anche in Cina. Anche se, secondo i dati delle organizzazioni umanitarie, tenendo conto dei clandestini, i lavoratori immigrati nord-coreani nel Celeste Impero, sono perlomeno dieci volte di più. Le autorità di Pechino acchiappano regolarmente gli immigrati illegali e li inviano nella Repubblica Democratica Popolare di Corea. Anche se ora hanno smesso temporaneamente di farlo – forse in risposta alla pressione da parte di Seul, che regolarmente chiede di non consegnare le persone alla punizione.
Un dollaro per i giornali
Altri 20 mila nord-coreani faticano nel Vicino Oriente. C'è, per esempio, la colorita testimonianza di una fabbrica di calzature con la partecipazione della Repubblica Democratica Popolare di Corea nella Repubblica Ceca: in essa agli inizi degli anni 2000 sgobbavano donne nord-coreane per 150 dollari al mese. 75-80 dollari di questa somma erano inviati forzatamente nella Repubblica Democratica Popolare di Corea. 40 dollari erano riscossi per l'ostello. Un dollaro al mese per i giornali di partito inviati per via aerea da Pyongyang. E per le feste alle lavoratrici prendevano altri 2 dollari per un canestro di fiori collettivo che a loro nome era offerto al monumento a Kim Il Sung a Pyongyang. E' chiaro che "mille dollari" con tali dazi non li accumuli.Pyongyang ora ha disperatamente bisogno di valuta – gira voce di sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che dopo gli esperimenti nucleari e il lancio di missili balistici ha vietato alla Corea del Nord di commerciare armi. E proprio tali accordi hanno dato alla Repubblica Democratica Popolare di Corea buona parte dei dollari e degli euro. Pyongyang, certo, cerca con tutte le forze di aggirare il regime di sanzioni, ma i redditi crollano comunque. L'anno scorso, secondo le stime, il deficit della bilancia commerciale estera della Repubblica Democratica Popolare di Corea ammontava a 630 milioni di dollari – una somma enorme per un paese molto povero. In queste condizioni diventano sempre più importanti i redditi dalle "rimesse" dei lavoratori emigrati all'estero, che, secondo i calcoli degli esperti, portano qualche centinaio di milioni di dollari all'anno.
In Cina, come viene riferito, il numero di tali braccianti a gennaio-marzo è balzato al 40% in più rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno. C'è qualche nuovo progetto comune nella regione dell'Amur per cui verranno di nuovo portati operai dalla Repubblica Democratica Popolare di Corea. Tra l'altro non bisogna aspettarsi da noi un'invasione nord-coreana di migliaia di persone – Pyongyang, certo, ha molto bisogno di soldi, ma neanche generare transfughi nell'inaffidabile Russia le conviene.
Vasilij Golovnin, "Novaja gazeta", http://www.novayagazeta.ru/columns/53389.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1] Nome gergale dei prigionieri del GULag.
[2] Più precisamente "Asahi Shinbun" ("Giornale del sole del mattino"), il secondo giornale giapponese per vendite.
[3] Fiume dell'estremo oriente della Russia asiatica.
[4] Città dell'estremo oriente della Russia asiatica.