La sabbia sa di marzapane (versione alternativa, quarta parte)

Da Villa Telesio

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La folla rimase muta e immobile come in un fotogramma polaroid, solo il lento scorrere del Macilento svelava una realtà in mutamento che batteva d’emozione e violenza. Quello che però non può l’uomo come singolo essere insignificante ed impotente può  una massa informe e nervosa, irriverenza di corpi, alterigia di mani tremanti, adrenalina e follia. Si mosse allora un’onda umana di carne e celluloide, come una risacca di sudore ci fu un movimento disarmonico di membra e sguardi, urla di donne, ronzii elettrici analogici di registratori a bobina, odore acido di putrefazione e pungente sensazione di plastica surriscaldata. La folla si mosse e si strinse intorno a Teresa come a volerla fagocitare nell’animale famelico che era diventata, adoratori di malformità, pellegrini musulmani dai visi sconvolti dal dolore e dalla fissazione. Aline cercò di allontanarli, estrasse dallo zaino un vecchio commutatore a ioni deuterio (CIde) e fece detonare una scarica. Chi le era vicino fu investito dalla “fascia di ricaduta” , martoriato da ustioni nelle parti delle membra esposte. Quest’arma per quanto vetusta fosse, ancora riusciva a sprigionare tutta a sua rabbia. I primi caddero in preda al dolore, cercando di stringersi le piaghe sanguinati, cercando negli spasmi una facile uscita da una situazione degenerata.

<> Uno di loro le afferrò la caviglia cercando di rialzarsi. L’attrice senti le sue mani sudate e viscide, vide un viso supplicante sporco di sangue e fango. Gli fece esplodere la testa con un colpo a bruciapelo. Il cranio si aprì come fosse un’anguria matura, le cervella schizzarono ovunque benedicendo i fedeli.

<> Stringeva tra le mani il commutatore, nessuno osò muovere un passo.

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Bogie era fisso e immobile di fronte alla finestra, stava fumando una sigaretta. Guardò il fumo alzarsi in un cielo d’argento, pesante e metallico da togliere il fiato. Si mangiava le unghie, estirpava le pellicine come fossero insetti che stessero deponendo uova nelle sue dita. Era nervoso. Attese di finire la sigaretta. Prese il suo trench color cachi e scese al piano inferiore passando dalle scale interne. Lasciò la porta del suo ufficio aperta. Appena fuori dal teatro instabile Bereschenko l’impresario mise in tasca il taccuino degli appunti e imboccò  un vicolo stretto che faceva angolo con il palazzo, Houdinìstrasse. La città stato di Maldonian non dava riposo ad una mente confusa e stanca che cercasse salvezza. Bogie camminava con passo veloce e disorientato come se fosse ubriaco. Sentì allora una voce che richiamò la sua attenzione e lo ridestò da quel torpore.

<< Hei Bogie dove te ne vai?>> disse un uomo dal forte accento ungherese. Nel suo vagare incerto aveva preso la strada che costeggiava il ghetto ed ora era davanti all’insegna del negozio di occhiali di Tzozius.

<> La sentenza dell’ungherese risuonò più come una supplica che come una minaccia. <>  <>  <> disse l’uomo fissandolo negli occhi, come a voler indagare nell’anima dell’impresario, lui che aveva fatto di quella pratica una professione, l’emigrante ungherese di origine greca che aveva aperto un negozio di oculistica a Maldonian. << Non lo so, però sono convinto che l’esperimento sia finito, fallito, che cosa c’è da fare ora che siamo a questo punto? Nessun nuovo stadio, nessun risveglio di coscienza collettiva, nessuna agognata “Fase Personale”. Solo follia e barbarie.>> << Forse era questo che “volevano”, forse è da ora che verremo studiati, non credi Bogie?>> Non rispose. <visto un uomo che scappava, veniva da là, direzione Enterozoo (magari era un’impressione, si era fatto suggestionare dalla  professione insolita e dall’accento e dal dialetto dell’ungherese) credo fosse matto, folle come ce ne sono tanti di questi tempi, si stava dirigendo al cimitero delle Nullità Tecnofutili. Nessuno sopravvive in quella zona per più di qualche ora.>>

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<< Non lo so, non credo forse, ma nulla accade per caso. Un’intera città si è riversata al IV settore e un uomo solo scappa dal Condominio per rifugiarsi nel cimitero dei grandi spiriti del processo evolutivo. Non pensi che ci sia qualcosa di strano e profetico?>> <>  Tzozius lo guardò con un’aria di compassione mista a delirio <> 

…silenzio…

il vecchio voltò le spalle e rientrò nel negozio. La saracinesca fu abbassata. Bogie rimase immobile come una statua. Dopo un attimo di incertezza si accese una nuova sigaretta.

Giulio Gheel stringeva tra le  mani una Moleskina nera consunta. Il suo corpo sospinto dai turbini elettrici veniva scaraventato tra i rottami del passato industriale. Trafitto da pezzi di metallo e da cablature a fibra ottica urlò dal dolore; il martirio di un santo non avrebbe trovato un interprete migliore. Gheel era un santo.

Fuori dal condominio le truppe di Riorganizzazione Umana stavano sparando sulla folla. Dagli appartamenti la gente usciva come un fiume in piena. In lontananza, sulla riva del fiume Macilento infiltrati del settore Gustav si erano radunati intorno ad una carrozzella. Ovunque era il caos. Kindle04 armati non risparmiarono la loro furia androide su nessuno che per sciagura gli si presentasse davanti. Fu una carneficina.

Rosa Ferenczi tremava. Era in preda ad una febbre delirante. Il medico le stava somministrando una dose di ormoni e antidolorifici.

<> chiese l’omosessuale in pigiama.

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<> <> disse il medico imbarazzato. Rosa Ferenczi scoppiò in lacrime.

<> Gridò una voce indistinta dalla folla << ci sta augurando buona fortuna Teresa! Siamo benedetti, siamo i suoi figli>> gridò qualcun altro << siamo nel giusto e il Messia è con noi>> azzardò una donna con il seno al vento. << E’ vero! E’ vero!>> scoppiarono in coro. Teresa sembrò per un attimo sorridere beffarda. Una prima bomba all’idrogeno fu lanciata nel nucleo raccolto intorno alla carrozzella da esploratori Kindle03. Ne seguirono altre a grappoli. La carne bruciò in un rogo esplosivo, nessuno registrò le impressioni e gli stati d’animo.

Bogie corse, corse come non aveva fatto mai, entrò esausto nel cimitero delle Nullità Tecnofutili  attraverso l’enorme cancello che recava ancora la vecchia scritta: Cimitero Acattolico di Maldonian.

Si guardò intorno. Ovunque frammenti di un passato tecnologico. L’aria era elettrica. Turbini di particelle ioniche gli fecero accapponare la pelle. Riusciva a vedere a stento e con fatica a resistere a terra senza essere sospinto in aria. Passò accanto alla tomba di Gregory Corso, a quella di Antonio Gramsci e di Montecristo. Il cimitero era la ricostruzione del più famoso di Roma dopo che le truppe Neo-Napoleoniche l’avevano raso al suolo e depredato. Si disse poi che sotto l’austera reggenza del Generale D’Epinay  le ossa fossero state rivendute a stati sovrani o passarono per il mercato nero. Alcune arrivarono a Maldonian. Niente dell’antico fasto rimaneva ora al cimitero. Un’enorme discarica di inutilità tecnologiche.

Bogie vide Giulio Gheel crocefisso ad un palo telegrafico e trafitto da pezzi di tastiere e frammenti di telescriventi. Era bellissimo. Nel turbine elettrico sembrava San Sebastiano. Vide che stringeva tra le mani una moleskina e d’istinto toccò il suo taccuino nascosto nel trench.

<> Gheel aprì gli occhi <> disse a fil di voce San Sebastiano.

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Bogie lo guardò stralunato.Il corpo del giovane si stava dissanguando.<< E perché dovrei saperlo?>> urlò con tutta la voce che aveva in corpo l’impresario <> <> il ragazò fissò il trench di Bogie<< non hai per caso trascritto tutti i suoi sogni? I sogni che io ti dettavo?>> Bogie impallidì, prese tremante il suo taccuino e fisso quello di San Sebastiano <<Si esatto, anche io li ho trascritti, e ho cercato di comunicarteli, anche se molto sarà stato corrotto , anche se molto è andato perso>> << Ma che significato ha tutto questo? CHE SIGNIFICA?>> chiese esausto.

<>Senza  voce e quasi balbettando Bogie si avvicinò al ragazzo, lo prese per mano e disse << Teresa?>> . Il Santo non rispose subito, i suoi occhi si bagnarono di lacrime e la bocca divenne porpora intrisa di sangue. <> <> i due si guardarono negli occhi finchè San Sebastiano morì. Fu solo allora che Bogie strappò di mano il diario di Giulio Gheel e lo sfogliò velocemente e in preda quasi ad una follia. La mente dell’impresario vacillò quando nell’ultima pagina scritta trovò una poesia che il ragazzo aveva dedicato al figlio appena nato, partorito dalla Signora B.

Fine


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