Un organismo, qualunque esso sia, uomo compreso, è animato dal principio biologico di realizzare il suo progetto di vita così costituitosi. Ogni forma vivente è dotata di sistemi di autoregolazione spontanea e di adattamento, che hanno la funzione e la capacità – con buoni margini ma altrettanti limiti – di mantenere le condizioni ideali della vita stessa, sistemi caratterizzati da adattamenti provocati da sollecitazioni ambientali in millenni di storia. La salute, così come una corretta composizione corporea, sono quindi da intendersi come condizioni naturali, e normali, di equilibrio e funzionalità; la sofferenza, le malattie, il sovrappeso, vanno invece intesi come la conseguenza di una compromissione, così significativa, per intensità e durata, da non essere più sopportabile e gestibile dal sistema vitale. E’ in questa relazione che si definisce la qualità e la durata della nostra vita. Qualsiasi fenomeno che noi conosciamo come patologico, in realtà, avviene transitoriamente in continuazione (variazioni di parametri ematici e metabolici, pressione, pulsazione, mutazioni cancerogene, traumi, aggressioni batteriche e virali, ecc.) senza che questo ci destabilizzi drasticamente e irreversibilmente.
Il mantenimento della normalità nel tempo, e quindi della salute e della magrezza, presuppone però il favore delle nostre condizioni e abitudini di vita e, in particolare, di quelle alimentari, perché sono le variabili e le risorse più significative di questa prerogativa biologica. Mentre la ricerca scientifica, che si occupa dei meccanismi che provocano le patologie, ci riporta inevitabilmente a fare i conti con questo “tradimento” di base, nelle persone è sempre più remota l’idea che dall’ambiente, dal cibo e, più in generale dal nostro modo di vivere, vengano fattori critici così decisivi e compromettenti. Anzi, non ci appartiene in alcun modo il senso di responsabilità, l’idea cioè che si debba – e si possa – avere cura di Sé.
Peggio ancora!
Si è andato affermando uno “stile di vita” – valori, comportamenti, stati d’animo – che sono sempre più in conflitto con le nostre autentiche necessità e quindi non possono che generare sempre più malessere e malattie. Questa è la ragione prima che spiega tutte le manifestazioni problematiche, da quelle tumorali a quelle organico/metaboliche, fino a quelle ansiogeno/depressive; insomma che si tratti di cancro, di obesità, di ipertensione, di infarto, di diabete, di attacchi di panico o di depressione, la logica di fondo è sempre la stessa: quando un organismo è lontano dalle sue condizioni ideali, soprattutto se in misura rilevante e ripetutamente, deprime e compromette quella virtù naturale che lo vedrebbe capace di mantenere il suo equilibrio funzionale fino alla fine del suo percorso.
La cosa straordinaria è che questa vocazione biologica, questa tensione vitale, è sempre presente. Se rimessa in campo, una volta rimosse le cause della sua inibizione, anche quando si sono provocati effetti patologici, torna a svolgere la sua mansione che è quella di conservare la vita. Questa considerazione – su ciò che siamo e su come funzioniamo – è il principio della consapevolezza. Un atto di umiltà e di amore necessario per raddrizzare le sorti delle nostre esistenze e per l’affermazione di una cultura del vivere basata sul rispetto e sulla responsabilità, per un benessere autentico e duraturo.
Va precisato che lo scopo di questa riflessione non è certo quello di fare filosofia esistenzialista, ne tantomeno demagogia gratuita contro l’attuale approccio della medicina. L’intenzione di questo articolo è solo quella di mettere in evidenza la contraddizione di fondo che esiste nel nostro modus vivendi e operandi: provochiamo malattia, non agiamo sulle cause, interveniamo farmacologicamente nel tentativo di ripristinare una naturalità compromessa. Un paradosso senza via d’uscita, reso ancora più evidente nella fase di “cura”: a debilitazione si aggiunge debilitazione, mentre sarebbe questo il momento, ancora più opportuno, di guardare alle risorse e alle energie riparatrici interne. Quello che occorre, in definitiva, è far partire un lavoro educativo nuovo: temi riflessivi, conoscenza oggettiva, strumenti e soluzioni pratiche per sviluppare uno stile di vita coerente con la natura dei nostri bisogni, per un “benessere possibile”, che non dev’essere solo ambito, ma voluto con determinazione, in quanto diritto naturale di ogni essere umano.