Mario Arturo Iannaccone è saggista, consulente editoriale e docente di scrittura creativa. Collabora con il quotidiano “Avvenire” ed ha pubblicato i saggi Rennes-le-Château: una decifrazione; Storia segreta. Adam Weishaupt e gli Illuminati; Templari: il martirio della memoria; La spada e la roccia; Rivoluzione psichedelica, il romanzo La cospirazione e tanti altri. Attualmente sta lavorando ad una serie di volumi dedicati alla scrittura: una collana, edita da Sugarco Edizioni, dal titolo LeggereScrivere. Analisi, tecniche narrative e struttura.
Come nasce la tua passione per la scrittura creativa?
Scrivo da sempre, ma è diventato il mio unico lavoro solo da una quindicina d’anni. Pian piano, con collaborazioni sempre più impegnative, sono diventato consulente editoriale e di collana e ho cominciato a scrivere per vivere. Oggi collaboro con una mezza dozzina di editori, piccoli e grandi. Mi sono dedicato al saggio storico e di storia della cultura, al giornalismo culturale (soprattutto sul quotidiano “Avvenire”) e anche alla narrativa. Diciamo che la scrittura, quando non è stanco mestiere ma ricerca, voglia di raccontare ed emozionare, è sempre “creativa”. È poi vero che come scrittura creativa s’intende propriamente una serie di tecniche narratologiche e retoriche che ripropongono, in altra forma, le regole classiche, antiche, della composizione drammatica applicate alla forma del romanzo e ai suoi generi.
La scrittura creativa può aiutare un esordiente nella ricerca di un contratto editoriale?
Se non si può ricorrere alle classiche “spinte” che fanno arrivare sul tavolo di un importante direttore editoriale libri altrimenti destinati ad essere (e magari ingiustamente) scartati da lettori e valutatori, l’impegno quotidiano di chi vuole scrivere professionalmente dovrebbe essere quello di leggere, soprattutto classici e qualche contemporaneo, non disdegnare mai la consultazione di grammatiche, dizionari, manuali di retorica, prontuari di punteggiatura, storie della letteratura. E poi, ovviamente, scrivere per esercitarsi, individuare i propri limiti e superarli.
Una delle critiche più note mosse alla scrittura creativa è che “ingabbia la fantasia e costringe l’autore a schemi rigidi”.
Tutto dipende da come vengono usati gli ausili che la “scrittura creativa” offre. Mi riferisco soprattutto all’approccio narratologico (intreccio, costruzione dei personaggi, punti di svolta, strutture narrative). Possono aiutare a costruire più facilmente dei passabili romanzi di genere, oppure aiutare lo scrittore che possiede grandi idee ma non riesce a trovare una forma nella quale dar corpo alle sue capacità stilistiche e affabulatorie. Certo, possono anche, se male impiegate, spegnere la fantasia. Tuttavia, mi piace, in questi casi, citare l’esempio di Dante, che era ingabbiato in schemi rigidissimi: l’argomento teologico e morale, l’endecasillabo, la terzina incatenata, la lunghezza obbligata dei canti e il loro numero. Possiamo dire che la sua fantasia sia stata ingabbiata? Direi di no.
Stai per pubblicare il terzo volume di LeggereScrivere, la collana di manuali in cui analizzi grandi classici della letteratura. Come nasce l’idea di quest’opera?
Oggi proliferano manuali di scrittura creativa, che hanno un’utilità variabile. Mi sono anche accorto che le collane di analisi dei grandi romanzi sono diventate molto obsolete, usano approcci strutturalistici, psicanalitici, linguistici o idealistici. Per quanto possa sembrare strano, non esiste, nel panorama editoriale italiano, una collana di testi dedicata all’analisi dei grandi romanzi della tradizione moderna, che cerchi di “smontarli” usando un approccio narratologico, retorico, tematico, di genere, adatto non soltanto alle esigenze dello studioso, ma anche a quelle dell’aspirante scrittore. Da questa scommessa è nata LeggereScrivere. E forse poteva essere soltanto un editore piccolo, ma di grande tradizione, come Sugarco, ad accettare questa sfida.
Quindi credi che lo studio e l’analisi dei grandi romanzieri possa aiutare gli aspiranti scrittori a concepire una struttura narrativa degna di essere presa in considerazione dalle case editrici…
Imparare a scrivere bene è, più o meno, come imparare a disegnare bene e a suonare bene. Disegnatori, pittori, musicisti passano anni a copiare o ad eseguire i maestri. Si ha spesso l’illusione che la scrittura sia più libera, che si possa scrivere evitando il confronto con i migliori che la tradizione letteraria, moderna e contemporanea, del romanzo ci ha segnalato per il loro valore. Non è così. Si può scrivere, affidandosi all’estro, all’ispirazione di una mattina, ad un momento di gioia o di dolore. Tutto questo ci vuole, è necessario. Tuttavia, a questo lavoro va affiancato l’esercizio costante della lettura consapevole, che fa comprendere come i maestri della scrittura abbiano sviluppato i loro lavori, abbiano affrontato problemi narrativi (di trama, struttura, costruzione dei personaggi, tecnica di racconto) e li abbiano brillantemente risolti. Per questo credo fermamente – anche se non credo di essere un originale – nell’utilità dello studio dei grandi romanzi. Studio significa scomposizione, “smontaggio”, per capire come sono stati costruiti, come ha lavorato lo scrittore, perché ha scelto una soluzione piuttosto che un’altra, che vantaggi (e anche svantaggi) gli ha dato.
Quali romanzi hai “smontato”?
Classici moderni significativi sia sul piano tecnico che su quello della resa artistica e dei temi. Il grande Gatsby e Il giro di vite. Questi sono romanzi innovativi che raccolgono la grande tradizione del romanzo ottocentesco per rilanciarla nel Novecento con grandi ambizioni. Sono anche romanzi brevi che hanno una costruzione e un’economia narrativa superba. Credo che da essi si possa imparare moltissimo. Il prossimo sarà Ritratto di signora di James, anch’esso un classico moderno, forse uno dei primi esempi di romanzo psicologico, che crea una linea di romanzo parallela a quella realista di Flaubert. Del resto le riflessioni di James sul romanzo sono ancora oggi una scuola fondamentale e andrebbero lette da ogni aspirante scrittore. Quanto a Il Gattopardo – il quarto della collana –, beh, è un bel romanzo italiano, di superba fattura, dal quale si possono ricavare moltissime intuizioni per il proprio lavoro.
Passiamo ora a qualche consiglio pratico. Secondo te, che importanza ha la costruzione dei personaggi, delle ambientazioni e dell’intreccio durante la costruzione di un romanzo?
Un romanzo è costruito tipicamente da sequenze descrittive, di azione e di dialogo (diretto o indiretto). I personaggi, e in particolare il protagonista, sono il vortice attorno al quale tutto si muove e tutto prende senso. I loro desideri, i loro successi e insuccessi sono la materia del romanzo. I personaggi si muovono all’interno dell’illusione di ambienti e atmosfere che lo scrittore è capace di ricreare o suscitare in base ai suoi fini, alle esigenze della storia, alla sua bravura. Sono tutti elementi di primaria importanza che fanno la “forma romanzo”. L’intreccio è il modo con cui quella storia, che potrebbe essere raccontata in venti, trenta modi diversi, viene raccontata dallo scrittore, che decide la scansione dei tempi, la sequenza dei blocchi narrativi, l’intreccio delle linee di trama. È un’arte che, come ogni arte, presuppone una tecnica e, come ogni tecnica, presuppone un buon artigianato. Dunque, in un buon romanzo è tutto importante: la resa dei personaggi, la trama e – mai ultimo – lo stile e l’armamentario retorico (metafore, similitudini…).
Tempo fa, hai pubblicato anche un romanzo, La cospirazione. Quanta scrittura creativa c’è all’interno di quest’opera?
La Cospirazione fu scritto quindici anni fa. Arrivò finalista al Premio Calvino con un altro titolo (Il Supplente) dieci anni fa. Dunque lo considero un romanzo giovanile. È un romanzo labirinto, un romanzo di romanzi, di citazioni e giochi letterari. Mi ha dato molte soddisfazioni anche se, per sua natura, non può ambire ad avere una vasta platea di lettori. Se con “scrittura creativa” intendi le tecniche della narratologia applicata, devo dire che in questo romanzo ce n’è poca. Non mi preoccupavo di questo allora. M’interessava fare una sorta di ricreazione ironica del romanzo classico. Però c’è molto lavoro di lima, sulla costruzione delle frasi, sul lessico, sul ritmo.
Nello scrivere, meglio l’ispirazione o la buona abitudine di scrivere ogni giorno?
Scrivere, possibilmente, tutti i giorni. Questa è la prima virtù che lo scrittore deve coltivare, assieme alle altre spesso citate (la sincerità, il coraggio…). Un pianista, o un pittore, non raggiungerà mai buoni risultati senza il lavoro quotidiano, così vale anche per lo scrittore (tranne eccezioni, ovviamente). A volte ci soccorrerà l’impeto dell’ispirazione, nutrita dai nostri stati d’animo o magari da una bella giornata di vento; altre volte, più spesso, il lavoro artigianale della trama ben costruita, del personaggio coerente, delle frasi espressive, delle parole ben scelte e magari lungamente pensate su un buon dizionario dei sinonimi.
Quando scrivi? Di notte? La mattina presto? Durante il fine settimana?
Scrivendo per lavoro mi applico alla scrittura in media otto ore al giorno, compresi sabato e domenica. Di queste ore un paio sono dedicate a progetti “creativi” miei; uno spazio di libertà che considero indispensabile. Si tratta di romanzi e saggi non commissionati. Difficilmente meno.
Che consiglio daresti ad uno scrittore con il classico “manoscritto nel cassetto” per farsi pubblicare da un grande editore?
Leggere e rileggere. Magari far valutare a qualcuno che offre questo servizio (che non sia un improvvisato) per meglio individuare e correggere difetti. Continuare a scrivere, a leggere classici e contemporanei (tre classici per ogni contemporaneo), a studiare non limitandosi alla narrativa ma aprendosi alla saggistica (c’è saggistica che vale come il grande romanzo), al poema. Recentemente ho riletto L’Orlando Furioso: è la matrice di mille trame interessanti.
Grazie, Mario.
Grazie a te.
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